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Torino ridisegna se stessa: via libera al nuovo Piano regolatore, tra tante belle promesse e una città messa alla prova

La Giunta approva il Prg dei 34 quartieri e della “città dei 15 minuti”: una svolta urbanistica che apre più domande di quante ne chiuda

Torino ridisegna se stessa: via libera al nuovo Piano regolatore, tra tante belle promesse e una città messa alla prova

Torino ridisegna se stessa: via libera al nuovo Piano regolatore, tra tante belle promesse e una città messa alla prova. Foto: il sindaco Lo Russo

Torino riscrive le proprie regole urbanistiche dopo quasi trent’anni e lo fa scegliendo una parola chiave che è insieme promessa e sfida: prossimità. Con l’approvazione in prima lettura del nuovo Piano regolatore generale, la Giunta guidata da Stefano Lo Russo mette sul tavolo una visione ambiziosa, che punta a trasformare il capoluogo in una “città dei 15 minuti”, articolata in 34 quartieri, ognuno dotato di una propria centralità e di servizi accessibili nel raggio della vita quotidiana. Il documento ora dovrà affrontare il passaggio più delicato, quello del Consiglio comunale, previsto indicativamente per febbraio. Ma il segnale politico è già chiaro: l’amministrazione ha scelto di imprimere una direzione netta al futuro urbano della città.

Il nuovo Prg prova a tenere insieme molte Torino diverse. C’è la città che invecchia e chiede servizi di prossimità, quella che si è svuotata di funzioni produttive e cerca una nuova identità, quella che ambisce a restare manifatturiera, pur in forme radicalmente diverse dal passato, e quella che deve fare i conti con disuguaglianze territoriali sempre più evidenti tra centro e periferie. La mappatura in 34 quartieri non è solo un esercizio cartografico: è il tentativo di superare una città gerarchica, centrata su pochi poli forti, per costruire una rete di luoghi in cui abitare, lavorare, studiare, curarsi e muoversi senza essere costretti a spostamenti lunghi e costosi, in termini di tempo e qualità della vita.

Uno degli elementi di maggiore discontinuità rispetto al passato è l’integrazione, per la prima volta esplicita, del trasporto pubblico come asse portante della pianificazione urbanistica. Non più un servizio a valle delle scelte urbanistiche, ma un fattore strutturale di sviluppo urbano. In una città segnata da cantieri infiniti, linee metropolitane incompiute e un trasporto di superficie spesso sotto stress, la scelta ha un valore politico forte, ma apre anche interrogativi concreti: la visione del Prg riuscirà a tradursi in investimenti, tempi certi e servizi realmente affidabili, o rischia di restare una cornice ambiziosa senza gambe operative?

Stefano Lo Russo

Il Piano introduce anche le Figure di ricomposizione urbana (Fur), otto aree strategiche pensate per intervenire su parti di città frammentate, incomplete o segnate da dismissioni. Qui si gioca una partita delicata, perché la ricomposizione urbana significa decidere dove concentrare funzioni, risorse e trasformazioni, con un impatto diretto sul valore dei suoli, sugli equilibri sociali e sul rapporto tra pubblico e privato. A questo si affianca l’introduzione di nuovi standard di sostenibilità e di un modello perequativo che punta a distribuire in modo più equo il potenziale edificatorio, evitando che la rendita si concentri solo in alcune parti della città. Un cambio di paradigma che, se applicato con coerenza, potrebbe ridurre le disuguaglianze storiche tra quartieri, ma che richiederà regole chiare e una capacità amministrativa costante nel tempo.

Nelle parole del sindaco Lo Russo, il Prg rappresenta una rotta che tiene insieme sviluppo, coesione sociale, sostenibilità ambientale e cura del territorio, proiettando Torino non solo dentro i propri confini, ma anche nel rapporto con la città metropolitana e con gli assi infrastrutturali verso Liguria e Francia. Una Torino che si immagina come nodo di connessione, più che come isola urbana, e che rivendica una vocazione produttiva rinnovata, capace di ibridare formazione e produzione, ricerca e manifattura, innovazione e lavoro.

È una narrazione potente, che parla il linguaggio delle città europee e che prova a rispondere alle trasformazioni economiche e sociali degli ultimi decenni. Ma proprio per questo il nuovo Piano regolatore si espone a un banco di prova severo. La città dei 15 minuti non è solo un modello urbanistico: è una promessa di equità territoriale. Significa dire ai quartieri più fragili che avranno servizi, spazi pubblici, trasporti e opportunità comparabili a quelli delle zone centrali. Significa anche affrontare il tema del consumo di suolo, della rigenerazione dell’esistente e della compatibilità tra sviluppo e qualità della vita.

L’assessore all’Urbanistica Paolo Mazzoleni parla di una Torino che “vuole cambiare bene” e competere su idee, infrastrutture, qualità urbana e qualità della vita. Ma la qualità urbana non si misura solo nei documenti di piano: si misura nella manutenzione quotidiana, nella capacità di realizzare ciò che si pianifica e nella tenuta sociale dei quartieri nel tempo. Non a caso, dal Comune arriva anche un appello esplicito alla Regione Piemonte, chiamata a modificare la legge urbanistica regionale per garantire tempi certi. Un passaggio tutt’altro che secondario, perché senza una cornice normativa regionale aggiornata, il rischio è che il Piano resti impantanato tra procedure lente e conflitti istituzionali.

Il nuovo Prg segna dunque una svolta politica e urbanistica, ma non chiude il dibattito: lo apre. Nei prossimi mesi, in Consiglio comunale e fuori dall’aula, si confronteranno visioni diverse di città, interessi economici, aspettative sociali e timori legittimi. Torino ha messo sul tavolo una mappa del proprio futuro. Ora dovrà dimostrare di saperla percorrere, senza trasformare la città dei 15 minuti in uno slogan e senza lasciare che le periferie restino, ancora una volta, a distanza di sicurezza dalle promesse del centro.

Palazzo Civico (Torino) - Wikipedia

Palazzo di Città

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