Cerca

Attualità

Crolla del 62% il numero di neonati non riconosciuti: uno studio piemontese spiega perché dietro ai numeri c’è più paura che progresso

Dati Istat, analisi pedagogica e allarme informativo in un fenomeno in profonda trasformazione

Crolla del 62%

Crolla del 62% il numero di neonati non riconosciuti: uno studio piemontese spiega perché dietro ai numeri c’è più paura che progresso

Il fenomeno dei neonati non riconosciuti alla nascita e dichiarati adottabili sta vivendo in Italia una trasformazione profonda, lenta ma costante, che interroga non solo la società ma anche il mondo sanitario, quello giudiziario e le discipline pedagogiche. Nell’arco di quindici anni, dal 2007 al 2022, il tasso dei bambini lasciati in anonimato è diminuito del 62,3%, passando da 1,14 ogni mille neonati a 0,43. Un crollo che sorprende gli studiosi e che non trova spiegazioni immediate sul piano sociale, economico o demografico. I dati, diffusi dall’Istat, sono stati presentati da Paola Ricchiardi, docente associata di Pedagogia Sperimentale all’Università di Torino, nel corso del convegno “Il diritto alla segretezza del parto”, organizzato dalla Città metropolitana di Torino.

Un tema complesso, che sfiora aspetti giuridici, psicologici, etici e culturali, e che oggi sembra orientarsi su direzioni nuove, dove la paura di essere rintracciate si affianca alla scarsa informazione e alla stigmatizzazione sociale.

La docente parte da un’osservazione che definisce “centrale”: «Certamente c’è un incremento importante di accesso all’identità da parte degli adottati adulti e questo potrebbe spaventare le mamme». Una dinamica, quella dell’accesso alle origini biologiche, che negli ultimi anni si è intensificata grazie alle modifiche legislative e alla crescente sensibilità pubblica sul tema. Ma a cambiare, sottolinea Ricchiardi, sono anche gli strumenti di ricerca informale: «In più con i social diventa più facile, magari, rintracciare una persona o avere notizie su una persona, e ci sono telecamere anche davanti agli ospedali. Quindi può essere che ci sia una maggior paura delle donne di essere rintracciate».

La studiosa scarta invece l’ipotesi che il calo dei neonati non riconosciuti possa essere attribuito a un miglioramento strutturale della condizione femminile. «Non è legato a una minor vulnerabilità femminile», afferma senza esitazioni. «Perché riguardo a violenza sulle donne, unità familiare, povertà femminile e all’occupazione femminile, non possiamo certo dire che c’è stato un miglioramento tale da giustificare questa situazione». E aggiunge: «Non è giustificabile neanche con il numero degli aborti, e quindi bisogna andare a cercare altre cause, altre cause che non possono essere dimostrate, perché è una situazione in cui è significativo il sommerso».

Un’analisi che apre molti interrogativi sulla relazione tra privacy, paura, informazione e rappresentazione sociale della maternità anonima. Proprio su quest’ultimo punto, Ricchiardi insiste con lucidità: «C’è una stigmatizzazione importante della decisione femminile che potrebbe non dare un aiuto. E nei social e nelle serie tv c’è uno sbilanciamento verso i diritti del bambino. Ci sono dei diritti che vanno tenuti assolutamente in equilibrio, tra quelli della donna e quelli del bambino».

La narrazione pubblica, dunque, potrebbe condizionare la possibilità delle donne di scegliere un percorso protetto e legalmente riconosciuto, spingendole verso il sommerso, e quindi verso forme di abbandono non tutelate che espongono madre e neonato a rischi enormi.

Il quadro piemontese offre elementi ulteriori di riflessione. Anche qui i dati mostrano una diminuzione significativa del fenomeno: da circa 1,20 neonati non riconosciuti ogni mille nati nel 2008 si è scesi a circa 0,50 nel 2022. Un calo importante, ma caratterizzato da oscillazioni, picchi e differenze interne che meritano attenzione. «Un elemento importante», osserva Ricchiardi, «è che in Piemonte si è rilevato che mentre il numero delle donne, in termini generali, che ricorrono al parto in anonimato è piuttosto stabile, decresce quello delle donne straniere».

