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08 Novembre 2025 - 18:53
Stefano Lo Russo
È sabato. La gente fa la spesa, cerca un parcheggio o aspetta il 68 che non arriva mai. E poi c’è lui, il sindaco Stefano Lo Russo, che su Facebook scrive come se stesse leggendo il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica: “Oggi abbiamo presentato il Bilancio di Previsione 2026–2028 ai rappresentanti del mondo economico, sindacale, culturale e del terzo settore.”
Una frase talmente solenne che ti aspetti la banda dei bersaglieri in sottofondo.
A quanto pare, è stato “un momento importante di confronto e condivisione”. Ora, il dubbio sorge spontaneo: condivisione di cosa? Dei conti o delle poltrone? Perché a Torino la condivisione vera, quella dei problemi, avviene sui gruppi Facebook dei quartieri: “Buche in via Cigna”, “Illuminazione spenta da tre mesi”, “Chi ha rubato il tombino in corso Giulio?”, "400 famiglie al freddo" e via di questo passo.
Poi arriva il momento più emozionante del post: “Torino aveva bisogno di rimettere in ordine i conti per poter tornare a investire.”
E qui scatta l’applauso virtuale. Perché è una frase che si usa da trent’anni, indifferentemente da chi governa. È come il “Buon Natale e felice anno nuovo” della politica: non cambia mai.
Peccato che la gente, mentre legge di “conti in ordine”, si chieda come mai le scuole cadano a pezzi, i bus sembrino usciti da un museo e le erbacce crescano più del PIL.
Il sindaco assicura che “nonostante l’inflazione e il quadro globale complesso”, Torino ha mantenuto tutti i servizi “senza aumentare tariffe o canoni”. Magia pura.
Peccato che nel frattempo l’IMU si paghi come sempre, i parcheggi blu si moltiplichino come funghi e l’unica cosa gratuita resti lamentarsi.
E poi, l’elenco dei miracoli: “Abbiamo protetto chi è più in difficoltà e rafforzato gli investimenti su scuola, welfare, verde, cultura e manutenzioni.”
Fantastico.
Peccato che il verde a Torino sia ormai un concetto filosofico, le manutenzioni vengano fatte “a rotazione geologica” e la cultura si misuri a colpi di festival e selfie istituzionali.
Infine, il gran finale: “Questo bilancio guarda al triennio 2026–2028 con fiducia.”
Ah, la fiducia! La stessa che serve ogni volta che si cammina in corso Giulio Cesare o si tenta di sopravvivere a Porta Palazzo alle otto di sera.
Il post chiude con lo slogan perfetto: “Torino riparte con fiducia: investe, include e cresce.”
Tre parole che potrebbero stare benissimo su un cartellone pubblicitario accanto a “Vieni a vivere la tua nuova esperienza urbana”. E mentre Palazzo Civico si racconta come la capitale dell’innovazione, la città continua a inciampare sui marciapiedi, ad affogare nei cantieri e a sognare ancora un autobus che passi in orario.
Insomma, Torino “riparte”, sì. Ma a spinta.
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