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Dopo la piazza, ora parla la politica: a Torino è scontro sull’espulsione dell’imam Shahin

Forza Italia e Fratelli d’Italia attaccano il Comune, mentre i movimenti pro-Palestina denunciano una scelta ingiusta e pericolosa

Dopo la piazza, ora parla la politica: a Torino è scontro sull’espulsione dell’imam Shahin

Dopo la piazza, ora parla la politica: a Torino è scontro sull’espulsione dell’imam Shahin (foto: l'imam)

L’espulsione di Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn Al Khattab di via Saluzzo, sta diventando il nuovo epicentro della tensione politica torinese. Un provvedimento per motivi di sicurezza nazionale, eseguito nelle scorse ore e destinato ad avere ripercussioni ben oltre il perimetro della comunità religiosa. La vicenda, resa nota dai movimenti che sostengono il religioso e confermata dalle autorità competenti, ha immediatamente polarizzato il dibattito, trasformando un atto amministrativo in un caso politico a tutto campo.

A Roma, i primi a intervenire sono stati gli esponenti di Forza Italia, che hanno usato toni durissimi contro la giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Stefano Lo Russo. Il senatore Roberto Rosso e il dirigente cittadino del partito Marco Fontana hanno parlato apertamente di una Torino in cui, a loro giudizio, convivrebbero due linee opposte: «Da una parte c’è il Governo che fa rispettare le norme, dall’altra il sindaco Lo Russo che continua a flirtare ambiguamente con gli ambienti anarchici, autonomi e pro-Palestina legati ad Askatasuna». Per i due esponenti azzurri, l’espulsione dell’imam e l’arresto del tiktoker Don Alì sarebbero il segnale che «a Torino esiste ancora la legge», mentre la decisione dell’amministrazione di non prendere le distanze da alcuni movimenti viene descritta come un elemento di rischio per la sicurezza cittadina.

Il messaggio è netto: «Ognuno sceglie da che parte stare: noi staremo sempre dalla parte della legalità e della sicurezza dei cittadini». Rosso e Fontana spingono inoltre su un altro fronte: la progettata realizzazione del grande centro islamico nell’area di Aurora. A loro avviso, l’espulsione di Shahin «deve suonare come un campanello d’allarme» sul tema dei luoghi di culto e della trasparenza nella gestione delle comunità religiose. Il sottotesto è politico, con una richiesta implicita al Comune di chiarire ruoli, contatti e responsabilità.

Sulla stessa linea si inserisce l’intervento di Augusta Montaruli, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. La deputata rivendica di aver sollevato la questione già nei mesi scorsi con un’interrogazione parlamentare sul permesso di soggiorno dell’imam. «Ho portato all’attenzione del Viminale condotte a mio giudizio incompatibili con la permanenza in Italia. La risposta è arrivata con la sua espulsione». Montaruli critica duramente chi contesta il provvedimento: «A fare polemica sono i soliti che si schierano contro la sicurezza, tra loro anche esponenti di partiti che governano la città». Poi la domanda, volutamente provocatoria: «Quali aiuti ha avuto questo soggetto per i suoi proseliti d’odio e violenza?». Per la deputata, «i fiancheggiatori degli estremisti islamici non possono trovare spazio a Torino come nel resto d’Italia».

Augusta Montaruli

A Torino, invece, i toni sono decisamente opposti sul fronte dei movimenti pro-Palestina, che parlano esplicitamente di un provvedimento razzista e islamofobo. Torino per Gaza, che segue da due anni la mobilitazione in cui l’imam è figura attiva, sostiene che Shahin sarebbe in pericolo in caso di rimpatrio in Egitto. Il movimento riferisce che la decisione sarebbe stata confermata «nonostante la sua richiesta di asilo politico, ignorando ogni evidenza del pericolo reale e documentato che correrebbe». Le parole degli attivisti rivelano un allarme profondo: «Mohamed è stato arrestato dopo due anni di mobilitazioni in cui non ha mai smesso di esporsi pubblicamente contro il genocidio in Palestina». La tesi è che l’espulsione non abbia radici nella sicurezza, ma nella sua esposizione politica: «Il suo unico reato è aver gridato insieme a tutti noi la libertà per la Palestina».

Il movimento denuncia inoltre il rischio che il provvedimento si inserisca in un quadro di repressione più ampio, legato alle tensioni internazionali e alle manifestazioni cittadine delle ultime settimane. A sostegno della loro posizione, gli attivisti ricordano la lunga permanenza in Italia di Shahin, oltre vent’anni, e il suo ruolo pubblico nelle manifestazioni di ottobre, quando aveva definito l’attacco di Hamas del 7 ottobre un atto di «resistenza». Proprio quelle parole, giudicate gravissime dagli ambienti istituzionali, sarebbero finite al centro delle valutazioni ministeriali.

Il risultato è una città spaccata: da un lato chi vede nell’espulsione un atto dovuto, parte di una strategia nazionale per prevenire derive radicali e tutelare l’ordine pubblico; dall’altro chi denuncia una misura ingiusta, che rischia di colpire la libertà di espressione e di alimentare sentimenti di marginalizzazione all’interno delle comunità musulmane.

Il caso, nelle prossime ore, passerà inevitabilmente al vaglio dei giudici, chiamati a valutare la richiesta di protezione internazionale presentata dall’imam. Nel frattempo, la tensione politica cresce. E l’espulsione di Shahin, al di là del suo profilo personale, diventa il simbolo di uno scontro più ampio: quello tra chi invoca sicurezza e chi teme che la sicurezza diventi il pretesto per comprimere diritti e dissenso. Una linea sottile su cui Torino, ancora una volta, è costretta a camminare.

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