Un dato che apre scenari complessi. La docente ne suggerisce alcuni: «Un’ipotesi quindi è che ci sia una maggior paura da parte delle donne straniere. Può essere che siano donne senza documenti. Potrebbe essere che, essendo che in altri paesi non esiste la possibilità del parto in anonimato, queste donne non vengano informate adeguatamente». Non solo. L’analisi condotta durante il convegno mostra criticità persino tra gli operatori sanitari: «Abbiamo portato dei dati anche relativi alle conoscenze, alle informazioni che hanno gli operatori sanitari. Ci sono ancora delle lacune anche tra i più informati, quindi potrebbe esserci un problema di informazione».

Il parto in anonimato, figura giuridica che in Italia esiste dal 1940 e che garantisce alla donna il diritto di non riconoscere il neonato senza incorrere in reati o procedure punitive, sembra dunque vivere una fase in cui la tutela formale non basta. Il rischio, secondo gli studiosi, è che il diritto esista sulla carta ma non venga esercitato per paura o per disinformazione. Un diritto non conosciuto, infatti, è un diritto fragile, incapace di proteggere chi dovrebbe esserne il principale beneficiario.

L’aspetto culturale emerge ancora una volta nelle parole di Ricchiardi, quando denuncia l’uso improprio di una parola carica di stigma: «Negli articoli viene ancora marchiato come abbandono il caso della donna che decide di portare a termine una gravidanza, di accedere a un parto in anonimato, quindi dando il suo bambino a una famiglia adottiva che lo potrà crescere, che è un’enorme atto d’amore da parte di queste donne». Il linguaggio, insiste, può trasformare un percorso legittimo e protetto in un gesto percepito come colpevole, con un impatto pesante sulle scelte delle donne.

In questo scenario, il calo del tasso di neonati non riconosciuti non appare come un dato positivo in sé. Non è un segnale di maggiore equilibrio sociale, non è il risultato di politiche di sostegno alla maternità, né un indicatore di diminuzione delle fragilità. Al contrario, rischia di essere la spia di una difficoltà crescente nell’accedere a un diritto fondamentale, quello della segretezza del parto. Un diritto che dovrebbe garantire protezione, anonimato e la possibilità di consegnare il proprio bambino alla nascita in mani sicure, permettendo nel contempo un percorso di vita dignitoso e protetto.

Il fenomeno, d’altra parte, dialoga anche con il tema dell’accesso alle origini, un diritto riconosciuto ai figli adottati ma che, negli ultimi anni, ha riacceso il dibattito sul bilanciamento tra riservatezza della madre e identità personale dell’adottato. Le due istanze – privacy della donna e diritto dell’adulto adottato – non sono antagoniste per definizione, ma richiedono una giustizia delicata, che sappia non trasformare un diritto in un deterrente.

Il convegno della Città metropolitana, riunendo studiosi, amministratori e operatori sanitari, ha messo in luce un’esigenza urgente: costruire una rete informativa più solida, capace di raggiungere non solo le donne italiane ma anche quelle straniere, spesso più esposte a vulnerabilità giuridiche e sociali. E formare meglio gli operatori che si trovano in prima linea, dalle ostetriche ai medici, fino ai servizi sociali, perché possano orientare correttamente chi si trova in situazioni di forte fragilità.

Il tema del parto in anonimato – in un’Italia che continua a registrare fragilità sociali, povertà femminile, violenza domestica e maternità complesse – non può essere affrontato con tabelle fredde o semplificazioni normative. È un nodo che tiene insieme la dignità delle donne, il futuro dei bambini, la responsabilità delle istituzioni e la necessità di un linguaggio pubblico che non ferisca ma protegga.

In questo senso, l’intervento di Ricchiardi, con la sua analisi scientifica e il suo richiamo alla complessità, diventa un invito a ripensare il sistema non in termini emergenziali ma strutturali: informare, formare, proteggere, accompagnare. Perché il calo dei numeri, se accompagnato dal calo della tutela, non è un dato positivo. È un segnale di allarme.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori