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Regione Piemonte sotto pressione: i sindacati sbattono in faccia a Chiorino il disastro TIM–Telecontact

All’incontro a Torino le sigle SLC CGIL, FISTEL CISL e UILCOM UIL denunciano la cessione di 1.600 lavoratori a una società con 10 mila euro di capitale. Solo a Ivrea ne vanno in bilico 90. “Serve una politica industriale o l’eporediese collassa”.

Regione Piemonte sotto pressione: i sindacati sbattono in faccia a Chiorino il disastro TIM–Telecontact

L'assessore regionale Chiorino

Si è svolto questa mattina, negli uffici della Regione Piemonte, un incontro che segna un nuovo, cruciale capitolo della lunga e tormentata vicenda Telecontact, la società di customer care del gruppo TIM la cui cessione alla neonata DNA S.r.l. continua a sollevare polemiche, timori e una mobilitazione sindacale che ormai non accenna a spegnersi.

Su richiesta congiunta delle organizzazioni sindacali SLC CGIL, FISTEL CISL e UILCOM UIL del Piemonte, l’appuntamento istituzionale aveva un obiettivo molto chiaro: ribadire, ancora una volta, il netto no alla vendita di un pezzo fondamentale dei servizi TLC e denunciare alle istituzioni regionali le gravi ripercussioni che l’operazione rischia di provocare sui territori, a cominciare da quello eporediese. All’incontro erano presenti la vicepresidente della Regione Elena Chiorino, la rappresentante della Città metropolitana di Torino Sonia Cambursano, il sindaco di Ivrea Matteo Chiantore e l’assessora con delega al lavoro Gabriella Colosso, chiamati a confrontarsi con un fronte sindacale che non arretra di un millimetro.

Le sigle hanno ribadito con fermezza ciò che denunciano da tempo: la cessione di Telecontact non è una semplice operazione societaria, ma l’ennesimo tassello nello smantellamento progressivo di TIM, un’azienda che fino a pochi anni fa era il quinto operatore mondiale delle telecomunicazioni e che oggi sembra volersi disfare di tutto.

Dopo la vendita di Olivetti al gruppo Buffetti, dopo il trasferimento della rete al fondo statunitense KKR, e dopo una serie di spin-off che hanno già ridisegnato una parte consistente dell’azienda, ora tocca al customer care. E proprio qui sta il punto: secondo i sindacati, questa operazione rappresenta la fine definitiva della possibilità di trasformare il settore dei contact center in un ambito moderno, industrialmente rilevante e stabile per il Paese.

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I numeri illustrati durante l’incontro parlano da soli. La cessione coinvolgerebbe complessivamente 1.591 lavoratrici e lavoratori, di cui 90 a Ivrea. Tutti verrebbero trasferiti a DNA S.r.l., una società creata ad hoc, con soli 10 mila euro di capitale sociale.

È questa fragilità strutturale, prima ancora dei contenuti dell’accordo, a inquietare il sindacato: un soggetto nuovo, poco capitalizzato, senza un piano industriale pubblico, chiamato a gestire un ramo d’azienda strategico non solo per TIM, ma per l’intero mercato delle telecomunicazioni. Una prospettiva che, nella lettura dei rappresentanti dei lavoratori, mette a rischio non soltanto i livelli occupazionali immediati, ma anche ogni possibilità di sviluppo futuro.

Durante il confronto, le organizzazioni sindacali hanno ricordato come l’ingresso di Poste Italiane nel capitale TIM – oggi con una quota poco inferiore al 25% – avesse lasciato intravedere la possibilità di un cambio di paradigma, il ritorno di un soggetto pubblico capace di ristabilire una visione industriale in un comparto strategico. Un’opportunità che, però, non si è concretizzata: al contrario, lo scenario attuale sembra andare nella direzione opposta, con una frammentazione crescente e operazioni di cessione prive di un disegno strategico. "Per questo - hanno spiegato i rappresentanti sindacali -  non è pensabile arrivare a un accordo che non contenga garanzie reali: non solo tutele immediate, ma un orizzonte industriale credibile...".

Nel corso dell’incontro, il sindacato ha chiesto alla Regione di accendere finalmente un faro su Ivrea e sull’intero territorio eporediese. Il documento consegnato a Chiorino ricorda che, negli anni, proprio le Telecomunicazioni erano diventate il naturale sbocco industriale dopo il disfacimento del mondo Olivetti.

