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25 Novembre 2025 - 21:24
Il Parlamento ha scelto il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, per introdurre nel codice penale italiano il delitto di femminicidio. Una coincidenza che non è retorica né calendario, ma un’immagine precisa: lo Stato che vota all’unanimità mentre il Paese ricorda, elenca, conta le vittime. Alla Camera i sì sono stati 237, senza un solo voto contrario. Il testo, già approvato dal Senato, diventa così legge.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato in un video l’esito del voto parlando di “segnale importante di coesione” e di un ulteriore passo rispetto agli strumenti già messi in campo. Ha citato il rafforzamento del Codice rosso, le risorse per i centri antiviolenza e le case rifugio, rivendicando un impegno che definisce “quotidiano e necessario”. Un messaggio inequivocabile, pronunciato proprio nel giorno in cui le piazze italiane ricordano nomi, volti, storie di donne uccise da uomini che spesso conoscevano, amavano, frequentavano.
La nuova legge definisce il femminicidio come omicidio commesso per discriminazione, odio o prevaricazione verso la vittima in quanto donna, includendo gli atti di controllo, possesso e dominio che rappresentano la matrice più diffusa dei delitti di relazione. Si applica anche quando l’uccisione avviene in seguito al rifiuto della vittima di iniziare o proseguire un rapporto affettivo, o come forma estrema di limitazione delle sue libertà individuali. In tutti questi casi, la pena prevista è l’ergastolo.

Il testo interviene anche sui benefici penitenziari. Per i condannati per femminicidio e per reati di violenza di genere, permessi, misure alternative e altre forme di uscita dal carcere saranno subordinati a una valutazione giudiziale che tenga conto dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto, condotta per almeno un anno. Una scelta che risponde a una domanda crescente delle famiglie delle vittime: evitare liberazioni frettolose o scarcerazioni percepite come ingiuste, e garantire che ogni passo sia supportato da un percorso serio e verificabile.
Un altro punto decisivo riguarda l’informazione alle vittime. In caso di concessione di un beneficio che comporti l’uscita dal carcere del condannato, l’autorità giudiziaria dovrà darne comunicazione immediata alla persona offesa. La stessa tutela è prevista per i familiari di una vittima in caso di femminicidio consumato o omicidio aggravato. Una misura che colma un vuoto storico, spesso denunciato da chi — dopo aver perso una sorella, una figlia, una madre — si è trovato a scoprire troppo tardi che l’uomo condannato era tornato in libertà.
Il disegno di legge interviene anche sui minori condannati per femminicidio, riducendo la durata massima dei permessi premio. Estende poi il patrocinio a spese dello Stato, anche in assenza dei requisiti economici, alle vittime di tentato femminicidio e tentato omicidio aggravato, ampliando la platea di chi può accedere a una tutela legale senza sopportarne i costi.
Particolare attenzione è dedicata agli orfani di femminicidio, per i quali vengono rafforzate le misure di sostegno e protezione, a partire dagli aspetti economici fino ai percorsi di assistenza psicologica e sociale. Una norma che si innesta nel dibattito degli ultimi anni, segnato da casi in cui i bambini rimasti senza madre hanno affrontato non solo il trauma, ma anche incertezze burocratiche e lacune normative.
La legge affronta anche un tema emergente: la prevenzione delle aggressioni sessuali commesse attraverso l’uso di sostanze che alterano la coscienza. Prevede campagne informative e iniziative didattiche, oltre alla creazione di un tavolo tecnico permanente presso il ministero della Salute per monitorare e contrastare il fenomeno.
Sono previsti infine percorsi formativi specifici per magistrati e personale sanitario, per rafforzare la capacità di riconoscere i segnali di rischio e intervenire con maggiore tempestività ed efficacia. Ogni anno, il ministero della Giustizia dovrà presentare una relazione al Parlamento sullo stato di applicazione della nuova legge, rendendo strutturale il monitoraggio delle norme.
Il voto del 25 novembre manda un messaggio preciso. La politica, spesso divisa su tutto, ha scelto l’unanimità su un tema che nel Paese attraversa famiglie, scuole, tribunali, cronache locali e nazionali. L’Italia scrive nel codice penale un reato che ha un nome specifico e una radice culturale precisa. Non è una risposta definitiva — nessuna legge lo è — ma è un cambio di paradigma: riconoscere che la violenza contro le donne è un fenomeno strutturale, che ha bisogno di strumenti penali, interventi sociali e responsabilità collettiva.
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