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Il Pil cresce, ma il Piemonte no: dietro i numeri di Unioncamere, un’economia che rimbalza senza correre

Crescita, export e occupazione in ripresa, ma tra Torino e il resto della regione emergono fragilità strutturali che Unioncamere non scioglie del tutto

Il Pil cresce

Il Pil cresce, ma il Piemonte no: dietro i numeri di Unioncamere, un’economia che rimbalza senza correre (foto di repertorio)

C’è un paradosso che attraversa il Nord Ovest e che i numeri non riescono del tutto a nascondere. Le relazioni ufficiali raccontano un territorio che accelera, un’area che nel 2024 raggiunge quasi 225 miliardi di euro di Pil e contribuisce per oltre il 10% alla ricchezza nazionale. Una fotografia impeccabile, perfetta per i convegni e per i rapporti annuali, che descrive un mercato del lavoro da 2,5 milioni di occupati e una crescita del 2,7%. Eppure, basta alzare lo sguardo dai grafici per rendersi conto di una verità più scomoda: quella ripresa, presentata come uniforme, non lo è affatto.

In Piemonte, è vero, l’occupazione aumenta del 3%, il tasso sale dal 67,1 al 69% e i disoccupati diminuiscono di 12 mila unità. Ma la distanza tra gli indicatori macroeconomici e la realtà dei territori rimane evidente. A pochi chilometri da Torino, il benessere non arriva con la stessa intensità. E persino nel capoluogo regionale, dove convivono innovazione e fragilità, il clima non restituisce l’immagine di un territorio pienamente risanato. Il racconto istituzionale, insomma, si scontra con la sensazione diffusa di una ripartenza ancora incompleta, più annunciata che percepita.

Secondo Unioncamere, il Piemonte archivia il 2024 con un Pil in aumento del 2,9%, toccando i 161 miliardi di euro. Un dato superiore alla media nazionale, sostenuto da agricoltura, edilizia, servizi e domanda interna. Ma la brillantezza della curva nasconde la sofferenza del settore più identitario della regione: l’industria. La manifattura piemontese attraversa da anni una fase di transizione incerta. L’automotive, che per decenni ha rappresentato la spina dorsale del Pil regionale, continua a pagare ritardi nella transizione tecnologica, nella digitalizzazione, nelle politiche industriali che avrebbero dovuto spingere l’innovazione in modo più deciso.

La stessa manifattura vive oggi in equilibrio instabile tra competitività e limiti strutturali. Le piccole e medie imprese faticano a trovare spazio sui mercati internazionali, mentre la digitalizzazione procede con lentezza. Solo il 9% delle aziende utilizza l’intelligenza artificiale, con un ulteriore 8% pronto a farlo entro l’anno. La metà delle imprese segnala come ostacolo principale la mancanza di competenze: un dato che racconta meglio di qualunque altro la distanza tra il potenziale innovativo e la sua effettiva applicazione. Parlare di competitività, senza incidere su formazione e aggiornamento, rischia così di restare un mantra senza ricadute concrete.

A chiudere il cerchio c’è la lieve contrazione del numero delle imprese: -0,6% rispetto al 2023. Non un’emergenza, ma un segnale importante del disagio delle realtà più piccole, soprattutto artigiane, che continuano a chiudere o a ridimensionarsi. L’export piemontese, pur crescendo fino a 69 miliardi di euro (l’11,1% del totale nazionale), non basta a compensare la fragilità che si percepisce nei centri medi e piccoli, dove molte attività faticano a trovare prospettive reali.

Torino, intanto, si muove in avanti nei settori ad alto valore aggiunto come ricerca, cultura, formazione e tecnologia, anche grazie alla presenza del Centro Internazionale di Formazione dell’OIL, che genera oltre 62 milioni di euro l’anno di impatto economico. Durante la visita al campus ITC ILO nel maggio 2025, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva sottolineato che «non può esservi pace duratura senza salari equi, senza protezione sociale, senza rispetto della libertà sindacale». Parole che oggi risuonano come un promemoria essenziale: la crescita non può essere valutata solo in base al Pil, ma nella capacità di trasformarla in diritti, formazione, qualità del lavoro.

Mattarella aveva richiamato anche la necessità di affrontare la transizione tecnologica senza esitazioni. «L’intelligenza artificiale può essere un potente alleato», aveva detto, ricordando che ignorarne la portata sarebbe «illusorio». Un messaggio diretto a un territorio che sa di dover cambiare, ma che spesso non dispone degli strumenti per farlo. Il Piemonte resta frenato da una produttività inferiore alla media italiana, da infrastrutture incomplete, da una bassa attrattività per gli investimenti esteri, da un gap nelle competenze digitali e soprattutto da una crisi demografica che rischia di rallentare il motore economico ben più di qualunque oscillazione congiunturale.

Al di là dei numeri, emergono storie meno raccontate: imprese che non trovano personale qualificato, giovani che scelgono di andare via, distretti industriali che hanno perso vitalità. La domanda è quanto questa crescita, così evidente nei report, sia realmente percepibile nella quotidianità dei cittadini.

Il Nord Ovest resta un polo economico strategico, questo è indiscutibile. Ma perché lo sia davvero, serve che l’ottimismo degli indicatori si trasformi in una prospettiva concreta per tutti. Lo sviluppo non è mai solo un grafico ascendente: è equilibrio, visione, distribuzione delle opportunità. Solo allora quei numeri potranno diventare qualcosa di più di una promessa.

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