Cerca

Esteri

Louvre, sette minuti per svuotare una teca: due arresti e una caccia al bottino da 88 milioni che incalza Parigi

Dalla corsa verso un volo per l’Africa alla scorta notturna verso i caveau della Banca di Francia: dentro l’inchiesta sul colpo che ha messo in allarme il museo più visitato del mondo, tra arresti, piste internazionali e domande scomode sulla sicurezza

Louvre, sette minuti per svuotare una teca: due arresti e una caccia al bottino da 88 milioni che incalza Parigi

La scena che inchioda l’immaginario non è dentro la Galleria d’Apollon, ma tra i varchi dei controlli all’aeroporto Charles de Gaulle: un uomo sulla trentina, zaino leggero, un biglietto per l’Algeria. Alle sue spalle, agenti in borghese lo osservano da giorni. Quando la porta d’imbarco si illumina, scattano le manette. Poche ore dopo, un secondo fermo ad Aubervilliers, nella banlieue a nord di Parigi: anche lui avrebbe pianificato una fuga verso l’Africa occidentale, in Mali. È la prima incrinatura nell’anonimato dei quattro del commando che la mattina del 19 ottobre 2025 hanno fatto vibrare l’allarme del Louvre e dell’intero Paese: un’azione da 7-8 minuti, otto gioielli del XIX secolo legati alla Corona di Francia strappati alle teche della Galleria d’Apollon, per un valore stimato in 88 milioni di euro. La storia, però, comincia prima e finisce molto più in là dei due arresti.

Il conteggio ufficiale parla di otto pezzi tuttora scomparsi, mentre una corona attribuita all’imperatrice Eugenia è stata recuperata poco lontano dal museo, danneggiata nella fuga. Dentro il bottino, secondo le ricostruzioni convergenti, ci sono un diadema di zaffiri, collane, orecchini e spille che hanno attraversato la storia imperiale e reale di Francia: nomi come Maria Amalia, Ortensia di Beauharnais, Maria Luisa d’Asburgo-Lorena ricorrono nei cataloghi e nei cartellini delle vetrine. Per la procuratrice di Parigi, Laure Beccuau, quegli 88 milioni sono una cifra “spettacolare”, ma non misurano la perdita storica: il danno culturale supera il denaro. Interpol ha già inserito gli oggetti nella banca dati delle opere d’arte rubate, per bloccarne la circolazione sui mercati clandestini.

louvre

Un colpo in pieno giorno, una macchina ben oliata

Domenica 19 ottobre, attorno alle 9:30, il commando arriva sul Quai François-Mitterrand con un mezzo dotato di piattaforma elevatrice. Due salgono in nacella fino a una finestra al primo piano, altri due restano a terra e sui scooter T‑Max per la fuga. La sequenza è chirurgica: infrangono il vetro, entrano nella Galleria d’Apollon, aprono le teche con smerigliatrici e attrezzi da taglio, arraffano i pezzi e si dileguano. Nel corridoio rimangono tracce: un gilet giallo, un casco, un contenitore con liquido infiammabile, e — soprattutto — impronte biologiche che gli investigatori estraggono e confrontano nelle banche dati. I sistemi di allarme scattano, la polizia arriva in 3 minuti, ma quando i primi equipaggi attraversano il cortile Napoleone, i quattro sono già spariti nel traffico del centro. Il museo viene evacuato a scopo cautelativo, e la Galleria d’Apollon resta chiusa.

Le immagini di videosorveglianza dentro e fuori il Louvre, incrociate con le telecamere urbane, offrono un primo telaio. Le tracce di DNA sul vestiario e su oggetti abbandonati diventano il secondo asse dell’indagine. Gli inquirenti — la Brigade de Répression du Banditisme (BRB) e l’Office central de lutte contre le trafic des biens culturels (OCBC) — stringono la rete su due trentenni di Seine-Saint-Denis, già noti come specialisti in furti e rapine di gioielli. Li seguono per giorni, in pedinamenti discreti. Quando l’uno si presenta al Charles de Gaulle per l’ultimo volo serale verso Algeri, il tempo delle “ombre” finisce; in parallelo, scatta il fermo del presunto complice ad Aubervilliers. Entrambi vengono posti in stato di garde à vue per “volo in banda organizzata” e “associazione a delinquere” e, secondo la procedura, possono essere trattenuti fino a 96 ore prima del passaggio al giudice. I gioielli, però, non sono con loro.

