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“Non venire più, ci fai perdere soldi”. La cliente disabile cancellata con un messaggio

A Rivarolo Canavese una parrucchiera esclude una donna con grave disabilità motoria perché “a volte non riesce a presentarsi”. Una discriminazione travestita da efficienza: l’ennesimo caso di abilismo spacciato per logica commerciale

“Non venire più, ci fai perdere soldi”. La cliente disabile cancellata con un messaggio

“Non venire più, ci fai perdere soldi”. La cliente disabile cancellata con un messaggio

Rivarolo Canavese è uno di quei luoghi dove la provincia veste bene: via Ivrea coi doppi portici che corrono per decine di metri, la pietra in porfido, la Chiesa di San Michele che veglia sul centro storico, il Castello di Malgrà con il suo parco e le rassegne culturali che punteggiano l’anno. A due passi l’Anfiteatro morenico di Ivrea e la sua Serra, una meraviglia geologica tra le meglio conservate al mondo, e più giù le colline dove matura l’Erbaluce di Caluso DOCG. Un posto scelto — non subìto — per vivere.

Eppure, in questo scenario levigato, è bastata una notifica su WhatsApp per incrinare la cartolina.

A S. — una giovane donna con disabilità motoria gravissima —, cliente fissa da anni, è stato comunicato che non sarebbe più stata accettata tra le prenotazioni.
La motivazione, espressa in una serie di messaggi puntigliosi e sgrammaticati, è suonata così:

«Non possiamo più prendere appuntamenti da te perché talvolta non ti presenti a causa dei tuoi problemi. Sai, ci danneggia economicamente: al tuo posto potremmo inserire altre persone. Al massimo, chiama il giorno stesso, se abbiamo posto ti prendiamo».


La “colpa”, in realtà, non è quella di non presentarsi: è quella di essere una persona disabile, e dunque — secondo la parrucchiera — potenzialmente inaffidabile nel sistema del no-show, il termine anglosassone con cui il mondo dei servizi indica chi non si presenta a un appuntamento prenotato.

Solo che in questo caso non si trattava di leggerezza, ma di salute.
E la risposta del salone — invece di attrezzarsi per gestire eventuali assenze con strumenti normali, come una caparra o una lista d’attesa — è stata escludere del tutto la cliente “problematicamente disabile” dal calendario.


L’abilismo che si finge logistica
Questo episodio non è un capriccio gestionale: è abilismo sistemico che si maschera da buonsenso d’impresa.
Il riferimento al “no-show” — termine divenuto di moda tra parrucchieri, estetisti e ristoratori — viene spesso usato come scudo per giustificare esclusioni arbitrarie.

In realtà, non esiste in Italia una normativa specifica sul “no-show” universale: senza clausole scritte, acconti o politiche trasparenti, il rischio d’impresa resta a carico dell’esercente.
E soprattutto, in ogni caso, la tutela antidiscriminazione prevale: non si può scaricare su una persona con disabilità l’onere di “dimostrare affidabilità fisica”.

parrucchiera

Lo ricorda la Legge 67/2006, che prevede un ricorso rapido al giudice contro ogni discriminazione, sia “diretta”(quando il trattamento peggiora per motivi connessi alla disabilità), sia “indiretta” (quando una regola apparentemente neutra danneggia chi ha una disabilità).

Escludere una cliente perché potrebbe non farcela — e quindi “vale meno” nel planning — è una discriminazione diretta travestita da efficienza.
Dal 2009, con la ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, l’Italia si è impegnata a garantire pari dignità, partecipazione e accomodamenti ragionevoli.
L’articolo 9 parla chiaro: accessibilità e uguaglianza non sono facoltà morali, ma obblighi di legge.


