Inizia tutto qualche minuto prima delle 6. Davanti al cancello 3 di Mirafiori, il caporeparto Adriano Albertino sta entrando in fabbrica per iniziare il turno del mattino. È ancora buio, fa molto freddo e gli operai sono già al loro posto: lo spiazzo davanti allo stabilimento è deserto.
Albertino sta per varcare l’ingresso quando dal nulla sbucano due uomini. Sono a volto scoperto e probabilmente la vittima li scambia per dei dipendenti. Quando si accorge delle pistole è tardi. Lo colpiscono alle gambe per sette volte, fratturandogli entrambi i femori, e poi scappano su una 127 amaranto. Un’auto rubata il giorno prima, insieme a una 128 verde.
Un’ora dopo la rivendicazione spiega anche la scelta dell’obbiettivo: <<Qui Brigate Rosse. Abbiamo sospeso noi il caporeparto carrozzeria. Se tornerà in fabbrica lo elimineremo>>. La risposta del terrorismo alle 61 lettere di “sospensione” e poi licenziamento inviate qualche mese prima ad altrettanti operai FIAT accusati di negligenza sul posto di lavoro e di connivenza con gli estremisti. Albertino aveva consegnato personalmente una di queste lettere a uno dei coinvolti. Ritornerà a camminare dopo tre mesi.
Passa un’ora e allo stabilimento FIAT del Lingotto, in via Nizza 250, due guardiani, Dalmazio Vassallo e Francesco de Francesco sono in perlustrazione a causa di alcuni movimenti sospetti nel piazzale di fronte all’ingresso. Sbucano in due, pistole spianate, che li disarmano e li caricano su un furgone.
Gli sequestrano anche i walkie-talkie per comunicare all’esterno coi complici: è una rapina, ci sono due miliardi di tredicesime da portare via.
Non vedendoli tornare, tre colleghi degli ostaggi vanno a cercarli ma anche loro vengono aggrediti e privati delle armi. Nel caos generatosi, però, De Francesco riesce a fuggire e a dare l’allarme, facendo saltare il piano dei banditi. Questi ultimi, vistisi scoperti, decidono allora di prendere in ostaggio Vassallo e un altro vigilante, Michele Alborno. Fermano una Lancia Delta di passaggio, costringono il proprietario a scendere e sgommano in direzione Moncalieri, dove i due sorveglianti verranno scaricati.
Non è ancora finita.
Ore 9, sede di Rivalta.
Si presentano in dieci armati e vestiti in tuta blu da operaio. Devono conoscere bene il luogo perché agiscono rapidamente, senza esitazione. Un gruppetto sequestra la guardia all’ingresso, Giuseppe Boldrini, mentre gli altri si dirigono dritti verso l’ufficio paghe. Attendono pazientemente il momento giusto e poi, fulminei, irrompono e si fanno aprire la cassaforte da una spaventatissima impiegata. Bottino oltre 500 milioni di lire.
Come seguendo un percorso studiato nei minimi dettagli in precedenza, escono dal retro sfondando una vetrata e fuggono scavalcando un muro alto tre metri. Da notare come gli spunzoni metallici antiladro presenti in cima sono risulteranno essere stati precedentemente piegati da alcuni complici. Una parte della banda verrà vista scappare su una 128 verde.
Un’ora dopo, intorno alle 10,15, la stessa auto (insieme alla 127 amaranto) viene vista nei pressi dell’ingresso della FIAT Iveco di via Cigna, angolo via Valprato.
Scendono in due, armati di pistola e mitra, e si dirigono verso gli uffici. Un custode, Michele Sacco, 53 anni, disarmato, si accorge della minaccia e tenta di dare l’allarme. Uno dei criminali apre il fuoco e lo colpisce con quattro proiettili alle gambe. Col ferito in un lago di sangue, gli attentatori fanno per andarsene, quando un camionista, che ha assistito alla scena, scende dal mezzo, tentando di disarmare lo sparatore. Ne nasce una brutale colluttazione che finisce con l’autotrasportatore picchiato a sangue col calcio del mitra e costretto a desistere. Finiranno all’ospedale entrambi. Sacco, con la tibia fratturata, se la caverà in 90 giorni.
Dei quattro agguati solo quello ad Albertino viene esplicitamente rivendicato nei momenti successivi. Altre telefonate continueranno ad arrivare alle forze dell’ordine durante la mattinata e il resto della giornata. Hanno sparato ancora, ci sono altri feriti.
Ma non è vero. Sono solo falsi allarmi fanno correre gli inquirenti da una parte all’altra della città in un piano evidentemente organizzato nei minimi dettagli.
Un paio di anni dopo si scoprirà che quel 14 dicembre 1979 in azione sono andati dei pesci piccoli della colonna torinese delle BR ma, almeno per stavolta, in “joint venture” con un gruppo di criminali comuni, con i quali avevano fraternizzato tempo prima in carcere.
Una giornata, per altro, nella quale il sangue finisce di scorrere solo a tarda notte. Sono le 23, infatti, quando a Rivoli, di fronte alla ELCAT (che curiosamente fornisce l’intelaiatura metallica dei sedili delle auto proprio della FIAT) in una sparatoria con i carabinieri rimane ucciso Roberto Pautasso, presunto appartenente a Prima Linea.
Ma questa è un’altra storia.
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