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Revenge porn come moneta sociale: lo studio dell’Università di Torino

Lo studio rivela meccanismi di gruppo che normalizzano la violenza digitale

Revenge porn come moneta sociale

Revenge porn come moneta sociale: lo studio dell’Università di Torino (foto di repertorio)

Lo studio elaborato dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino descrive il revenge porn non come un gesto isolato né come il risultato di devianze individuali, ma come un vero e proprio meccanismo culturale radicato nei gruppi maschili eterosessuali. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Psychology of Men & Masculinities dell’American Psychological Association, analizza un fenomeno che resta sommerso ma diffuso, sostenuto da dinamiche di potere e da pratiche collettive che confermano la fragilità del consenso femminile nell’ecosistema digitale.

La ricerca mette in relazione la propensione a condividere senza consenso immagini o video intimi con l’adesione a modelli di mascolinità egemonica, evidenziando come la diffusione dei contenuti non sia soltanto un atto di prevaricazione personale, ma un modo per ottenere riconoscimento all’interno della cerchia maschile. Le autrici, Elisa Berlin e Chiara Rollero, definiscono questi materiali come strumenti di scambio che diventano simboli di conquista e gratificazione sociale. Nello studio si legge che «I materiali intimi vengono spesso trattati come oggetti di scambio, trofei o prove di conquista sessuale», un comportamento che contribuisce a consolidare rapporti di potere e a rafforzare l’idea distorta del corpo femminile come risorsa condivisa e non come spazio soggettivo inviolabile. Le dinamiche che accompagnano questi scambi digitali sono intrise di linguaggi misogini, pratiche di slut–shaming e svalutazione evidente del consenso.

Secondo l’analisi, il coinvolgimento può essere sia attivo sia passivo. Anche la sola visualizzazione di contenuti ottenuti illegalmente alimenta un sistema omosociale in cui parlare di sesso diventa un rituale di appartenenza, una forma di cementazione della gerarchia interna. Berlin e Rollero sottolineano come, in questo contesto, l’empatia verso le vittime venga percepita come una minaccia allo status maschile, mentre la dominanza si riafferma attraverso la sexualizzazione continua delle donne. Questo rivela una cornice culturale dove il valore personale si misura anche attraverso la capacità di accedere o esibire materiale intimo che riguarda partner o ex partner, trasformando l’intimità in un bene pubblico e scambiabile.

La ricerca si distingue per la sua ampiezza metodologica: si basa sull’analisi di 19 articoli scientifici internazionali individuati attraverso una selezione sistematica condotta in cinque database – Apa PsycInfo, Apa PsycArticles, Gender Studies Database, Scopus e Web of Science. Da questa base emerge un quadro coerente che collega comportamenti diffusi e strutture culturali profonde, lontane dalla narrazione del gesto individuale o dell’impulso incontrollato.

Lo studio evidenzia l’urgenza di interventi educativi che affrontino alla radice il rapporto tra mascolinità, potere e sessualità online, suggerendo un approccio formativo capace di scardinare normalizzazioni tossiche e rituali sociali che trasformano la violenza digitale in un fenomeno accettato o addirittura valorizzato. Il revenge porn, interpretato in questa chiave, diventa la punta dell’iceberg di un modello culturale che richiede un cambiamento strutturale, non episodico. Una responsabilità che non ricade sulle sole vittime, ma sull’intero ecosistema sociale e istituzionale chiamato a ripensare linguaggi, educazione affettiva e strumenti di prevenzione.

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