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16 Dicembre 2025 - 07:00
Belgrado
All’angolo tra via Kneza Miloša e Nemanjina, nel cuore amministrativo di Belgrado, le due sagome ferite dell’ex complesso del Generalštab sembrano trattenere il respiro dal 1999. Il cemento squarciato dalle bombe della Nato è diventato un memoriale involontario, un libro aperto su una guerra mai davvero archiviata. È proprio qui che la Procura serba per il crimine organizzato ha acceso i riflettori, incriminando il 15 dicembre 2025 il ministro della Cultura Nikola Selaković e altri tre funzionari per presunto abuso di potere e falsificazione di documenti.
Secondo gli inquirenti, quei documenti avrebbero revocato in modo illegittimo lo status di bene culturale protetto, sbloccando un progetto immobiliare di lusso collegato alla galassia di investimenti di Jared Kushner. Al centro dell’indagine, una confessione pesantissima: un alto funzionario dell’istituto per la tutela dei beni culturali ha ammesso di aver falsificato l’istruttoria tecnica. Un atto che scuote non solo il governo, ma l’intero sistema di garanzie dello Stato serbo.
Secondo le ricostruzioni di Reuters e Associated Press, la Procura ha depositato un capo d’imputazione contro Selaković, un dirigente del ministero e i vertici del Republički zavod za zaštitu spomenika kulture, l’istituto repubblicano per la protezione dei beni culturali. Le accuse sono gravi: abuso d’ufficio e falsificazione di documenti ufficiali legati alla rimozione della tutela del Generalštab, decisione formalizzata dal governo nel novembre 2024.
Quel via libera amministrativo avrebbe aperto la strada a un accordo con Affinity Global Development, società riconducibile ad Affinity Partners di Jared Kushner, per trasformare l’area in un complesso di hotel di lusso, residenze e spazi commerciali in affitto per 99 anni. Gli inquirenti precisano che, allo stato attuale, non emergono profili di illecito a carico dell’azienda privata: sotto accusa è l’iter pubblico che ha portato alla cancellazione della tutela. Ora spetterà a un giudice decidere se rinviare a giudizio gli imputati.

Il caso è esploso nella primavera del 2025. A maggio, Goran Vasić, allora direttore ad interim dell’istituto repubblicano per la tutela, è stato fermato e interrogato con l’accusa di aver falsificato il parere tecnico su cui il governo aveva basato la revoca del vincolo culturale. Davanti ai magistrati, Vasić ha ammesso di aver manipolato la documentazione.
Un’ammissione che ha fatto saltare l’impianto amministrativo e dato il via a una raffica di verifiche. Secondo la Procura, il parere sarebbe stato redatto “oltrepassando i limiti dell’autorità” e avrebbe “causato danni al patrimonio culturale della Repubblica di Serbia”. Non solo: la struttura tecnica dell’istituto, secondo la stampa locale, si era rifiutata di cancellare il Generalštab dal registro dei beni protetti, nonostante le pressioni. Una frattura profonda all’interno della macchina statale.
Il Generalštab non è un edificio qualunque. Progettato dall’architetto Nikola Dobrović e costruito tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è stato gravemente danneggiato durante i bombardamenti Nato del 1999. Nel 2005 era stato dichiarato bene culturale, trasformando le sue rovine in un simbolo della memoria nazionale.
Nel maggio 2024, il governo serbo ha firmato con Affinity Global Development un accordo quadro per la “riqualificazione” del sito. Il progetto prevede la demolizione delle rovine e la costruzione di un hotel e di due torri residenziali e direzionali, con l’eventuale inserimento di un memoriale dedicato alle vittime dei bombardamenti. L’investimento stimato oscilla tra i 500 e i 650 milioni di dollari o euro, con una concessione novantanovennale.
A inizio novembre 2025, il Parlamento ha approvato una lex specialis che accelera demolizioni e permessi sull’isolato, senza citare esplicitamente la società privata ma definendo il progetto “di interesse generale”. Una scorciatoia normativa che ha incendiato il dibattito pubblico.
Negli ultimi mesi, migliaia di persone sono scese in strada a Belgrado: studenti, architetti, attivisti, familiari delle vittime del 1999. Per molti, abbattere le rovine significherebbe cancellare la memoria e monetizzare un trauma collettivo. Le proteste si sono saldate a un malcontento più ampio, alimentato dal crollo della pensilina della stazione di Novi Sad nell’autunno 2024, che causò 16 morti, e da una serie di scandali su appalti e sicurezza.
Il Generalštab è diventato così una cartina di tornasole: come si trattano i luoghi della sofferenza? È legittimo trasformarli in asset immobiliari?
Dall’altra parte, il presidente Aleksandar Vučić e i sostenitori del progetto insistono sull’argomento dello sviluppo: rigenerare l’area per attrarre investimenti, turismo e rafforzare i legami con gli Stati Uniti. La maggioranza parlamentare ha difeso la lex specialis come strumento per sbloccare un cantiere strategico.
Documenti circolati sulla stampa descrivono una struttura contrattuale favorevole al partner privato: quota di maggioranza superiore al 70% nella joint venture, demolizioni rapide a carico dello Stato, concessione gratuita di lungo periodo e un perimetro urbanistico disegnato su misura. Un impianto che ha alimentato sospetti di opacità e conflitti di interesse.
Secondo alcune testimonianze raccolte dagli inquirenti, sarebbero arrivate pressioni dal ministero affinché funzionari tecnici predisponessero proposte di revoca della tutela fuori dalle loro competenze. La responsabilità politica del ministro Selaković è ora al vaglio della magistratura; la difesa respinge ogni accusa.
Affinity Global Development ha dichiarato di non avere alcun ruolo nella revisione dello status culturale del sito e di non aver avviato alcun cantiere. Il progetto, afferma la società, resta in fase di valutazione alla luce degli sviluppi giudiziari. È stata ribadita anche l’intenzione di includere un memoriale per le vittime del 1999, ma il nodo politico resta: un investimento privato su uno dei luoghi più sensibili dei Balcani.
Il caso del Generalštab va oltre i confini serbi. In molte città europee, la pressione immobiliare si scontra con sistemi di tutela indeboliti e con la tentazione di aggirare regole e processi partecipativi tramite leggi speciali. Qui, la posta in gioco è alta: diritto, città e memoria.
Se il procedimento penale confermerà la falsificazione e l’abuso di potere, non basterà annullare un atto amministrativo. Sarà necessario ricostruire fiducia: nelle istituzioni, nei tecnici, nella politica. Perché i luoghi contesi non si risolvono con scorciatoie, ma con trasparenza, tempo e rispetto della memoria.
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