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Ex Ilva, tregua fragile: impianti del Nord operativi, Taranto in stallo e vendita in bilico

Rischio chiusura rinviato, formazione solo per 701 a Taranto, quattro acquirenti entro l’11 dicembre, sindacati valutano nuove proteste

Ex Ilva, tregua fragile: impianti del Nord operativi, Taranto in stallo e vendita in bilico

Ilva

Una boccata d’ossigeno, ma il respiro resta corto. Gli impianti ex Ilva di Novi Ligure e Genova continueranno a lavorare; a Taranto, invece, lo scenario non si sblocca. Dal tavolo al Ministero delle Imprese è arrivata una parziale retromarcia sul piano di formazione che aveva scatenato scioperi, blocchi stradali e picchetti: una scelta che allontana, per ora, lo spettro della chiusura, ma non cancella i nodi industriali e sociali che stringono la filiera dell’acciaio italiano.

All’incontro di ieri al Ministero delle Imprese, convocato dal ministro Adolfo Urso dopo i giorni di mobilitazione, hanno partecipato le regioni interessate e i sindacati. Il risultato più immediato è la conferma della produzione a Novi Ligure (zincato) e a Genova (banda stagnata), mentre a Taranto “non cambia nulla”: il sito continua a operare con un solo forno su quattro.

La tensione era esplosa dopo l’annuncio governativo: 1.550 operai, di cui 334 a Novi Ligure, sarebbero entrati da lunedì prossimo in formazione per gestire le nuove tecnologie “verdi” da installare. Per le sigle sindacali era una chiusura mascherata, anche perché nell’intero perimetro ex Ilva risultano già 4.450 lavoratori in cassa integrazione.

Dal tavolo è arrivato il ridimensionamento: la formazione riguarderà soltanto 701 lavoratori dello stabilimento di Taranto. La mossa tiene accesi gli impianti del Nord e attenua l’allarme immediato, ma non risolve la criticità di fondo: un asset produttivo che lavora al minimo, con un solo forno attivo a Taranto e una gestione affidata a decisioni tampone.

Sul fronte della vendita, Urso ha confermato quattro manifestazioni di interesse: due fondi statunitensi (Bedrock e Flacks Group) e due soggetti extraeuropei, tra cui con ogni probabilità l’emiratina EM Steel. Le offerte dovranno essere formalizzate entro l’11 dicembre. Una finestra temporale stretta che può dare direzione al rilancio, ma che richiede una visione industriale chiara su investimenti, tecnologie e capacità produttiva.

Il ministro Urso all'ex Ilva



La Regione Piemonte parla di segnale positivo e promette vigilanza sull’occupazione. I sindacati, invece, giudicano insufficiente l’esito del confronto e chiedono un incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “sul futuro non è stata fatta chiarezza”, dichiarano, annunciando che lunedì decideranno se riprendere la protesta in tutta Italia. Dal sito di Novi Ligure trapela un orizzonte immediato preoccupante: lavoro garantito per altri 15-20 giorni, poi il vuoto.

Per Novi Ligure e Genova la continuità produttiva evita lo stop, ma resta la spada di Damocle degli ordini a breve. - A Taranto, la scelta di concentrare la formazione su 701 addetti segnala l’intenzione di intervenire sul cuore dell’impianto, senza però sciogliere i limiti strutturali che riducono la produzione a un solo forno su quattro. - La procedura di cessione introduce un fattore di imprevedibilità: identità degli acquirenti, strategie industriali e tempi degli investimenti determineranno occupazione e tenuta della filiera.

La parziale marcia indietro del governo evita una frattura immediata con i territori, ma non costituisce una strategia. La domanda che resta inevasa è duplice: come garantire continuità produttiva nell’arco delle prossime settimane e quale progetto industriale, finanziato e verificabile, guiderà la transizione “verde” senza trasformare la formazione in anticamera dell’inattività? Senza risposte su questi due livelli, il calendario dell’11 dicembre e la possibile ripresa delle proteste di lunedì rischiano di scandire non la soluzione, ma l’ennesima attesa.

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