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28 Novembre 2025 - 12:50
Tokyo, tanto moderna quanto arretrata: la Corte dice no ai matrimoni gay e riporta il Giappone indietro di anni
All’inizio non c’erano cori, né grandi gesti, né proteste organizzate. Solo pioggia, ombrelli sgocciolanti e bandiere arcobaleno appesantite dall’acqua. Davanti alla Tokyo High Court, una coppia ha aperto il foglio con la decisione appena letta in aula, si è scambiata uno sguardo breve e poi ha abbassato gli occhi. In quel momento è stato chiaro a tutti: la battaglia per il matrimonio egualitario in Giappone aveva appena subito la frenata più dura degli ultimi anni.
Il 28 novembre 2025, i giudici d’appello di Tokyo hanno dichiarato costituzionale il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Una scelta che arriva all’improvviso e che sorprende perché va in direzione contraria rispetto alle decisioni prese da cinque altre Corti d’appello del Paese. In altre parole: mentre gran parte dei tribunali superiori finora aveva riconosciuto una discriminazione, la capitale ha deciso il contrario, complicando tutto e spingendo inevitabilmente la questione verso la Corte Suprema.
Secondo i giudici, la legge giapponese che considera il matrimonio come un’unione tra “uomo e donna” non violerebbe la Costituzione. La motivazione centrale ruota attorno al ruolo della Dieta, il Parlamento: sarebbe infatti compito dei politici decidere se cambiare o meno l’attuale definizione di matrimonio. Anche le richieste di risarcimento — un importo simbolico di ¥1.000.000 a testa — sono state respinte, come già accaduto in altri procedimenti.
C’è però un passaggio importante nella motivazione, che non è passato inosservato: la Corte ha scritto che, se la situazione dovesse restare così troppo a lungo, “potrebbero insorgere violazioni costituzionali”. Per molti osservatori è un messaggio chiaro alla politica: non si può continuare a rimandare.
Il verdetto di Tokyo pesa perché rompe un quadro che sembrava ormai indirizzato. Dal 2024 al 2025, infatti, cinque Corti d’appello — Sapporo, Fukuoka, Nagoya, Osaka, e perfino Tokyo in un altro procedimento — avevano giudicato incostituzionale il divieto. La sentenza di Sapporo del marzo 2024 aveva parlato apertamente di discriminazione, richiamando gli articoli 14 e 24 della Costituzione. Altre Corti avevano aggiunto riflessioni simili, citando anche l’articolo 13, che tutela la dignità e il “diritto al perseguimento della felicità”.
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Con la decisione del 28 novembre, però, il mosaico si è spaccato: cinque giudizi a favore del matrimonio egualitario, uno contro. Questa divisione apre la strada a una pronuncia definitiva della Corte Suprema, che dovrà affrontare i nodi più importanti: come interpretare l’articolo 24, se l’esclusione delle coppie LGBTQ+ violi l’articolo 14 sulla parità, e quale ruolo debba avere il Parlamento nel modificare la legge.
Fuori dal palazzo, intanto, i ricorrenti parlano di “sconcerto” e “delusione”. Le associazioni spiegano che il Giappone è ormai l’unico Paese del G7 a non riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso. Amnesty International definisce la decisione un “passo indietro” e ricorda che quasi tutti gli altri Paesi economicamente comparabili hanno già introdotto forme di matrimonio o unioni civili.
Il governo, dal canto suo, mantiene una posizione prudente, legata alla tradizione e a una visione della famiglia che molti considerano ormai superata. Il Partito Liberal Democratico ha sempre evitato di affrontare il tema in modo diretto, preferendo nel 2023 una legge che promuove la “comprensione” delle persone LGBT, ma senza introdurre diritti concreti.
Sul piano sociale, però, il Paese sembra più avanti della politica. I sondaggi parlano di un sostegno al matrimonio egualitario che oscilla tra il 60% e il 70%, soprattutto tra i giovani. Anche il mondo economico ha preso posizione: grandi aziende e multinazionali sostengono che la mancanza di diritti chiari renda il Giappone meno attraente per lavoratori qualificati e famiglie straniere che vogliono stabilirsi nel Paese.
In Asia, intanto, il quadro sta cambiando rapidamente: il matrimonio egualitario è già realtà in Taiwan, Nepal e Thailandia. L’immagine di una potenza moderna ma lenta sul fronte dei diritti civili crea un contrasto sempre più evidente, anche all’estero.
Dietro il linguaggio dei tribunali, però, ci sono persone reali. Coppie che vivono insieme da anni, che condividono mutui, che si prendono cura l’una dell’altra, ma che non hanno diritti parentali, successori o sanitari riconosciuti. Alcuni ricorrenti sono genitori di fatto, ma non di diritto. Altri temono ciò che potrebbe accadere in caso di malattia del partner. In uno dei momenti più commentati della giornata, una ricorrente ha chiesto in lacrime: “Ma ci avete guardato?”. Una frase semplice, ma che racchiude tutto ciò che questa battaglia rappresenta.
La decisione ora passa alla Corte Suprema, che potrebbe confermare lo status quo, dichiarare l’incostituzionalità del divieto o stabilire un periodo entro cui il Parlamento dovrà agire. Qualunque scelta arrivi, sarà un passaggio storico. E, come molti ricordano in queste ore, anche i giudici di Tokyo lo hanno scritto nero su bianco: se nulla cambia, la violazione costituzionale diventerà “inevitabile”.
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