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10 Dicembre 2025 - 23:20
La casa dell'ospitalità a Ivrea
Lunedì 15 dicembre, alle 17.30, la Casa dell’Ospitalità di Ivrea aprirà le sue porte alla comunità per un momento di raccoglimento che va oltre il rito: una Santa Messa celebrata a circa un mese dalla scomparsa di Piero Morello, Giuseppe Fogaroli e don Nanni Fantini, tre uomini che in modi diversi hanno intrecciato la loro vita con quella della struttura di via Burolo 41, lasciando un segno profondo fatto di presenza, amicizia, dedizione e servizio.
A presiedere la celebrazione sarà don Arnaldo Bigio, che conosce bene la storia della Casa dell’Ospitalità e il legame che queste tre figure hanno costruito nel tempo con operatori, volontari e ospiti. Sarà un momento intimo, ma al tempo stesso corale: un rito che diventa memoria viva, un modo per dire grazie a tre uomini che, pur diversi tra loro, hanno rappresentato un punto di riferimento costante.
Piero Morello, ricordano alla Casa, era uno di quegli amici che non hanno bisogno di ruoli ufficiali per diventare fondamentali. Era presente, sempre. Con discrezione, con un sorriso che sapeva alleggerire anche le giornate più complicate. Per anni ha offerto il suo tempo, le sue mani, la sua generosità a chi ne aveva più bisogno, senza chiedere nulla in cambio. Era un volto familiare per gli ospiti e per il personale, una figura capace di creare ponti tra le persone, di far sentire la Casa come un luogo dove non si è mai soli.
Giuseppe Fogaroli, allo stesso modo, apparteneva a quella categoria di persone preziose e silenziose che fanno funzionare le realtà del volontariato senza mai cercare riconoscimenti pubblici. Non era l’uomo delle grandi parole, ma dei piccoli gesti quotidiani: quelli che, nell’economia di una struttura come la Casa dell’Ospitalità, diventano fondamentali. Sempre puntuale, sempre disponibile, sempre attento ai bisogni degli altri. Chi ha lavorato con lui ricorda la sua capacità di esserci nel modo giusto, con un rispetto profondo per la fragilità altrui. Anche per lui il ricordo è unanime: una persona buona, sincera, generosa.
Diverso ancora il percorso di don Giuliano Antonio “don Nanni” Fantini, missionario “Fidei Donum” della diocesi di Ivrea, partito quasi quarant’anni fa per il Brasile per servire le comunità di Bahia e poi di Barra do Piraí–Volta Redonda. Uomo di grande fede, instancabile nel servizio, sempre vicino agli ultimi. Nonostante la distanza, don Nanni non aveva mai reciso il filo che lo legava alla sua terra d’origine e alla Casa dell’Ospitalità.
Tre uomini, tre storie diverse, tre modi differenti di interpretare la solidarietà. Ma un unico filo a unirli: la Casa dell’Ospitalità, luogo che da oltre cinquant’anni accoglie, cura e accompagna persone fragili, e che ora, di fronte a questo triplice lutto, sente il bisogno di ritrovarsi insieme per ricordare, ringraziare, respirare memoria.
La Messa del 15 dicembre non sarà soltanto un rito, ma un gesto collettivo: il riconoscimento che la forza di una comunità sta anche nella gratitudine per chi, in vita, ha saputo costruire legami, offrire tempo, dare ascolto, custodire umanità.
E che la morte, quando arriva così ravvicinata, non può spezzare ciò che resta: la testimonianza, la presenza, l’eredità morale.
La Casa dell’Ospitalità invita dunque amici, familiari, volontari, operatori e tutti coloro che hanno conosciuto Piero, Giuseppe e don Nanni a partecipare a questo momento di raccoglimento. Perché ricordare non è un atto formale: è un modo per continuare a costruire quella stessa comunità che loro, con stili diversi ma con identica intensità, hanno contribuito a rendere più forte, più accogliente, più umana.

Don Nanni
l 16 novembre 2025 la comunità di Lídice, in Brasile, ha preso lentamente coscienza di un’assenza che nessuno avrebbe voluto immaginare. Don Giuliano Antonio Fantini, per tutti don Nanni, si è spento a 82 anni, nella terra dove aveva scelto di vivere e servire per quasi quarant’anni.
Raccontare di lui solo come “un prete” sarebbe riduttivo.
