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12 Dicembre 2025 - 14:18
La Vigna del Parroco salvata dal tempo: il Ruchè di Ferraris diventa un vino globale senza perdere l’anima (foto: don Cauda)
C’è un pezzo di Monferrato che ha rischiato di sparire in silenzio e che oggi, invece, viaggia sulle tavole di mezzo mondo senza aver perso la propria identità. È la storia del Ruchè di Castagnole Monferrato, vitigno raro e complesso, salvato negli Anni Sessanta dall’intuizione di don Giacomo Cauda, il parroco del paese che decise di recuperare e custodire quelle viti antiche destinate all’oblio. Quelle stesse viti che oggi vivono nella Vigna del Parroco, unico Cru riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura per il Ruchè, e che sono finite, non per caso, nelle mani di Luca Ferraris.
Ferraris è viticoltore per scelta, perito agrario di formazione, torinese di nascita ma monferrino per radici e convinzione. Era il 2001 quando, poco più che ventenne, lasciò Torino per tornare a Castagnole Monferrato, sulla terra dei genitori e dei bisnonni. Di vigneto, allora, ne restava pochissimo: «Mille metri quadrati, era l’orto di mio padre, si sarebbero fatte 800 bottiglie», racconta. Da lì parte una scommessa che oggi appare quasi controcorrente: acquistare nuovi terreni, investire su un vitigno difficile, poco conosciuto, lontano dalle mode del mercato.
Le prime 10.000 bottiglie diventano 60.000 nel giro di tre anni. Ferraris gira il mondo per spiegare un rosso secco e profumato, che sa di rosa, ciliegia selvatica, viola e spezie, e nel frattempo fonda l’Associazione produttori del Ruchè di Castagnole Monferrato, contribuendo a costruire un’identità collettiva attorno a un vino di nicchia. La svolta arriva con l’estero, a partire dagli Stati Uniti, grazie all’incontro con Bonny Doon Vineyard di Randall Grahm. Da lì, il Ruchè smette di essere solo una curiosità locale.
Oggi la Ferraris Agricola produce 300.000 bottiglie all’anno, esportate in 35 Paesi, con un fatturato che si aggira intorno a 1,6 milioni di euro. L’azienda conta dodici dipendenti a tempo indeterminato e ha trasformato la cantina storica dei bisnonni, nel centro del paese, in un Museo del Ruchè, segno di un legame con il territorio che non si è mai spezzato. La Vigna del Parroco, con le viti più antiche del Ruchè Docg, è diventata il simbolo di questa continuità.
Ferraris rivendica anche un percorso di attenzione alla sostenibilità: «Due anni fa abbiamo ottenuto la certificazione Qualitas, siamo stati la prima azienda del Monferrato: sostenibilità ambientale, ma anche sociale ed economico-finanziaria». Un dato che si intreccia con un altro: «Cinque bicchieri su dieci nei wine bar sono di Ruchè», osserva, senza nascondere però le preoccupazioni per un mercato che cambia rapidamente.
I dazi, spiega, non sono il problema principale. «Non mi preoccupa tanto il 15% dei dazi, quanto l’inflazione del dollaro al 15%», visto che gran parte della produzione va all’estero. E poi c’è il clima culturale: «C’è una guerra contro l’alcolismo in Nord Europa e da lì a distruggere il nostro prodotto il passo è breve». A questo si aggiunge la fragilità strutturale dell’agricoltura italiana: «Un mondo molto frammentato, con una media di 2,4 ettari per vinificare. In Francia sono 12,8».
Eppure, nonostante tutto, il Ruchè di Ferraris resta un caso raro: un vino che ha conservato la Vigna del Parroco, la memoria di don Cauda e l’anima di Castagnole Monferrato, riuscendo al tempo stesso a parlare un linguaggio internazionale. Senza diventare altro da sé.
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