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Cirio e Chiorino, venti milioni di aria fritta: i cassintegrati piemontesi non hanno visto un euro

Annunci, conferenze stampa e promesse elettorali: il sostegno al reddito della Regione Piemonte è fermo da mesi. Ai lavoratori arrivano solo 3,5 euro l’ora per la formazione. Disabato (M5S): “Traditi i cassintegrati piemontesi”

Cirio e Chiorino, venti milioni di aria fritta: i cassintegrati piemontesi non hanno visto un euro

La consigliera Disabato

L’ennesima promessa mancata della Giunta Cirio. Il tanto sbandierato “sostegno al reddito per i cassintegrati piemontesi”, presentato come un modello innovativo di welfare territoriale, oggi si rivela per quello che è: una scatola vuota, un annuncio buono per i titoli dei giornali ma non per i conti correnti dei lavoratori. Dei 20 milioni di euro stanziati dal fondo regionale, i destinatari non hanno ricevuto nemmeno un centesimo.
La denuncia arriva da Sarah Disabato, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Consiglio regionale, che parla senza giri di parole di “tradimento dei cassintegrati piemontesi”.

Secondo i dati ufficiali, in otto mesi sono stati spesi appena 379 mila euro, una briciola rispetto all’investimento annunciato. La misura, varata con grande enfasi dal presidente Alberto Cirio e dall’assessora al Lavoro Elena Chiorino, è di fatto ferma. E mentre la Regione Piemonte si vanta di essere “la prima in Italia” ad aver introdotto un meccanismo di integrazione per chi si trova in cassa integrazione, nella realtà non un solo lavoratore ha visto arrivare il bonifico promesso.

L'assessora Chiorino

L'assessora Chiorino

A peggiorare il quadro, la beffa: la misura collega il sostegno economico alla partecipazione obbligatoria ai corsi di formazione, con un’indennità da 3,5 euro l’ora. Tre euro e cinquanta per ogni ora passata in aula, come se la dignità del lavoro potesse essere monetizzata al prezzo di un caffè e una brioche. “Un’elemosina che lede la dignità di chi lavora”, denuncia Disabato, ricordando che molti cassintegrati hanno famiglie, mutui, bollette e che non si può liquidare la crisi occupazionale con un gettone da tirocinante.

Il paradosso politico è che l’idea del fondo nasce proprio da una proposta del Movimento 5 Stelle, poi accolta da Cirio e rilanciata in campagna elettorale come una delle bandiere del suo programma. “Peccato che, alla prova dei fatti, sia rimasta lettera morta”, commenta Disabato. La misura è stata inoltre snaturata rispetto all’idea originaria, diventando un percorso burocratico più che un sostegno reale: moduli, corsi, procedure e cavilli al posto di risposte concrete per chi è rimasto senza reddito.

Durante l’ultima seduta del Consiglio regionale, Chiorino ha dovuto ammettere che il programma è “al palo”. Un’ammissione che sa di resa. Eppure, nonostante il disastro gestionale, l’assessora continua a mostrarsi ottimista, parlando di “una misura che presto entrerà a regime”. Parole che ricordano altre promesse rimaste sulla carta, come i tavoli anticrisi per le aziende dell’automotive o i progetti di ricollocazione annunciati e mai partiti.

Intanto, il Piemonte resta una delle regioni più colpite dalla crisi occupazionale post-pandemia: Torino è oggi la provincia più cassaintegrata d’Italia, con migliaia di lavoratori in attesa di risposte. Dall’indotto dell’automotive ai servizi, dal tessile all’industria metalmeccanica, la cassa integrazione è tornata a livelli che non si vedevano da anni. E il sostegno promesso, che doveva essere un’ancora di salvezza, si è trasformato in un miraggio.

Invece di ammettere le proprie responsabilità, Chiorino ha preferito puntare il dito contro i sindacati, accusandoli di rallentare l’attuazione dei progetti di formazione. Una mossa che ha irritato non solo le sigle confederali, ma anche l’opposizione. “Un attacco totalmente fuori luogo — commenta Disabato — da cui Cirio dovrebbe dissociarsi senza se e senza ma”. Ma dal presidente della Regione, per ora, nessuna parola, nessun mea culpa, nessuna presa di posizione.

Il risultato è che i cassintegrati restano al punto di partenza: promesse, annunci, dichiarazioni, ma in tasca nulla. Le famiglie aspettano da mesi un aiuto che non arriva, mentre la Giunta regionale si limita a rimpallare colpe e giustificazioni. “Le arrampicate sugli specchi non ci interessano — ha detto ancora Disabato — chiediamo alla Giunta di rimediare al più presto a questa situazione, senza prendere ulteriormente in giro chi si trova in difficoltà”.

La misura, peraltro, non è nemmeno strutturale: i 20 milioni arrivano da fondi europei (nell’ambito del programma GOL, Garanzia Occupabilità dei Lavoratori) e non sono previsti in modo stabile nel bilancio regionale. Significa che, anche se partisse, avrebbe una durata limitata, e al primo cambio di priorità rischierebbe di sparire nel nulla. Esattamente come altre iniziative analoghe già evaporate nel silenzio generale.

Intanto, i lavoratori piemontesi in crisi si vedono superare da altre regioni più rapide ed efficienti, dove i fondi vengono davvero distribuiti e dove la formazione è affiancata da un vero sostegno economico. In Piemonte, invece, la lentezza amministrativa e la propaganda politica continuano a essere le uniche certezze.

Insomma, dopo mesi di slogan e conferenze stampa, restano solo i numeri: 20 milioni annunciati, 379 mila spesi, zero aiuti erogati. E una Regione che, a dispetto delle promesse, non riesce a trasformare la solidarietà in azione.
“Le politiche attive del lavoro devono essere accompagnate da un sostegno che offra un aiuto reale alle famiglie”, conclude Disabato.
Parole semplici, che dovrebbero essere ovvie per chi governa. Ma che, a quanto pare, in Piemonte suonano ancora come una rivoluzione.

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