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Dal Piemonte a Bruxelles: la sfida europea dello 'scudo' radicale

Dall’appello di Igor Boni e Federica Valcauda alla Sala ISMA del Senato, l’invito all’Europa: “Proteggere i cieli ucraini per difendere i civili e la libertà del continente”. Intervista a Igor Boni, tra i fondatori di Europa Radicale

Dal Piemonte a Bruxelles: la sfida europea dello 'scudo' radicale

Roma, Sala ISMA del Senato. Presentazione dell’appello di Europa Radicale “Chiudere il cielo, salvare l’Ucraina” per uno scudo aereo a difesa dei civili.

“Basta massacri: in assenza di un cessate il fuoco immediato, i Paesi europei attuino uno scudo antimissile e antidroni sui cieli dell’Ucraina”. È il cuore dell’appello “Chiudere il cielo, salvare l'Ucraina”, firmato da Igor Boni e Federica Valcauda per Europa Radicale, dove si esprimono “profonda indignazione e cordoglio” per l’ennesima strage di civili a Kiev e si chiede all’Unione Europea di promuovere “un appello univoco e determinato per un cessate il fuoco durante i negoziati”. Se la richiesta non fosse accolta da Washington, aggiungono i promotori, la palla passerebbe a tutti i Paesi d’Europa: proteggere i cieli ucraini non solo con nuove forniture, ma con“coinvolgimento diretto nella difesa dei civili”, nel solco del diritto internazionale e della tutela dei più fragili. Entrambi piemontesi, i promotori sottolineano anche un radicamento territoriale: Igor Boni è torinese, Federica Valcauda è originaria di Biella.

Nella mattinata del 21 ottobre scorso, a Roma, nella Sala ISMA del Senato di Piazza Capranica 72, Europa Radicale ha portato in Parlamento l’appello per uno scudo protettivo sui cieli ucraini. Accanto a Igor Boni hanno discusso la proposta lo storico militare Gregory Alegi, la segretaria generale FIDU Eleonora Mongelli e i senatori Marco Lombardo (Azione) e Filippo Sensi (PD). Il quadro emerso è duplice: da un lato, gli attacchi aerei e con droni che dal 24 febbraio 2022 colpiscono popolazione e infrastrutture; dall’altro, le incursioni russe nello spazio aereo di Paesi NATO/UE, che alimentano la percezione di vulnerabilità in tutta Europa. Il messaggio finale ai governi: oltre alle forniture, costruire un ombrello integrato - radar, sorveglianza satellitare, batterie antiaeree e antidroni - per la difesa dei civili e dei nodi vitali del Paese.

Per i promotori, lo scudo ridurrebbe vittime e distruzioni, spezzando l’efficacia della strategia russa di colpire da lontano abitazioni, scuole, ospedali e reti energetiche. La cornice è esplicitamente europea: proteggere il cielo ucraino significa proteggere i cittadini del continente e i valori dello Stato di diritto.

Tuttavia, la proposta non è priva di ombre. Diversi analisti avvertono che una no-fly zone o uno scudo “attivo” implicherebbero l’ingaggio di velivoli russi e la neutralizzazione di difese SAM: un passo che può sfociare in confronto diretto con Mosca. Già nel marzo 2022 The Guardian metteva in guardia che imporre una no-fly zone potrebbe portare a un’escalation e, in ogni caso, non proteggerebbe gli ucraini dai bombardamenti”, poiché molti attacchi arrivano con missili e droni lanciati da lunga distanza.

Il mese scorso, in sede accademica, Roy Allison - docente di Relazioni Internazionali russe ed eurasiatiche presso l’Università di Oxford - su International Affairs, ha descritto la strategia occidentale di restraint, ossia di contenimento attivo, con un sostegno militare calibrato da limiti impliciti per evitare un’escalation acuta, anche tenendo conto della dimensione nucleare e delle dinamiche di escalation verticale e orizzontale.  

Sul piano operativo, l’Atlantic Council, già nel 2022 spiegava che una no-fly zone in Ucraina richiederebbe azioni letali contro aerei russi e la soppressione di S-300/S-400, una missione “completamente diversa” dalle NFZ del passato; lo stesso think tank ha discusso alternative per proteggere i civili senza abbattere velivoli russi. Per contro, la European Defence Study di Friends of Europe insiste sulla sostenibilità: contro sciami di droni e missili low-cost, la difesa rischia di diventare più costosa dell’attacco nel lungo periodo.

Resta infine la questione politica. Anche con un consenso di principio, sembrerebbero esserci nodi cruciali: chi decide (UE, NATO o coalizione di volenterosi?), quali risorse e quali regole d’ingaggio. Think tank europei ricordano che creare un vero sistema difensivo comune, dai satelliti ai sistemi stratificati antiaerei/antidroni, richiede anni di coordinamento e investimenti da centinaia di miliardi.

In definitiva, il dossier “scudo” mette l’Europa davanti a una scelta complessa: coniugare l’urgenza umanitaria con la prudenza strategica, agendo per proteggere i civili senza innescare un nuovo livello di conflitto. I Radicali sollecitano un passo politico e tecnico concreto, mentre gli analisti ricordano che la protezione aerea può funzionare solo se inserita in una strategia coerente di gestione del rischio, sostenibilità economica e decisione comune.

Igor Boni, di Europa Radicale, promotore della proposta sullo scudo europeo sull'Ucraina.

