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11 Dicembre 2025 - 17:01
Marco Bongi
“Lei è cieco? Bene… mi copi questa lettera!”. Sembra una battuta da film comico, una di quelle scene grottesche che fanno ridere per quanto sono assurde. E invece è successo davvero, nei giorni scorsi, negli uffici dell’Asl To-5 di Chieri. E, come spesso accade quando la realtà supera la fantasia, di ridere non ha voglia nessuno.
L’azienda sanitaria aveva bandito un concorso riservato alle persone con disabilità certificate ai sensi della legge 68/1999: una procedura normale, anzi lodevole nelle intenzioni, pensata per favorire l’inserimento lavorativo degli invalidi civili. Fin qui tutto bene. Non solo: ai candidati era stato chiesto formalmente, tramite una mail ufficiale, di indicare eventuali ausili necessari per sostenere la prova attitudinale. Una premura doverosa. Una garanzia di equità. Una semplice dimostrazione di buon senso.
Peccato che il buon senso, a volte, sembra smarrirsi lungo i corridoi degli uffici pubblici.
Il candidato Angelo Dello Spedale, residente a Settimo Torinese e regolarmente ammesso alla fase finale del concorso, aveva risposto in modo chiaro: essendo cieco parziale, avrebbe avuto bisogno di un lettore di schermo e di un monitor con caratteri ingranditi. Niente di straordinario: strumenti basilari, comunemente utilizzati da chi soffre di disabilità visive. Tutto sembrava procedere verso un regolare svolgimento della prova.

Poi arriva il giorno dell’esame. E qui la realtà si inceppa.
Di lettori di schermo? Nessuna traccia.
Di monitor ingranditi? Nemmeno l’ombra.
Di preparazione adeguata? Non pervenuta.
La commissione, però, si era attrezzata con interpreti LIS per i candidati sordi. Un’attenzione corretta, certo. Ma per i non vedenti… niente. Zero totale. Un vuoto imbarazzante, che trasforma una prova selettiva in una farsa.
A quel punto la ragionevolezza – quella vecchia signora che si ostina a bussare alla porta della pubblica amministrazione – suggerirebbe una soluzione semplice: rinviare la prova, organizzare gli strumenti necessari, garantire pari condizioni. Ma la burocrazia, si sa, non ascolta. La burocrazia ordina.
E così il candidato si sente rivolgere una frase che resterà probabilmente negli annali dell’assurdo: “Prego, si accomodi, ci copi questa lettera e poi le faremo sapere.”
Copiare una lettera. A un cieco parziale. Senza alcun ausilio. Senza un lettore vocale. Senza un monitor leggibile. Senza nulla. Un paradosso che non ha bisogno di commenti, se non quello più ovvio: la prova non può che andare male, nonostante l’impegno del signor Angelo.
E infatti, qualche giorno dopo, arriva la comunicazione della commissione: “NON IDONEO”.
Una sentenza annunciata. Una sconfitta non del candidato, ma del sistema.
A denunciare l’accaduto è Marco Bongi, presidente dell’associazione Progetto in Vista Aps, che non usa mezzi termini.
“Una situazione assurda e grottesca - commenta - Spesso si fa fatica a comprendere la logica con cui alcuni funzionari si approcciano alla complessità della disabilità visiva. Da una parte si denunciano ciechi che magari soltanto fanno la spesa da soli e, al contrario, si pretende che altri copino autonomamente una lettera senza alcun dispositivo ausiliare. La nostra associazione non intende far cadere nel silenzio abusi come questi.”
Un caso che apre interrogativi enormi: a cosa serve bandire concorsi riservati a persone con disabilità se poi non si garantiscono le condizioni minime per partecipare? Quale credibilità può avere un ente pubblico quando chiede ausili specifici e poi non ne fornisce neppure uno? E soprattutto: quante altre persone si saranno trovate – o si troveranno – davanti a ostacoli di questo tipo, invisibili come loro, ma altrettanto concreti?
Il silenzio, però, questa volta non basterà. Perché a volte, dietro una semplice lettera “da copiare”, si nasconde un’idea di inclusione che in Italia rischia ancora di rimanere… lettera morta.
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