“Fuga di notizie” e irritazione della Procura

La procura di Parigi conferma gli arresti il 26 ottobre, ma stigmatizza la divulgazione anticipata da parte dei media, giudicata “prematura” e potenzialmente dannosa per la caccia ai complici. L’inchiesta resta coperta da riserbo: gli inquirenti temono che il clamore spinga eventuali ricettatori a smembrare gli oggetti — il rischio peggiore per reperti del XIX secolo ad altissimo valore storico-artistico ma, paradossalmente, smontabili nelle pietre che li compongono. È uno scenario definito “miope” anche dalla procuratrice Beccuau: il valore storico andrebbe in fumo, e il valore venale reale, sul mercato clandestino, crollerebbe.

Nel frattempo, per mettere in sicurezza ciò che resta della collezione in esposizione, il Louvre dispone il trasferimento discreto di una parte dei gioielli ancora in sede verso i caveau della Banca di Francia, 27 metri sotto il livello stradale, a 500 metri dal museo. L’operazione, scortata dalla polizia, avviene il 25 ottobre, a una settimana dal colpo. La notizia filtra via RTL e viene confermata da più testate internazionali. La Galleria d’Apollon resta chiusa, mentre si contano i danni alle teche e si rivedono le procedure. Il Louvre — che ha in corso un piano di ammodernamento da circa 700 milioni di euro con orizzonte 2031 — è spinto a ricalibrare la protezione degli oggetti più vulnerabili.

A dispetto dell’esecuzione fulminea, i ladri hanno lasciato dietro di sé molti indizi: tracce, oggetti, una corona perduta nella concitazione, la targa di una moto che, secondo fonti investigative, sarebbe già al vaglio. Non è raro, negli assalti “a teca”, che la spinta alla velocità produca errori. Qui, l’esfiltrazione su due ruote — efficace nell’immediato — ha moltiplicato i punti di esposizione alle telecamere cittadine. Per gli investigatori, un perimetro già definito (quattro operativi in scena, possibile rete di fiancheggiatori e commissionari a monte) e una mappa dei movimenti ricostruita quasi minuto per minuto sono la base per risalire alla parte non visibile della catena criminale.

I profili: esecutori esperti, non “cervelli”

Chi sono i due fermati? Le fonti convergono su un identikit: ladri specializzati in gioielleria, già schedati, esecutori di alto profilo operativo ma con ogni probabilità non i mandanti. Un committente potrebbe aver messo “a gara” il colpo e organizzato logistica e ricettazione. È il paradigma dei furti su commissione nel traffico internazionale di beni culturali: dietro la manovalanza, spesso, c’è un broker che promette sbocchi (spesso illusori) a collezionisti senza scrupoli, mentre una parte delle pietre finisce in taglio e fusione per sparire nel flusso indistinguibile delle gemme. Ecco perché il ruolo di Interpol, con la diffusione di schede dettagliate e immagini, è cruciale: rende “tossici” gli oggetti agli occhi dei mercanti e controlla i passaggi alle frontiere.

Le domande sulla sicurezza: sistema “ha funzionato”, ma non ha fermato i ladri

Il giorno dopo il furto, due posizioni si fronteggiano. Per il ministro dell’Interno, Laurent Nuñez, il sistema di allarme ha funzionato: appena aggredita la finestra, l’allerta è partita e le volanti sono arrivate in tre minuti. Eppure, è evidente una vulnerabilità: la possibilità di accedere dall’esterno con una piattaforma meccanica in pieno giorno e aprirsi un varco in una sala iconica. La ministra della Cultura, Rachida Dati, annuncia un’inchiesta amministrativa sulle procedure e sugli appalti di sicurezza, mentre in Parlamento si discute se potenziare il presidio esterno e interno. Una cosa è chiara: il Louvre, con i suoi 8,7 milioni di visitatori l’anno, è un ecosistema complesso, e la sicurezza museale è un equilibrio tra accessibilità e protezione.

Una nota conclusiva sul metodo: come si “ricuce” un furto d’arte

I furti d’arte di alto profilo si combattono con una miscela di tecnica e diplomazia. La tecnica è quella dei laboratori forensi e delle banche dati; la diplomazia è quella dei canali investigativi che spesso, lontano dai riflettori, aprono trattative indirette per il recupero. Nel frattempo, la narrazione pubblica ha un peso: chiamare i pezzi col loro nome, raccontarne la storia e l’unicità significa togliere ossigeno alla fantasia — tutta moderna — del “committente invisibile” che li vuole sul suo caminetto. Qui, la storia è la migliore polizza: più è nota, più è difficile farla sparire.

In fondo, la fotografia simbolo di questi giorni non è la teca infranta. È la colonna di auto civetta che, di notte, attraversa rue de Rivoli e piega verso la Banca di Francia: una città che fa scendere in sotterranea la propria memoria in attesa di riportarla in luce.

