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02 Dicembre 2025 - 23:11
sanità
Il quadro è chiaro, ma soprattutto preoccupante. L’aderenza terapeutica in Italia si conferma una delle criticità più rilevanti del sistema sanitario, un nodo che incide sulla salute dei cittadini tanto quanto sui conti pubblici. Secondo l’“Indagine civica sull’aderenza terapeutica” di Cittadinanzattiva, realizzata su un campione di 547 pazienti e rappresentanti di associazioni e 2.228 professionisti sanitari, il nostro Paese continua a fare enorme fatica nel garantire continuità alle terapie prescritte. Solo la metà dei cittadini, infatti, segue le cure in modo costante e appropriato. L’altra metà si disperde lungo tre comportamenti ben distinti: c’è chi salta le terapie raramente, una percentuale comunque significativa del 35,6%, chi lo fa in modo occasionale (11,5%) e chi, in misura minore ma non trascurabile (1,5%), non le segue affatto.
Il dato, già di per sé allarmante, si intreccia con le motivazioni fornite da chi quella regolarità terapeutica non riesce a mantenerla. La dimensione psicologica, secondo il report, emerge come uno dei fattori più condizionanti. Molti pazienti parlano di un vero e proprio senso di dipendenza dal farmaco, segnalato dal 28,3% degli intervistati. Altri lamentano una mancanza di motivazione (20,8%) o la percezione di non trovarsi in una situazione di reale pericolo (20,2%). Una fragilità emotiva che, combinata alla progressiva cronicità di molte patologie, rischia di alimentare un distacco sempre più marcato tra prescrizioni e comportamenti quotidiani.
La segretaria generale di Cittadinanzattiva, Anna Lisa Mandorino, contestualizza il problema in un quadro molto più complesso, che non può essere ridotto alla semplice attribuzione di responsabilità individuali. «L’aderenza terapeutica è un fenomeno complesso e, in quanto tale, necessita di interventi personalizzati e allo stesso tempo strutturali per garantire l’efficacia delle cure», spiega. E aggiunge un passaggio decisivo: «Interventi che consentirebbero di contenere le spese economiche derivanti dalla scarsa aderenza alle terapie, stimate in circa 2 miliardi di euro l’anno per il Servizio Sanitario Nazionale». Il tema, dunque, non riguarda soltanto la qualità della presa in carico del paziente, ma l’intero equilibrio del sistema sanitario.
Mandorino lo ribadisce con un’altra osservazione chiave: «Quanto e come il cittadino segua con costanza le terapie è condizionato da fattori di carattere anagrafico, sociale, economico, di stili di vita. Occorre, accanto a interventi di sistema finalizzati a integrare un modello di rete coordinato e supportato da strumenti digitali, puntare molto sul tempo che i professionisti possono dedicare al paziente e ai suoi caregiver». È proprio quel tempo, sempre più risicato nei contesti ambulatoriali e ospedalieri, a rappresentare uno degli elementi che più incidono sulla continuità delle cure.
Nella parte dell’indagine dedicata al confronto con le associazioni di pazienti, emergono alcune priorità considerate fondamentali per invertire la rotta. Al primo posto si colloca la necessità di un rafforzamento della comunicazione tra medico e paziente, indicata dal 22% dei partecipanti. Seguono il coinvolgimento strutturato delle associazioni nei percorsi assistenziali (18%), l’urgenza di una educazione terapeutica capillare e di un’informazione più accessibile (16%), insieme alla formazione e al supporto ai caregiver e ai volontari (12%), riconosciuti come figure centrali nell’accompagnamento quotidiano.
Dal lato dei professionisti, l’indagine mette in luce criticità che affondano le radici nelle condizioni operative. La mancanza di tempo per dialogare con il paziente è un ostacolo ricorrente: lo segnalano il 53,2% degli infermieri, il 45,9% dei medici di medicina generale, il 48,5% dei farmacisti ospedalieri e il 35,3% degli specialisti. Un tempo che spesso non è solo ridotto, ma anche frammentato, e che sottrae spazio alla relazione terapeutica, al confronto sui dubbi del paziente e alla prevenzione degli abbandoni. A questo si somma la scarsa interazione tra colleghi e una formazione insufficiente sul tema dell’aderenza, elementi che contribuiscono a creare un mosaico assistenziale poco coordinato.
Altro fronte critico riguarda la digitalizzazione, ancora troppo lenta e disomogenea. Gli strumenti digitali di monitoraggio – dai reminder automatici ai sistemi di verifica dell’assunzione dei farmaci – risultano utilizzati soprattutto dai medici di medicina generale (58,1%) e dai farmacisti ospedalieri (42,6%). Specialisti, infermieri e farmacisti di comunità, invece, continuano ad affidarsi prevalentemente a modalità tradizionali. Una disparità che rischia di accentuare differenze territoriali e professionali, lasciando indietro quei pazienti che più avrebbero bisogno di un supporto continuativo.
Il report segnala inoltre l’assenza di protocolli strutturati per l’aderenza: più della metà dei professionisti coinvolti dichiara di non avere a disposizione linee guida o procedure operative condivise. Proprio questo gap organizzativo spinge Cittadinanzattiva a delineare un Piano d’azione basato su quattro pilastri considerati imprescindibili. Il primo è quello della governance, con la richiesta di riconoscere l’aderenza terapeutica come indicatore dei Livelli Essenziali di Assistenza. Il secondo è la digitalizzazione, da potenziare attraverso l’interoperabilità e l’introduzione di strumenti come alert e reminder pensati per pazienti e caregiver. Il terzo riguarda l’organizzazione dei servizi, con la necessità di rafforzare la rete multiprofessionale e la prossimità delle cure. Il quarto è la dimensione relazionale, che include il potenziamento del tempo dedicato ai colloqui e l’inserimento più sistematico di assistenti sociali, infermieri di famiglia e associazioni dei pazienti.
Il quadro che emerge dall’indagine è quello di un sistema che, pur avendo riconosciuto l’importanza dell’aderenza terapeutica, fatica ancora a trasformare le buone intenzioni in pratiche consolidate. In mezzo, come sempre, c’è il paziente, con le sue fragilità, i suoi timori e una quotidianità che spesso non riesce a modellarsi sulle rigidità dei protocolli. L’obiettivo ora, sottolinea Cittadinanzattiva, è costruire un ecosistema più flessibile, più vicino ai bisogni reali e sostenuto da strumenti adeguati.
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