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17 Dicembre 2025 - 11:23
Cartella esattoriale a un bambino di 7 anni: non avrebbe pagato l'Irpef...
A sette anni, in Italia, puoi non sapere ancora scrivere in corsivo, ma puoi già essere debitore del Fisco. Succede a Salerno, dove una famiglia si è vista recapitare una cartella esattoriale intestata a un bambino di 7 anni, firmata Agenzia delle Entrate, con tanto di importo, scadenze e linguaggio da contribuente navigato. Peccato che il presunto debito riguardi l’Irpef del 2017, anno in cui il destinatario non era nemmeno nato. Un dettaglio, evidentemente.
La cifra richiesta è di 449,81 euro, somma che secondo i legali risulterebbe peraltro prescritta. Ma il punto non è l’importo: è il principio. O, meglio, l’assenza di qualsiasi principio di controllo a monte. Perché per spedire una cartella esattoriale serve poco: un nome, un codice fiscale, un click. Che il soggetto abbia sette anni, o che nel 2017 fosse ancora un’ipotesi biologica, sembra secondario.
Il padre del bambino, dopo le prime verifiche, si è rivolto all’Associazione Italia Roma, che parla apertamente di un’anomalia grave nei controlli preventivi. Un modo elegante per dire che qualcosa, nel sistema, non funziona. O funziona troppo, ma senza guardare chi colpisce.
Secondo i legali il caso è destinato a chiudersi con un nulla di fatto: un minore non può essere considerato fiscalmente responsabile, e l’atto verrà annullato. La famiglia presenterà ricorso, perché anche l’assurdo, in Italia, va formalmente contestato. Non basta dire “ma è un bambino”: serve carta, protocolli, timbri. Altri atti, insomma.
Il problema è che non è la prima volta. E non sarà l’ultima. Nel 2024, a Roma, una cartella era arrivata a un bambino di sei anni. Nel 2015, a Quarto, in provincia di Napoli, un altro bambino di sette anni si era visto recapitare una richiesta analoga da Equitalia. Andando indietro nel tempo, si contano almeno una dozzina di casi simili. Una statistica imbarazzante, che però non sembra aver prodotto anticorpi.
Ogni volta si parla di errore, di svista, di disguido informatico. Mai di responsabilità. Mai di sanzioni interne. Mai di un sistema che, quando sbaglia, sbaglia sempre verso il basso: il cittadino, la famiglia, il contribuente che contribuente non è. In questo caso, nemmeno alfabetizzato.

E a questo punto vale la pena fermarsi un attimo e chiarire di cosa stiamo parlando. L’Irpef, acronimo di Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, è una tassa che colpisce i redditi percepiti da persone fisiche: lavoro dipendente, autonomo, pensioni, redditi d’impresa, rendite. Si paga quando esiste un reddito, quando esiste una capacità contributiva, quando esiste – banalmente – un soggetto che lavora, guadagna, dichiara. Non si paga prima di nascere, non si paga alle elementari, non si paga perché un algoritmo ha deciso che sì.
Il fatto che una cartella Irpef possa essere emessa contro un bambino racconta molto più di un errore tecnico. Racconta un Fisco che automatizza senza verificare, che chiede senza controllare, che costringe il cittadino a dimostrare l’ovvio. E che, nel dubbio, manda la lettera. Male che vada, qualcuno farà ricorso. Anche se ha sette anni.
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