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Dominique Sanda incanta Torino: “Con Vita mia ho viaggiato nel passato e nelle verità nascoste”

Al Tff l’attrice francese celebra il suo legame d’amore con l’Italia e Winspeare svela l’origine intima del film

Un'immagine tratta da Vita Mia di Edoardo Winspeare

Un'immagine tratta da Vita Mia di Edoardo Winspeare

Arriva al Torino Film Festival con il passo di chi attraversa le epoche senza smarrire grazia né profondità. Dominique Sanda presenta Vita mia, il nuovo film di Edoardo Winspeare nella sezione Zibaldone, e lo fa con parole che mettono subito la memoria al centro del suo lavoro. «Amo viaggiare nel tempo. Questo film mi ha permesso di tornare nel passato con la memoria. La vita è così breve, bella e misteriosa, e io voglio viverla fino in fondo. Voglio conoscere gli altri, fare cadere le maschere, cercare la verità», dice, accanto al regista e agli interpreti Celeste Casciaro, Ninni Bruschetta e Ignazio Oliva.

Per l’attrice francese, che ha attraversato alcune delle stagioni più alte del cinema europeo, l’Italia resta una casa artistica e affettiva: «Non ho mai lasciato il cinema italiano. Amo l’Italia e l’Italia mi ama. C’è un rapporto d’amore e l’amore è il legame più forte», afferma, ricordando l’influenza decisiva dei suoi maestri. Il primo nome che cita è quello di Bresson, ma subito dopo evoca De Sica e Bertolucci, «personaggi straordinari, meravigliosi, che mi hanno aiutato a crescere».

Winspeare, che con Vita mia porta al Tff un film capace di mescolare radicamento e visione simbolica, non nasconde l’ammirazione per Sanda. La definisce «una grande attrice, stupenda, la gran signora europea. Ha fierezza, orgoglio, curiosità, caratteristiche che non si trovano sempre nei francesi, sono più mitteleuropee». E con la stessa sincerità spiega la scelta della protagonista Celeste Casciaro, compagna nella vita e sul set: «È bellissima, buona, una santa».

L’origine di Vita mia affonda nella memoria personale del regista. «L’idea mi è venuta osservando, negli ultimi anni, il rapporto che mia madre, malata di Parkinson, ha sviluppato con una signora salentina che si è presa cura di lei. È passata da un iniziale sentimento di frustrazione e rabbia per il suo stato di salute, a uno di tenerezza quasi materna verso questa donna semplice, intelligente e molto buona», racconta Winspeare. Da questa esperienza nasce una storia di fantasia che conserva, però, molte tracce della realtà vissuta: «L’ambiente familiare, l’esperienza della malattia e il rapporto tra le due protagoniste».

Il film non si limita a raccontare un legame di cura: nella visione del regista diventa un’allegoria del continente. «La piccola storia di Didi e Vita diventa metafora della grande Storia d’Europa», dice, evocando una dimensione più ampia che attraversa identità, fragilità e trasformazioni collettive.

Accanto alla densità realistica, Vita mia contiene un nucleo onirico che Winspeare rivendica con forza: «Mi interessava l’onirico perché per mia mamma la realtà era quella che vedeva lei, si stupiva che noi non vedessimo le stesse cose. Io volevo raccontare quella dimensione psicologica». Un modo per restituire sullo schermo non solo ciò che accadeva, ma ciò che veniva percepito, immaginato, trasformato dalla malattia.

Il risultato è un film che intreccia ricordi, visioni e affetti, e che al Tff trova una madrina luminosa. Dominique Sanda, con la sua eleganza intellettuale e la sua storia di cinema, porta nel festival una dichiarazione d’amore all’Italia e una riflessione sul tempo che non smette di interrogare chi lo attraversa.

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