L’abilismo interiorizzato: il virus che si traveste da buona educazione
L’abilismo interiorizzato è quella voce melliflua che ti sussurra: “Non è colpa tua, ma capisci anche noi”.
È la convinzione, più o meno consapevole, che la disabilità sia un errore di sistema da tollerare finché non disturba la produttività, la bellezza o il ritmo degli altri. È ciò che trasforma un disagio collettivo in colpa individuale.

Ma, a volte, quella voce non ha neppure il decoro della gentilezza. È digitale, brusca, scritta male.
In questo caso, è arrivata via WhatsApp, con una sequenza di messaggi scortesi e privi di empatia, dove la grammatica e la professionalità erano maltrattate in egual misura.

Così S. ha scoperto di non essere più la benvenuta: non per motivi logistici, ma per una questione di “fastidio” economico.


Nessuna compassione, nessun tatto, nessuna professionalità. Solo saccenza cruda e ignoranza civica, la superficialità di chi confonde il mestiere del parrucchiere con quello di giudice morale.
Un esempio perfetto di abilismo interiorizzato nella sua forma più contemporanea: non il paternalismo ipocrita del “ti capiamo benissimo”, ma l’indifferenza ostile di chi non tollera ciò che non può monetizzare.

E così, una cliente fedele è stata silenziata in chat, cancellata con un messaggio di testo — come si archivia un ordine annullato.


Il punto non è l’arredo: è la cittadinanza
La donna aveva già trovato, a proprie spese, una soluzione per accedere al servizio: un poggiatesta portatile, indispensabile perché non può abbandonare la propria carrozzina.
Eppure, nonostante la piena accessibilità fisica del locale — il quale era stato reso accessibile da un intervento di riqualificazione ben prima che l’attività del salone venisse avviata — è stata comunque espulsa dal calendario.

Un gesto che è, al tempo stesso, una violenza estetica e una violenza civica: il messaggio implicito è “puoi esistere qui, ma solo se non intralci il ritmo degli altri”.
Giuridicamente, si tratta di profilazione in base alla disabilità: una condotta discriminatoria illecita ai sensi della Legge 67/2006.


Cosa dovrebbero fare (subito) gli esercizi commerciali
Politiche di prenotazione eque: caparra simbolica o carta di garanzia uguale per tutte/i, con liste d’attesa e overbooking responsabile; non “niente prenotazioni per chi è malato”.
Accomodamenti ragionevoli: dotarsi di poggiatesta portatili e ausili è una misura minima, proporzionata e conforme allo spirito della Convenzione ONU.
Formazione antidiscriminazione: linee guida e sportelli UNAR sono disponibili per prevenire e gestire i casi; esistono toolkit operativi per chi lavora con il pubblico.


Cosa può fare chi subisce
Diffida e tutela giudiziaria ai sensi della Legge 67/2006 (anche con richiesta d’urgenza per far cessare la condotta).
Segnalazione a UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, competente anche sulla disabilità).
ADR/Conciliazione: quando utile, strumenti stragiudiziali previsti dal Codice del Consumo per i servizi al pubblico.


Perché la storia arriva da Rivarolo
La storia arriva da Rivarolo Canavese, un borgo che unisce architettura, natura e civiltà.
Tra scenari suggestivi, un castello trecentesco restituito alla comunità e festival che animano il paese, qui l’idea di bellezza condivisa non è solo un valore estetico ma un progetto di convivenza.

Se un paese capace di organizzare eventi, cinema e rassegne culturali riesce a farlo con efficienza, può anche organizzare prenotazioni inclusive e servizi rispettosi dei diritti civili.
Perché la qualità di un territorio si misura anche dalla qualità etica dei suoi commerci.

L’accesso alla cura di sé — anche dal parrucchiere — fa parte della cittadinanza piena.
Non è un privilegio da concedere a chi “non crea problemi”.

L’Italia che abbraccia il Canavese, tra vigneti e anfiteatri glaciali, merita di meglio.
E può farlo, oggi: bastano regole chiare, piccoli ausili e grandi teste.

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