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03 Dicembre 2025 - 17:15
Saint-Vincent sotto pressione: il Casinò prende le distanze dai due dirigenti indagati
Il vortice giudiziario scuote la Valle d’Aosta e arriva al Casinò di Saint-Vincent, dove due figure apicali della struttura risultano indagate in una maxi-inchiesta per riciclaggio, corruzione, fatture false e associazione per delinquere. È un fascio d’accuse che tocca complessivamente 33 persone, secondo quanto comunicato dalla Guardia di Finanza, e che ricostruisce un meccanismo articolato di conversione di denaro contante — ritenuto provento di reati fiscali — in fiches, per poi rientrare nel circuito finanziario come se fosse frutto di vincite lecite.
A parlare è Rodolfo Buat, amministratore unico della casa da gioco valdostana: la sua frase, «dobbiamo essere molto attenti a non creare danni per l’azienda», riflette un equilibrio fragile tra tutela dell’ente e necessità di dare risposte immediate a un caso che, per sua natura, non può essere gestito come un episodio ordinario. Buat chiarisce di non avere accesso agli atti dell’indagine e di non voler formulare conclusioni affrettate, ma riconosce che gli elementi emersi «non possono lasciare indifferenti». È una linea di cautela, accompagnata da una decisione già assunta: i clienti «troveranno altri interlocutori», segnale che il Casinò, pur muovendosi entro i limiti del garantismo, sta ridefinendo i ruoli interni in attesa degli sviluppi.

Al centro dell’indagine ci sono Cristiano Sblendorio, direttore dell’ufficio marketing, e Augusto Chasseur Vaser, direttore dell’ufficio cambi e fidi. Secondo gli investigatori, avrebbero reso possibile un flusso sistematico di contanti trasformati in fiches, superando le barriere interne di controllo e monetizzando la propria complicità con mazzette pagate dagli imprenditori coinvolti. Il totale del denaro convertito in un solo anno supera 1,8 milioni di euro, cifra che restituisce la dimensione di una rete strutturata, con un impatto economico e reputazionale tutt’altro che marginale.
Tra gli indagati figura anche Aldo Spinelli, imprenditore genovese, al quale vengono attribuite operazioni per 85 mila euro di fiches ottenute in cambio di mille euro versati sia a Sblendorio sia a Chasseur Vaser. La nota della Guardia di Finanza sottolinea una filiera criminale estesa a più regioni: ieri sono scattate perquisizioni e sequestri in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Toscana, Molise, Sicilia, Calabria, Liguria, Puglia, Campania e Lazio. L’obiettivo era mettere in sicurezza contanti, conti correnti, disponibilità finanziarie e immobili per un totale di circa 5 milioni di euro.
In questo scenario, la posizione dei due dirigenti resta formalmente segnata dalla presunzione di innocenza. Ma l’immagine del Casinò, già sottoposta nel tempo a scrutinio pubblico e a un percorso di rilancio economico e gestionale, viene nuovamente esposta alla vulnerabilità delle condotte individuali. La direzione parla di «valutazioni in corso con i legali» per definire i prossimi passi, senza anticipare misure disciplinari o eventuali sospensioni. Una prudenza che non evita però la percezione di una frattura interna, aggravata dall’eco mediatica dell’inchiesta e dall’inserimento del caso in una rete che abbraccia dieci regioni italiane.
Il sistema emerso dalle prime ricostruzioni investigative mette in luce un meccanismo che, se confermato, si sarebbe potuto reggere solo grazie al ruolo chiave di figure interne con accesso alle procedure di cambio e conversione. È questo ad allarmare il Casinò, consapevole che i controlli interni non sono solo procedure amministrative, ma la condizione minima per preservare la fiducia dei giocatori, del territorio e dei partner istituzionali.
Le prossime settimane saranno decisive per comprendere se e come il quadro accusatorio reggerà alla prova degli interrogatori e dei riscontri documentali. I due dirigenti e gli altri indagati restano tali, e fino all’esito di un processo mantengono la presunzione di innocenza. Intanto, la casa da gioco affronta una fase delicata, stretta tra la necessità di tutelare la propria immagine e l’imperativo di collaborare con le autorità competenti.
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