Cronologia essenziale

  1. 19 ottobre 2025: furto in 7-8 minuti di otto gioielli storici nella Galleria d’Apollon del Louvre; allarme e intervento delle forze dell’ordine; una corona viene ritrovata danneggiata all’esterno.
  2. 21 ottobre: Interpol inserisce gli oggetti nella banca dati internazionale delle opere rubate.
  3. 22 ottobre: audizione pubblica, prime ammissioni di responsabilità e inchiesta amministrativa annunciata; la procuratrice Beccuau ribadisce la “natura inestimabile” della perdita.
  4. 25 ottobre: trasferimento di parte dei gioielli ancora in sede ai caveau della Banca di Francia.
  5. 26 ottobre: due arresti (uno al Charles de Gaulle, uno ad Aubervilliers); i gioielli non sono recuperati.

Cosa sappiamo del “che cosa” è sparito

L’elenco pubblicato e ricostruito dai media internazionali parla di otto oggetti, tra cui: un diadema di zaffiri, una parure di smeraldi, orecchini, collane e una spilla attribuiti a figure chiave del XIX secolo francese. Ogni pezzo è una fonte di storia materiale — lavorazioni, montature, tagli antichi — e un veicolo narrativo di dinastie, matrimoni politici, passaggi di corona. La perdita non è solo di “brillanti”: è di contesto e memoria. Proprio per questo, oltre alle fotografie, sono stati diffusi dettagli tecnici (misure, punzoni, caratteristiche di incastonatura) che possono inchiodare un oggetto, anche se smontato e rimontato altrove.

L’eco internazionale e la geografia della fuga

La traiettoria verso l’Algeria e l’ipotesi di una fuga verso il Mali raccontano una diaspora rapida: basta una frontiera fuori Schengen per complicare la cooperazione giudiziaria e la tracciabilità degli oggetti. Qui entrano in gioco le reti criminali attive tra Europa e Nord/ovest Africa, che negli anni hanno facilitato la ricettazione di metalli e pietre preziose. È anche per questo che le autorità francesi hanno mobilitato decine di investigatori — in alcune ricostruzioni si parla di circa 100 tra poliziotti e gendarmi — e messo in allerta le piattaforme aeroportuali. L’obiettivo: impedire l’uscita fisica dei pezzi o delle loro componenti, e colpire i punti di snodo della rete.

Le mosse che contano adesso

  1. Continuare a “sporcare” il mercato. Ogni foto, ogni descrizione, ogni alert in banca dati rende più rischioso lo smistamento. È la strategia di Interpol e delle unità francesi specializzate.
  2. Seguire i soldi. I pagamenti per la manovalanza — contanti o crypto — lasciano impronte digitali e contabili. Gli arresti dei due trentenni possono spalancare il varco investigativo su mandanti e finanziatori.
  3. Recuperare prima che si tagli. Più passa il tempo, più cresce il rischio di smontaggio: l’oro si fonde, le pietre si ripuliscono, i castoni cambiano. Gli esperti parlano di una “finestra” di giorni, non di mesi. La pressione investigativa serve ad accorciare le filiere.

Il Louvre dopo il colpo: logistica, pubblico, trasparenza

Il Louvre ha gestito l’immediato con la chiusura temporanea e i rimborsi ai visitatori; poi con il trasferimento dei pezzi più esposti. Resta la questione della trasparenza: quanto rendere pubblico sulle procedure senza offrire manuali d’uso a potenziali imitatori? E quanto investire in sorveglianza fisica esterna (balconi, finestre, accessi tecnici) rispetto all’hardening delle teche? Il dibattito è aperto e, al netto della retorica, chiama in causa budget, appalti, manutenzione e la dialettica eterna tra accessibilità e protezione. La spinta del piano 2031 può diventare l’occasione per ripensare architetture di sicurezza compatibili con un museo che, ogni giorno, è una città dentro la città.

Cosa resta da chiarire

  1. La filiera di commissione: chi ha chiesto il colpo e dove dovevano finire i pezzi?
  2. Il ruolo dei fiancheggiatori: falsi operatori in gilet? Punti di osservazione nei giorni precedenti?
  3. La presenza di complicità interne appare al momento priva di riscontri: gli inquirenti non la escludono in astratto, ma non l’hanno ventilata pubblicamente.
  4. La ricettazione: canali in Francia o passaggi immediati oltre confine?

Su tutto, pesa l’urgenza di riportare a casa, integri, gli otto oggetti: il tempo è il vero antagonista.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori