Quando hanno visto arrivare quei 10/12 ragazzi nessuno si è insospettito.
Sono un gruppetto ben vestito, portano delle valigette e, nell’atrio della Scuola di Amministrazione Aziendale di via Ventimiglia 115, a Torino, sembrano solo degli studenti arrivati a lezione. Sono circa
le 15 dell'11 dicembre 1979.
L'ingresso della Scuola di Amministrazione Aziendale
Quando uno di loro entra nell’aula magna e dichiara di essere di Prima Linea non lo prendono sul serio. Dai banchi, dove ci sono circa cento giovani a seguire una lezione di statistica, partono delle risate, delle battute, si pensa a un mitomane. L’ilarità finisce quando l’uomo apre il cappotto e mostra due grosse pistole: «State calmi e niente scherzi. Siamo qui per una dimostrazione proletaria».
Nel frattempo, la stessa scena si ripete nella stanza a fianco, in cui si tiene il master in diritto d’impresa. Rivoltelle e mitra alla mano, la sala viene svuotata dei sessanta allievi presenti che, insieme a bidelli, insegnanti e altre persone presenti nel cortile e nel bar, vengono tutti convogliati nell’aula magna. Il commando isola completamente l’edificio in modo che nessuno possa chiedere aiuto e, ai tempi, non è neanche troppo complicato: i cellulari ancora non esistono, basta tagliare i cavi dei telefoni fissi e nessuno può fare più nulla.
In un silenzio surreale, una ragazza bionda del commando sale sulla cattedra e legge un volantino: «Siamo di Prima Linea, l’edificio è occupato. Noi vogliamo rivoluzionare il sistema, questo non è che il proseguimento dell’azione intrapresa con l’eliminazione di Carlo Ghiglieno [Un dirigente Fiat ucciso due mesi prima, nda] Qui si formano i quadri dirigenti per le multinazionali! Abbandonate questi studi!».
Mentre uno del gruppo verga sulla lavagna i nomi di Matteo Caggegi e Barbara Azzaroni (due piellini morti in uno scontro a fuoco con la polizia in febbraio) inizia un incredibile dibattito tra i terroristi e i ragazzi. Uno dice di essere venuto da Foggia per studiare in quel posto e gli viene risposto che PL lo accoglierebbe volentieri tra le sua fila. Un altro segnala di essere disoccupato e che vorrebbe trovare un posto nella società, ma la donna gli ribatte che la società di cui parla va distrutta. Gli chiedono quale sia la differenza tra loro e le BR e, come se fosse una conferenza stampa, si sentono replicare: <<Lo capirete dal volantino che diffonderemo>>.
Lo scambio di battute finisce in fretta e vengono selezionate dieci persone, cinque tra i professori e cinque tra gli studenti. Gli allievi sono Giampaolo Giuliano, Giuliano Dall’Occhio, Renzo Poser, Tommaso Prete e Pietro Tangari. Gli altri cinque sono il dirigente dell’Olivetti Paolo Turin e i professori (e dirigenti Fiat) Angelo Scordo, Lorenzo Uasone, Diego Pannoni e Vittorio Musso. Vengono portati in corridoio, con le mani legate e le bocche tappate col nastro adesivo. Allineati contro il muro, come durante un’esecuzione, ricevono due colpi di pistola alle gambe a testa.
Uno dopo l’altro, come in un rito, ognuno ascoltando i gemiti di quello colpito precedentemente nella fila. L’azione si conclude col sibilo delle bombolette di vernice rossa che, anche su quei muri, scrivono a caratteri cubitali PRIMA LINEA e i nomi dei compagni morti.
Sono le 15,45 e il commando lascia l’edificio immerso nel pungente odore della polvere da sparo e nel sangue delle vittime. Se la caveranno tutte ma una di queste, Giampaolo Giuliano, verrà salvato all’ospedale perché una pallottola gli ha tranciato l’arteria femorale. Rimarrà invalido a vita.
Nel 1981, la magistratura, grazie alle rivelazioni dei pentiti Fabrizio Giai e Franco Albesano, arriva ai colpevoli. I due si autoaccusano e forniscono i nomi dei loro complici: Sergio Segio, Roberto Rosso, Maurice Bignami, Susanna Ronconi,
Liviana Tosi, Maria Teresa Conti, Bruno Laronga, Lucio Di Giacomo, Francesco D’Ursi,
Maurizio Costa, Piergiorgio Palmero, Paolo Zambianchi e Michele Viscardi.