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Cronaca

Mazzeo assolto dall’accusa di stalking al Tgr Piemonte: il fatto non sussiste

La giudice Iadeluca dichiara «il fatto non sussiste», restituisce le spese legali all’imputato e chiude un processo che per mesi ha raccontato tensioni, scelte editoriali e fratture interne alla Rai piemontese

Mazzeo assolto dall’accusa di stalking al Tgr Piemonte: il fatto non sussiste

Mazzeo assolto dall’accusa di stalking al Tgr Piemonte: il fatto non sussiste

L’assoluzione arriva in un’aula carica di attesa e segna un punto fermo in una vicenda che da quattro anni attraversa la redazione del Tgr Piemonte. Tarcisio Mazzeo, già caporedattore, è stato assolto perché «il fatto non sussiste» dall’accusa di stalking nei confronti del collega Michele Ruggiero, al termine di un processo che ha scavato nell’organizzazione del lavoro giornalistico, nelle sue rigidità e nei suoi conflitti.

Il collegio, presieduto dalla giudice Immacolata Iadeluca, ha disposto anche che la parte civile versi 8.509 euro all’imputato per le spese legali. Nella precedente udienza, i difensori di Mazzeo — Marco Ferrero e Andrea Scaglia — avevano sollecitato, in caso di assoluzione, un ulteriore ristoro di 10 mila euro per danno d’immagine. Alla lettura del dispositivo, Mazzeo si è commosso: è l’epilogo di anni di accuse, testimonianze e ricostruzioni contrastanti.

La richiesta del pm Gianfranco Colace era stata una condanna a un anno e sei mesi, sostenendo l’esistenza di un’«opera di dossieraggio» e individuando venti condotte ritenute idonee a ledere la dignità professionale del collega. In requisitoria, il pm aveva parlato di demansionamenti, pressioni, turni anticipati nonostante le condizioni di salute, esclusioni da incarichi e una gestione ritenuta ritorsiva, maturata tra il 2017 e il 2021. Ed è in questo contesto che la Procura aveva evocato la figura del caporedattore come motore di un logoramento sistematico, nel tentativo — secondo l’impianto accusatorio — di spingere Ruggiero alle dimissioni.

La difesa ha ribaltato l’intera prospettiva. Ferrero e Scaglia hanno insistito sul principio cardine della professione: equidistanza e responsabilità editoriale. E hanno dipinto un quadro opposto, in cui Ruggiero, a loro dire, avrebbe espresso posizioni e scelte di taglio “contro i 5 Stelle, contro Di Maio, contro Appendino”, generando la necessità di un intervento per ristabilire equilibrio. Nel corso del dibattimento, gli avvocati hanno letto alcune email definite «piene di livore», dirette al caporedattore, per sostenere che Mazzeo avesse mantenuto toni cordiali e istituzionali, senza mai travalicare i limiti del ruolo.

La parte civile, rappresentata dall’avvocata Michela Malerba, ha invece descritto un clima professionale deteriorato, parlando di «tiro al bersaglio». Ha citato una mail interna con la frase «non sappiamo cosa fargli fare», definita un segnale del tentativo di marginalizzare il collega. In aula, Malerba ha ribadito che la sua lettura non si fondava su interpretazioni, ma su atti documentati: «Il mio dovere è attenermi al principio di verità. Le parole hanno un peso. Ruggiero ha subito una sofferenza che si è riacuita in questo processo».

Il verdetto esclude l’esistenza del reato e chiude il fronte penale, ma lascia aperte molte questioni che superano la vicenda individuale. Dove si colloca il confine fra la legittima direzione editoriale e una pressione che può sfociare in condotta persecutoria? Qual è l’equilibrio corretto tra la linea del caporedattore e l’autonomia professionale del cronista? Il caso, pur derubricato dall’aula, fotografa un ambiente attraversato da tensioni su taglio politico, gerarchia delle notizie, gestione dei turni e aspettative di imparzialità.

L’origine del procedimento, come documentato dagli atti della Procura, affonda nelle divergenze esplose sui servizi politici, in particolare quelli giudicati troppo morbidi verso il centrosinistra o troppo severi verso il Movimento 5 Stelle. Da lì, secondo l’accusa, sarebbe partita una spirale di comunicazioni interne, note, rilievi disciplinari e contestazioni. Ma per il collegio giudicante, quei comportamenti non hanno superato la soglia della rilevanza penale.

La sentenza, pur chiara nella formula, lascia una traccia profonda: il limite tra il governo del lavoro giornalistico e il reato di stalking si valuta sulla base della prova, non della percezione. Questa volta, la bilancia ha pesato dalla parte dell’imputato.

Via Verdi a Torino, sede del Tgr

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