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28 Ottobre 2025 - 11:11
Mercato auto europeo ancora fermo ai livelli pre-Covid: l’allarme di Anfia e il tramonto del Green Deal (immagine di repertorio)
Cinque anni dopo la pandemia, l’Europa dell’auto continua a marciare a rilento. La ripresa, attesa e invocata da tempo, non c’è mai stata davvero. E ora anche la spinta “verde” che doveva rilanciare il settore sembra affievolirsi.
A denunciarlo è Roberto Vavassori, presidente di Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, che descrive un quadro allarmante: «L’Europa è la sola regione del mondo a non avere recuperato i livelli di vendita pre-Covid, con un gap di oltre 3,7 milioni di veicoli».
Secondo i dati raccolti da Acea (l’associazione dei costruttori europei), nei primi nove mesi del 2025 sono state immatricolate 8.057.335 auto nell’Unione Europea (esclusi Regno Unito e Paesi Efta), appena lo 0,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2024. A settembre le immatricolazioni sono state 888.672, un +10% su base annua che però non basta a recuperare il terreno perduto.
Il bilancio rispetto al 2019 resta impietoso: il tasso di crescita annuale composto (CAGR) si ferma a -6,1%, e il mercato è ancora indietro del 31,5% rispetto ai livelli pre-pandemia.

Per Vavassori, il problema è doppio. Da un lato, il crollo strutturale dei consumi in Europa, aggravato dall’inflazione e dalla crisi del potere d’acquisto delle famiglie. Dall’altro, la transizione all’elettrico, che doveva essere la chiave del rilancio, sta mostrando tutte le sue crepe. «I dati sull’elettrico non sono incoraggianti. Se è vero che le vendite di vetture Bev (completamente elettriche) sono salite del 24,1% nei primi nove mesi dell’anno, sarà necessario rivedere al ribasso le previsioni di fine 2025. È difficile che si raggiunga la quota prevista del 18%», ha spiegato.
Un rallentamento che mette in discussione uno dei pilastri del Green Deal europeo, ovvero la riduzione del 55% delle emissioni di CO₂ entro il 2030 e lo stop alle auto a benzina e diesel nel 2035. «Alla luce delle condizioni attuali — ha aggiunto Vavassori — questi target sono impossibili da raggiungere. Serve una revisione pragmatica, altrimenti rischiamo di compromettere l’intera filiera industriale».
Il Green Deal, un tempo simbolo della transizione ecologica europea, sta perdendo slancio. I governi si trovano di fronte a un paradosso: promuovere l’auto elettrica in un contesto economico in cui costi, infrastrutture e materie prime rendono difficile la sostenibilità del modello.
Le auto elettriche restano ancora troppo costose per la maggioranza dei cittadini europei. Il prezzo medio di un’auto Bev nel continente supera i 40.000 euro, contro i 25.000 delle equivalenti a benzina o diesel. Gli incentivi pubblici, spesso limitati o variabili da Paese a Paese, non riescono a compensare la differenza.
Dietro il problema dei prezzi, c’è quello della produzione. Le batterie al litio, cuore dell’elettrico, dipendono da una filiera globale dominata da pochi attori: Cina, Congo e Indonesia controllano oltre il 70% delle forniture di litio, cobalto e nichel. Materie prime definite “critiche”, la cui estrazione solleva questioni ambientali e sociali, ma anche geopolitiche.
Il sogno europeo dell’autonomia produttiva — con la creazione di gigafactory e catene del valore interne — è ancora lontano. I costi energetici elevati e la burocrazia rallentano la nascita di impianti competitivi.
A tutto ciò si aggiunge il nodo delle infrastrutture di ricarica. In molti Paesi, Italia inclusa, la rete è insufficiente e mal distribuita. Solo il 15% delle colonnine europee si trova nel Sud del continente, con intere regioni ancora prive di stazioni fast charge.
Il risultato è una “ansia da autonomia” che scoraggia i consumatori: l’autonomia media di un’auto elettrica è oggi tra i 350 e i 450 chilometri, ma le condizioni reali — freddo, traffico, carichi aggiuntivi — la riducono drasticamente.
In parallelo, cresce il timore di una dipendenza tecnologica da Asia e Stati Uniti. Mentre Washington sostiene la transizione con l’Inflation Reduction Act, e la Cina consolida il suo dominio industriale, l’Europa si muove in ordine sparso.
Le case automobilistiche europee, da Volkswagen a Renault, da Stellantis a BMW, sono costrette a investire miliardi per non perdere terreno, ma il ritorno economico tarda ad arrivare.
«Non possiamo permetterci di legare la competitività dell’industria a obiettivi irraggiungibili», ha sottolineato ancora Vavassori. Per il presidente di Anfia, la priorità dovrebbe essere quella di riequilibrare sostenibilità ambientale e sostenibilità economica, garantendo che la transizione non distrugga occupazione e innovazione.
In Italia, la situazione è ancora più complessa. La quota di auto elettriche pure si ferma al 3,5% del mercato nazionale, contro il 22% della Svezia e il 17% della Germania. Gli incentivi statali, rinnovati più volte, non hanno generato l’effetto sperato, mentre le auto ibride restano la scelta preferita dagli italiani.
L’effetto combinato di prezzi elevati, ritardi infrastrutturali e incertezza normativa ha frenato la crescita del settore.
Ma la crisi non riguarda solo i consumatori. L’intera filiera produttiva europea — fatta di fornitori, piccole e medie imprese e centri di ricerca — rischia di pagare il prezzo più alto. La produzione di veicoli elettrici richiede meno manodopera e una diversa specializzazione tecnica, con il rischio di migliaia di posti di lavoro a rischio nei prossimi dieci anni.
A Bruxelles, intanto, si moltiplicano i segnali di una revisione politica del Green Deal. Le elezioni europee del 2024 hanno portato al Parlamento una maggioranza più cauta, pronta a rinegoziare tempi e obiettivi. Anche la Commissione ha aperto alla possibilità di differenziare le scadenze in base ai livelli di sviluppo industriale dei singoli Paesi membri.
Il tema è ormai politico e sociale prima ancora che economico. Il sogno di un’Europa leader nella mobilità sostenibile si scontra con una realtà fatta di famiglie indebitate, imprese sotto pressione e cittadini scettici.
In Germania, primo mercato automobilistico del continente, le vendite di auto elettriche sono crollate dopo la fine degli incentivi diretti, mentre in Francia e Italia il mercato è sostenuto solo grazie alle flotte aziendali e ai noleggi a lungo termine.
Per l’Anfia, la direzione è chiara: serve un nuovo patto industriale europeo che metta insieme sostenibilità, competitività e coesione sociale. «La transizione ecologica non può essere una corsa a ostacoli per chi produce e per chi compra», ha ribadito Vavassori, invitando i governi a definire politiche “più pragmatiche e meno ideologiche”.
Per ora, il bilancio resta negativo: vendite in calo, costi in aumento, obiettivi sempre più distanti. E un’Europa che, mentre prova a guidare il cambiamento, rischia di restare senza carburante.

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