Oggi quel settore rischia di essere travolto, a causa di scelte aziendali giudicate miopi e, soprattutto, della totale assenza di una politica industriale nazionale nel campo delle TLC. È un allarme che i sindacati ripetono da anni, ma che assume un peso ancora maggiore se si osservano i dati del territorio: su circa 6.000 lavoratori del comparto TLC in Piemonte, 2.000 operano nell’eporediese, distribuiti tra TIM, WIND3, Vodafone (proprio in questi giorni in fase di fusione per incorporazione in Fastweb), Konecta, One OS, INPS Servizi e altre realtà. Un ecosistema vasto, interconnesso, che rischierebbe di perdere un tassello fondamentale.

La richiesta è quella di riunire tutti gli attori – istituzionali, sindacali, imprenditoriali e confindustriali – per costruire una strategia comune che eviti l’impoverimento di uno dei territori già più segnati dalla deindustrializzazione. Il messaggio è chiaro: senza una presa di posizione politica forte, il settore TLC in Piemonte rischia di subire un collasso.

I sindacati, dal canto loro, confermano la piena disponibilità al confronto, ma avvertono che non saranno parte di nessun accordo al ribasso. Il passaggio è delicatissimo, e le ricadute territoriali potenzialmente enormi. È in questa cornice che assume particolare importanza la data del 10 dicembre, quando si terrà un nuovo incontro a livello ministeriale sulla vicenda Telecontact. Un appuntamento che potrebbe segnare una svolta oppure, al contrario, cristallizzare una crisi che da mesi si sta allargando a cerchi concentrici.

Da Torino a Ivrea, il clima è lo stesso: preoccupazione, attesa, consapevolezza di trovarsi di fronte a un bivio. Perché questa non è solo una vertenza aziendale. È un test sulla capacità delle istituzioni di difendere un settore strategico e un territorio che, ancora una volta, si trova costretto a lottare per non essere marginalizzato.

Ivrea, con i suoi 90 lavoratori coinvolti, con la sua storia industriale e con la fragilità economica che la attraversa da anni, diventa l'epicentro di una battaglia più grande. E, come hanno ribadito i sindacati uscendo dall’incontro: "Non c’è più tempo da perdere..."

Telecontact, la cessione a DNA S.r.l. procede nel silenzio. TIM tira dritto, 1.591 lavoratori restano sospesi

La vicenda Telecontact continua ad avanzare senza scossoni apparenti, ma con un livello crescente di inquietudine tra i lavoratori. La decisione di TIM di conferire l’intero ramo d’azienda nella nuova società DNA S.r.l. resta infatti al centro di una vertenza che, giorno dopo giorno, si fa più pesante. Sono 1.591 i dipendenti coinvolti, sparsi tra le sedi di Ivrea, Aosta, Milano, Roma, L’Aquila, Napoli, Catanzaro e Caltanissetta: numeri imponenti, che raccontano da soli la portata dell’operazione.

Il progetto industriale presentato da TIM continua a parlare di riorganizzazione, transizione, nuovi servizi digitali. Ma nelle assemblee dei lavoratori c’è ben altro clima. Le principali sigle sindacali — Slc-CGIL, Fistel-CISL, Uilcom-UIL, affiancate da UGL Telecomunicazioni e USB — parlano apertamente di esternalizzazione mascherata, di una manovra che rischia di scaricare competenze e professionalità consolidate dentro una società nuova di zecca e dal capitale sociale irrisorio: appena 10mila euro.

Le preoccupazioni sono concrete. In tutti i siti Telecontact ci si chiede quali garanzie resteranno in piedi una volta che il passaggio a DNA sarà completato: dai volumi di attività ai livelli occupazionali, fino alla qualità dei contratti. La paura diffusa è quella di un progressivo indebolimento delle tutele, in un settore già duramente colpito da anni di esternalizzazioni e gare al ribasso.

Nel frattempo TIM mantiene una linea di comunicazione prudente, parlando di “ridefinizione del perimetro industriale” e di “percorso di riqualificazione” per il personale trasferito. Formule che non convincono gli addetti ai lavori, convinti che senza un piano industriale dettagliato il rischio sia quello di un semplice spostamento di problemi da una società all’altra.

Sul fronte politico continuano a moltiplicarsi richieste di chiarimento. Partiti di opposizione, in particolare nell’area del centrosinistra, contestano apertamente l’operazione, definendola “una cessione senza visione” e domandando interventi del governo per tutelare l’occupazione e verificare la solidità della newco DNA.

Il quadro resta quindi sospeso: la procedura avanza, i sindacati mantengono lo stato di agitazione, e nelle sedi Telecontact prevale un sentiment di incertezza che nessun documento ufficiale, finora, è riuscito a dissipare. Finché non verranno forniti dettagli chiari sul futuro della nuova società e sul reale destino dei lavoratori, la vicenda resterà un rebus aperto — e carico di tensione — per migliaia di famiglie.

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