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Pensioni, la manovra cambia all’ultimo minuto: uscita dal lavoro ancora più lontana

Un emendamento sposta gli equilibri: risorse rimodulate (anche dal Pnrr) per dare ossigeno alle aziende, mentre su pensioni e riscatto di laurea arrivano strette progressive che peseranno dal 2032 al 2035. Ecco cosa c’è davvero nel “pacchetto da 3,5 miliardi” e perché riguarda tutti

Pensioni, la manovra cambia all’ultimo minuto: uscita dal lavoro ancora più lontana

Il Ministro Giorgetti

Il silenzio della sala del Senato viene rotto da una frase secca: «Nuove risorse per le imprese, circa 3,5 miliardi». È il pomeriggio del 15 dicembre 2025 e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti entra in Commissione Bilancio come un arbitro chiamato a fermare una partita avviata di fretta. La manovra di fine anno viene riscritta all’ultimo miglio, le coperture si promettono, si spostano, si rincorrono. Le imprese tirano un sospiro di sollievo, chi guarda alla pensione molto meno. Perché dietro il pacchetto dichiaratamente pro-aziende affiora una scelta politica precisa: allungare la finestra mobile per l’uscita anticipata e ridurre, passo dopo passo, il peso del riscatto della laurea fino al 2035. In mezzo c’è la partita più delicata, quella della rimodulazione del Pnrr, da cui arrivano una parte delle risorse. È un’operazione complessa che segna uno scarto netto e racconta una priorità: salvare i capitoli per Zes, Transizione 5.0, iperammortamenti e misure contro il caro-materiali, anche a costo di rinviare – di fatto – una quota di diritti previdenziali. È ciò che il governo della presidente Giorgia Meloni non avrebbe voluto scrivere sul cartellino, ed è diventato invece il cuore della legge di Bilancio 2026.

La sostanza è meno tecnica di quanto sembri. La finestra mobile, quel tempo che separa il raggiungimento dei requisiti dall’arrivo del primo assegno, viene allungata in modo graduale. Oggi è di 3 mesi; dal 2032 diventerebbe 4, nel 2033 5, dal 2034 6 mesi. Non cambia formalmente l’età, ma si sposta in avanti la decorrenza per chi esce con 42 anni e 10 mesi di contributi, 41 anni e 10 mesi per le donne. È tempo “nudo”, senza stipendio né pensione, e ogni mese in più è un mese di assegni risparmiati per lo Stato. Parallelamente, il riscatto della laurea non viene cancellato, ma perde progressivamente la sua funzione storica di anticipo. Per chi matura i requisiti dal 2032 in poi, i mesi valorizzabili si comprimono: fino a 30 mesi in meno nel 2035. Nei conti parlamentari questo produce entrate aggiuntive stimate tra 500 e 600 milioni l’anno a regime. Il messaggio politico, però, va oltre i numeri: gli anni di formazione contano, ma non abbastanza da accorciare strutturalmente il percorso verso il ritiro. Nel frattempo, nel 2025, il costo del riscatto agevolato è salito a circa 6.123 euro per anno, per effetto dell’adeguamento al minimale contributivo.

Sul fronte opposto c’è il pacchetto da 3,5 miliardi destinato alle imprese. Dentro convivono il rafforzamento delle Zone Economiche Speciali, il rilancio di Transizione 5.0, gli iperammortamenti, le misure contro il caro-materiali e lo spostamento su altra annualità di una quota del finanziamento del Ponte sullo Stretto. La pressione arriva dalle domande presentate dalle aziende, più numerose del previsto, soprattutto sui capitoli Zes e 5.0. La scelta politica è calare tutto dentro la manovra, riportando il Parlamento al centro. Ma le coperture non nascono dal nulla. Accanto a prelievi mirati su assicurazioni e partite previdenziali, il nodo è la nuova rimodulazione del Pnrr. Il governo ha scritto a Bruxelles per rivedere ancora il Piano, con modifiche stimate in 14 miliardi, per riallocare risorse e salvare capitoli a rischio sottoutilizzo. Una quota rilevante riguarda proprio gli incentivi gemelli digitale-green. Il problema è il tempo. L’ultima revisione non è ancora pienamente “bollinata” a livello europeo e, nell’attesa, si sono visti stop-and-go amministrativi. Emblematico il caso del decreto che ha dichiarato indisponibili risorse su Transizione 5.0 mentre molte aziende avevano già pianificato investimenti.

Il Centro studi Svimez ha segnalato che la copertura passa anche da una riduzione delle spese in conto capitale nel 2026, circa 4,7 miliardi, in larga parte riconducibili proprio alla rimodulazione del Pnrr, con effetti da monitorare soprattutto nel Mezzogiorno. Ogni euro spostato ha una ricaduta territoriale. E qui si innesta il nodo politico più sensibile. La narrazione della maggioranza era nata con la promessa di superare la riforma Fornero. Quattro leggi di bilancio dopo, il movimento reale va nella direzione opposta: finestre più lunghe e progressiva sterilizzazione dell’anticipo legato alla laurea. La Lega ha spinto per soluzioni più morbide, arrivando a ipotizzare la sterilizzazione dell’aumento dei requisiti legato all’aspettativa di vita dal 2027. In parallelo sono circolate proposte pro-giovani, come il riscatto di stage e tirocini fino a 24 mesi, o il disegno di legge per abbassare a 900 euro l’anno il costo del riscatto per il comparto istruzione e ricerca. Ma il quadro finale dice altro: prevale la tenuta dei conti.

Nel perimetro degli emendamenti si è consumato anche il braccio di ferro simbolico sulle riserve d’oro della Banca d’Italia, con una riformulazione che richiama esplicitamente i Trattati Ue per rassicurare la Bce. Intanto si accumulano altri dossier, dal tetto alle spese Rai all’Ires premiale, fino alla cornice fiscale sulle assicurazioni che concorre a coprire il pacchetto imprese. Ma l’architrave resta l’emendamento sulle pensioni.

Alla fine, al cittadino restano tre evidenze: un paese che punta con più decisione sull’investimento privato, una flessibilità in uscita che si allontana senza toccare formalmente l’età di vecchiaia, un riscatto di laurea che sopravvive ma perde progressivamente capacità di anticipo. Sono scelte politiche, non neutrali. Il banco di prova sarà la velocità. Se le risorse rimodulate arriveranno davvero e in tempi compatibili con i cicli industriali, la manovra avrà prodotto effetti. Se invece prevarranno ritardi, decreti attuativi e semafori europei, il rischio è di aver spostato risorse producendo più incertezza che crescita. Tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026 si capirà se il pacchetto pro-aziende resterà un titolo o diventerà operatività. E se il sacrificio chiesto oggi sulle pensioni tornerà domani in salari, produttività e lavoro, o resterà un rinvio secco, scritto in piccolo tra le pieghe della manovra.

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