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12 Novembre 2025 - 11:48
Sud svuotato di cervelli: 134mila studenti fuggono ogni anno, bruciati 4 miliardi e un’intera generazione
L’Italia continua a perdere pezzi, e il suo squilibrio storico tra Nord e Sud si misura oggi anche in termini di capitale umano. Ogni anno 134mila studenti meridionali lasciano la propria regione per iscriversi a un’università del Centro-Nord, attratti da corsi più competitivi, infrastrutture migliori e maggiori opportunità di lavoro. Ma dietro la scelta individuale di chi parte, si nasconde una perdita collettiva: la cosiddetta “fuga dei cervelli” costa al Mezzogiorno oltre 4 miliardi di euro l’anno, tra tasse universitarie non versate, spese sostenute altrove e ricadute economiche mancate.
A rivelarlo è il focus Censis–Confcooperative “Sud, la grande fuga”, che mette i numeri nero su bianco e mostra come lo spostamento massiccio di studenti e laureati stia erodendo il futuro del Meridione. Gli atenei del Sud hanno perso nel complesso 157 milioni di euro in rette universitarie, mentre le università del Centro-Nord ne hanno guadagnati 277 milioni, grazie a tasse più alte — 2.066 euro di media contro i 1.173 del Sud — e a un flusso costante di nuovi iscritti provenienti da Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Basilicata.
Il danno, però, non è solo economico. È demografico e sociale. Nel 2022, 23mila laureati meridionali hanno scelto di trasferirsi nelle regioni del Centro-Nord per trovare lavoro. Altri 13mila, nel 2024, hanno varcato direttamente i confini nazionali, cercando all’estero le occasioni che l’Italia non offre. In totale, 36mila giovani qualificati che hanno lasciato il Sud negli ultimi due anni, contribuendo ad alimentare un circolo vizioso: meno studenti, meno risorse, meno innovazione, meno sviluppo.

Il Censis parla apertamente di “svuotamento intellettuale” del Mezzogiorno, un fenomeno che rischia di diventare irreversibile se non accompagnato da politiche mirate. Gli atenei meridionali, già penalizzati da mancati investimenti e scarsa attrattività internazionale, perdono ogni anno migliaia di matricole. Chi parte raramente torna: solo il 18% dei laureati che si trasferiscono al Nord o all’estero rientra, e quasi sempre per motivi familiari, non professionali.
Le conseguenze sono tangibili. Le città universitarie del Sud si svuotano, l’indotto economico legato agli studenti — affitti, ristorazione, trasporti, servizi — si contrae, e il divario infrastrutturale aumenta. Ogni studente che parte porta via con sé una quota di Pil, di competenze e di futuro. Le regioni del Nord, invece, guadagnano doppio: nuove iscrizioni e, nel lungo periodo, forza lavoro altamente qualificata.
Il focus del Censis sottolinea anche un paradosso tutto italiano: le università del Nord attraggono giovani del Sud grazie a standard più alti, ma molti dei loro docenti e ricercatori provengono proprio da regioni meridionali. Un capitale umano che si muove lungo un’unica direzione, dal basso verso l’alto, lasciando dietro di sé territori impoveriti e una generazione di studenti che percepisce la fuga come l’unica via possibile.
La questione, secondo gli esperti, non riguarda solo il sistema universitario, ma la tenuta economica e sociale del Paese. Senza politiche di riequilibrio — investimenti mirati, borse di studio, alloggi, infrastrutture — il Sud rischia di diventare un serbatoio permanente di giovani formati altrove, destinato a sostenere la crescita altrui.
La fotografia che emerge è quella di un’Italia spaccata: da un lato i poli accademici e tecnologici del Nord che si espandono, dall’altro un Mezzogiorno che arretra e perde fiducia. Un’Italia dove la mobilità non è più scelta, ma necessità. E dove ogni treno che parte verso Bologna, Milano o Torino non porta solo studenti, ma anche un pezzo del futuro di un intero Paese.
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