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Gabriele Muccino rompe gli schemi: debutta a teatro mentre il cinema attraversa “un momento difficilissimo”

Da A casa tutti bene al palcoscenico, il regista rivendica la sua libertà creativa e difende un’arte che deve restare scomoda

GABRIELE MUCCINO

GABRIELE MUCCINO

Debuttare a teatro non significa arretrare. Gabriele Muccino lo chiarisce subito, senza ambiguità, presentando il suo esordio da regista teatrale con l’adattamento di A casa tutti bene, il film del 2018 diventato anche serie tv. «Non è un piano B per me. Continuo a credere fortemente nel cinema», spiega, ricordando che «arriverà tra pochissimo un mio film nelle sale», Le cose non dette, in uscita il 29 gennaio. Il debutto teatrale è fissato per l’8 gennaio all’Abc di Catania, con un testo rielaborato per il palcoscenico insieme a Marcello Cotugno e Irene Alison.

In scena torna la famiglia Ristuccia, riunita nella casa storica per celebrare l’ottantesimo compleanno della madre Alba. Un pretesto narrativo che fa riemergere conflitti, segreti, tradimenti, vecchi e nuovi amori, problemi mai risolti. Il cast è guidato da Giuseppe Zeno e Anna Galiena, affiancati da Alice Arcuri, Ilaria Carabelli, Maria Chiara Centorami, Lorenzo Cervasio, Simone Colombari, Vera Dragone, Sandra Franzo, Alessio Moneta e Celeste Savino, con le musiche di Nicola Piovani. La tournée toccherà anche Palermo, Roma – all’Ambra Jovinelli, dove lo spettacolo è stato presentato ed è coprodotto da Best Live e Teatro Stabile d’AbruzzoPistoia, Bologna, Napoli e Perugia.

Il progetto nasce da un desiderio preciso. «Nasce dalla voglia di portare alcuni miei film a teatro, perché penso che si possano ricolorare in questa nuova condizione», osserva Muccino, che aggiunge: «Qualcosa che mi piacerebbe realizzare anche con L’ultimo bacio. Il cinema rimane il grande amore ma ne sta nascendo un altro». Un passaggio che racconta un’evoluzione, non una fuga.

Il lavoro sul palcoscenico ha imposto nuove sfide. «Per mettere in scena 11 attori ho dovuto trovare via via soluzioni, strumenti, per concentrare dove volessi io l’attenzione del pubblico», spiega il regista. Il teatro, per lui, è un «luogo dell’anima così piccolo che può diventare anche molto grande», mentre lo spettacolo è «un organismo vivente, che respira in modo diverso ogni sera anche in rapporto col pubblico». Un’esperienza «estremamente adrenalinizzante e anche un po’ sconvolgente, perché non ne ho il controllo». Eppure, sottolinea: «Sono uscito totalmente dalla comfort zone ma non ho sofferto, il palcoscenico non mi ha rigettato. Ho sentito di essere riuscito a farlo mio, di capirne gli spazi, le potenzialità, anche grazie a un gruppo di attori straordinario».

Giuseppe Zeno, che interpreta Carlo – ruolo che nel film era di Pierfrancesco Favino – racconta di essersi affidato completamente al regista: «Alla visione di Gabriele. Ci siamo preparati quotidianamente facendo leva sulle esperienze e sulle idee che lui voleva mettere in scena». Anna Galiena, che torna a lavorare con Muccino dopo Come te nessuno mai, dove recitò in un momento di pausa dalla carriera, interpreta Alba, personaggio che nel film aveva il volto di Stefania Sandrelli.

Per Muccino questo è «un periodo molto faticoso ma bellissimo». Oltre al teatro, il 29 gennaio uscirà Le cose non dette, distribuito da 01 Distribution, con Miriam Leone, Stefano Accorsi, Carolina Crescentini e Claudio Santamaria, un nuovo dramma familiare e di coppie con sfumature noir, tratto dal romanzo Siracusa di Delia Ephron. «Il film è venuto fuori anche meglio di quanto mi aspettassi», confida. Parallelamente sta chiudendo il cast della serie sulla famiglia Gucci per Sky, tratta dal libro Fine dei giochi – Luci e ombre sulla mia famiglia di Allegra Gucci, con riprese previste da maggio.

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Il discorso si allarga alle difficoltà del cinema. Muccino ricorda di aver esordito «quando c’era una grandissima crisi», in un’epoca in cui «gli unici film italiani che andavano bene erano quelli di Aldo Giovanni e Giacomo o di Benigni». Oggi, osserva, «c’è un nuovo corso storico con molte complicazioni», e se il pubblico non va in sala «bisogna trovare la strada per portarcelo, o almeno bisogna provarci». A livello globale, aggiunge, «c’è uno smussamento di tutti gli angoli possibili e se togli all’arte la possibilità di essere cattiva, provocatoria, la spogli di tutto». Un processo che «va avanti da anni e ora si è radicato per tanti motivi dagli algoritmi, alle piattaforme». In Italia, per far valere una visione, «devi essere un autore affermato, avere una credibilità e un budget», e in questo, conclude, «mi ritengo fortunato in un momento difficilissimo».

Infine, un commento sulla mancata entrata di Familia di Francesco Costabile nella shortlist agli Oscar per il miglior film internazionale: «Capita, purtroppo, là serve un distributore forte».

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