Nato il 28 luglio 1943, in un’Italia che stava ricostruendo se stessa, maturò presto una vocazione che lo portò al sacerdozio. Si formò a Ivrea, dove venne ordinato il 24 febbraio 1973. Erano anni di apertura e cambiamento nella Chiesa, anni in cui molti sacerdoti cominciavano a guardare oltre i confini tradizionali della pastorale. Don Nanni comprese fin dall’inizio che il suo servizio non si sarebbe esaurito nelle mura di una parrocchia: chiedeva incontro, cammino, disponibilità.
Nel 1987 partì per il Brasile come missionario Fidei Donum. Una scelta impegnativa, che avrebbe segnato in modo definitivo la sua vita. La prima tappa fu lo Stato di Bahia, un luogo ricco di contrasti, dove la povertà e la bellezza convivono senza separarsi. Lì, don Nanni imparò a conoscere le persone prima dei problemi, a muoversi nei quartieri popolari con discrezione, a mettersi accanto a chi spesso non aveva voce. Evangelizzare, capì presto, non significava parlare molto: significava esserci.
Dopo alcuni anni fu trasferito nella diocesi di Barra do Piraí–Volta Redonda, nello Stato di Rio de Janeiro. Ed è nella piccola comunità di Lídice che trovò la sua dimensione più piena. Parroco prima, parroco emerito poi, ma soprattutto presenza costante. Un riferimento per chi cercava ascolto, una figura familiare per chi aveva bisogno di un punto fermo.
Uno degli aspetti più significativi del suo ministero fu la catechesi rivolta agli adulti. Non un percorso formale, ma uno spazio di confronto che aiutava le persone a rileggere la propria vita alla luce del Vangelo. Ore trascorse insieme, spesso in gruppi numerosi, con una Bibbia aperta e un atteggiamento di reale condivisione. Nessuna grande oratoria: piuttosto un modo di procedere semplice, rispettoso, che riusciva a creare fiducia anche in chi, per anni, si era tenuto ai margini della comunità ecclesiale.
Chi lo ha conosciuto ricorda soprattutto la sua capacità di entrare nelle case con naturalezza. Un saluto, un caffè, qualche parola in portoghese dal tono gentile e l’accento piemontese sempre riconoscibile. Poi l’ascolto: una qualità che non ha mai smesso di coltivare. Concludeva spesso gli incontri con poche parole che erano diventate quasi un segno distintivo: Deus te acompanhe. Dio ti accompagni.
Il legame con Ivrea non si è mai affievolito. Quando tornava in Italia, lo faceva senza particolari attenzioni o eventi pubblici. Rivedeva gli amici, raccontava la missione, partecipava alla vita della diocesi. Considerava la Casa dell’Ospitalità un luogo che, nel suo modo concreto e quotidiano, incarnava lo stesso spirito che lui cercava di vivere in Brasile: attenzione alle persone, rispetto della fragilità, cura delle relazioni.
Nel 2023 la comunità di Lídice celebrò i 50 anni del suo sacerdozio. Fu una festa semplice, come lui desiderava, ma vissuta con grande partecipazione. Nei volti delle persone che accompagnava da anni vedeva il risultato di un lavoro paziente: ciò che chiamava “la semina lenta”, la convinzione che la crescita spirituale richieda tempo e continuità.
La notizia della sua morte, diffusa ufficialmente dalla diocesi brasiliana, lo descriveva come un sacerdote “dedicato, umile, vicino al popolo”. Parole misurate, che corrispondevano alla percezione di chi lo aveva conosciuto da vicino. Non amava essere celebrato, ma aveva costruito, con coerenza, un rapporto profondo con la comunità.
Il funerale, celebrato nella Paróquia Santo Antônio, è stato un momento di partecipazione intensa. Persone di ogni età hanno voluto accompagnarlo, riconoscendo in lui una figura che aveva inciso sulle loro vite. Non solo come guida spirituale, ma come presenza affidabile nei momenti difficili. Il corteo fino al cimitero di Lídice è stato semplice e raccolto: un modo sobrio per salutarlo, come lui avrebbe desiderato.
Oggi la sua eredità continua nel lavoro delle comunità che ha seguito, nei percorsi che ha avviato, nelle persone che ha incoraggiato. Rimane il legame con il Canavese e con la sua diocesi, così come il ricordo di quanti lo hanno incontrato anche solo di passaggio. La sua testimonianza resta soprattutto nel suo stile: una fede che non cercava visibilità, ma che sapeva farsi strada nella vita quotidiana con calma, rispetto e costanza.
Tra le frasi che lasciava spesso ai suoi interlocutori, ce n’è una che riassume bene il suo modo di essere:
“Dio cammina sempre davanti a noi. Basta seguirlo.”
Non era uno slogan, né un motto spirituale. Era semplicemente il suo modo di vivere. E, per chi lo ha conosciuto, continua a essere una direzione.
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