Ed è proprio su questa linea di equilibrio che si colloca il torinese Igor Boni: 57 anni, radicale dal 1986, è stato per molti anni segretario dell'associazione radicale Adelaide Aglietta. Presidente di Radicali Italiani dal 2019 al 2024, è tra i fondatori di Europa Radicale. Da quarant’anni lavora sui temi dei diritti umani, civili, dell’ambiente e della democrazia. È con questa bussola che propone lo scudo aereo: proteggere i civili, rafforzare il diritto internazionale e restituire all’Europa una responsabilità concreta.

Lo abbiamo intervistato per approfondire le implicazioni politiche, morali e strategiche dello “scudo” proposto da Europa Radicale.

Sul rischio di escalation e coinvolgimento diretto con la Russia, diversi analisti avvertono che un’azione diretta nei cieli ucraini potrebbe sfociare in un confronto aperto tra Russia e NATO. Come rispondi a chi teme che lo ‘scudo’ possa trasformarsi in un passo verso la guerra globale? 

“Il rischio escalation è quello che ha impedito nel 2014 di rispondere alla occupazione della Crimea e all'inizio delle operazioni militari in Donbass, una guerra che in 8 anni ha fatto più di 10.000 morti. Lo stesso rischio paventato che nel 2022 impedì agli ucraini di colpire in territorio russo basi militari e complessi energetici che oggi per nostra fortuna sono giornalmente sotto attacco da parte della resistenza ucraina. Purtroppo, la realtà che occorre guardare in faccia è quella di un regime assassino imperialista che prosegue i propri crimini giorno dopo giorno e serve un intervento difensivo che salvi vite in Ucraina e il futuro di libertà in Europa”.

Una no-fly zone sull’Ucraina comporterebbe abbattere veicoli russi e distruggere sistemi SAM (S-300, S-400, Buk, Tor etc): credi che l’EU sia pronta a un salto militare di questa portata?

“L'UE non è pronta perché occorrerebbe una difesa comune, un esercito comune che oggi non ci sono se non in fase embrionale. Ma I singoli paesi europei possono invece supportare la difesa aerea ucraina non solo fornendo armamenti ma con un coinvolgimento diretto a difesa dei civili. Basta bombe, basta droni, basta missili! Lo abbiamo detto a Kyiv il 9 maggio scorso nella grande manifestazione di Europa Radicale nella giornata dell'Europa, ora portiamo il nostro appello, la nostra richiesta in Parlamento. Difendere un territorio vastissimo è operazione assai complessa e servono siatemi satellitari, centrali di rilevamento terrestre e un complesso di sistemi difensivi antidrone e antimissile. In questo ultimo anno la contraerea ucraina ha abbattuto da 2/3 a 3/4 dei droni lanciati per uccidere i civili. Dobbiamo portare questi abbattimenti vicino al 100%. Non si tratta di dichiarare guerra alla Russia ma di proteggere le città dal progetto di uccisioni di massa del Cremlino”.

Qual è, secondo te, il punto di equilibrio tra la necessità di proteggere i civili e quella di evitare una nuova escalation? Lo ‘scudo’ può essere compatibile con un processo diplomatico, o le due strade si escludono?

“La diplomazia è totalmente mancata per un quarto di secolo, da quando nel 1999 Putin ha scatenato la seconda guerra in Cecenia sterminando oltre 150.000 civili e radendo al suolo Grozny. È stata completamente assente nell'invasione della Georgia nel 2008 e nel 2014 della Crimea e del Donbass. Oggi la diplomazia è oltremodo necessaria ma per arrivare a una pace giusta, che non sia sottomissione dell'Ucraina e dell'Europa al regime liberticida di Mosca serve rispondere sul piano militare. Con Hitler si fecero i medesimi errori che parte dell'opinione pubblica e della politica oggi vorrebbero ripetere con Putin. Putin non si ferma per sua scelta, perché, come ha detto piu volte, l'obiettivo è costituire un nuovo ordine mondiale che passa dalla distruzione delle nostre democrazie liberali, dello stato di diritto, delle nostre libertà”.

Parli spesso di dovere morale dell’Europa. Dove finisce la responsabilità etica e dove inizia quella politica e militare?

“Responsabilità dell'UE e degli Stati europei è innanzitutto quella di preservare le libertà. Fare entrare Ucraina e Moldavia nell'UE è un passo fondamentale così come supportare chi in Georgia da oltre 330 giorni manifesta a rischio della propria incolumità. Responsabilità dell'UE e dei singoli stati europei è quella di fare di tutto per portare a processo chi si è macchiato di crimini di guerra, a partire proprio da Vladimir Putin. Dal futuro di Kyiv passa il futuro dell'Europa e per questo serve il massimo della pressione politica e mlitare per fermare l'aggressore. Chi oggi chiede di disarmare l'Ucraina è complice diretto dell'invasore”.

Come immagini l’Europa tra un anno, se nulla cambierà nel sostegno concreto alla difesa ucraina?

“Le trincee dove combatte la resistenza ucraina sono trincee dell'Europa. I soldati ucraini lottano per il loro Paese ma lottano anche per il nostro futuro. Gli USA non sono più l'ala protettrice dell'Europa, siamo soli e serve consapevolezza di questo. Se gli stati europei è l'UE non saranno disponibili a fare passi avanti nella difesa dell’Ucraina e con l'ingresso dell'Ucraina nella UE il logoramento rischia di portare a un collasso. Noi speriamo e lottiamo per una Europa federale, per una politica estera e di difesa comuni, per salvaguardare stato di diritto e democrazia. Troppo spesso molti danno per scontato i diritti acquisiti. L'Ucraina è una regione dell’Europa. Oggi è il tempo di difendere senza tentennamenti chi sta subendo un attacco vigliacco e ingiustificato”.

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