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Yemen, assalto al quartier generale ONU: venti dipendenti trattenuti dagli Houthi a Sana'a

Un blitz senza precedenti scuote la fragile presenza delle Nazioni Unite nel paese in guerra, mentre crescono le tensioni e le accuse reciproche

Yemen, assalto al quartier generale ONU: venti dipendenti trattenuti dagli Houthi a Sana'a

Il segretario generale delle Nazioni Unite

A Sana’a, la capitale dello Yemen, si è consumata una scena che sembra uscita da un film distopico, ma purtroppo è realtà: il 19 ottobre 2025 le milizie Houthi hanno fatto irruzione senza preavviso nel complesso delle Nazioni Unite, trattenendo venti dipendenti dell’organizzazione. Quindici di loro sono operatori internazionali, cinque sono yemeniti. Tra i fermati c’è anche Peter Hawkins, rappresentante dell’UNICEF in Yemen, figura chiave nella macchina umanitaria che, nonostante la guerra, cerca ancora di portare aiuti e assistenza alla popolazione.

Un gesto improvviso, brutale, che segna una nuova escalation in un conflitto che ormai non conosce più limiti, in cui la linea di demarcazione tra azione umanitaria e guerra politica si è fatta pericolosamente sottile. Le forze Houthi sono entrate nel compound dell’ONU con un’operazione lampo, senza alcuna autorizzazione, violando apertamente la già fragile tregua che prevedeva il rispetto delle strutture internazionali. Secondo le prime ricostruzioni, i miliziani avrebbero requisito computer, telefoni, server e documenti, prima di trattenere il personale. Nessuna violenza fisica immediata, ma un messaggio chiarissimo: a Sana’a, il potere è loro.

La giustificazione ufficiale è arrivata poche ore dopo, in un discorso televisivo del leader Abdul Malik al-Houthi, che ha definito i fermati “una pericolosa cellula di spionaggio al soldo degli Stati Uniti e di Israele”. Accuse pesantissime, e per ora prive di qualsiasi prova, che tuttavia si inseriscono in una strategia ben precisa: quella di intimidire, controllare e, di fatto, sottomettere le organizzazioni umanitarie che operano in territorio Houthi. Nel mirino non ci sono solo UNICEF e Programma Alimentare Mondiale (WFP), ma l’intero sistema internazionale di aiuti che cerca, tra mille difficoltà, di tenere in vita milioni di yemeniti.

L’ONU ha reagito con fermezza. Il portavoce del Segretario generale, Stéphane Dujarric, ha definito le accuse “pericolose e inaccettabili”, ricordando che i lavoratori umanitari non sono spie ma persone che rischiano la vita ogni giorno per garantire assistenza e sopravvivenza a chi non ha più nulla. “Queste azioni – ha detto – mettono in pericolo l’intera catena umanitaria e violano i principi fondamentali del diritto internazionale”.

Sana’a

Sana’a

Lo Yemen vive da anni una guerra devastante che ha già provocato centinaia di migliaia di vittime e un’emergenza umanitaria senza precedenti. La popolazione civile è allo stremo, stretta tra bombardamenti, fame e malattie. Gli Houthi, sostenuti dall’Iran, controllano Sana’a e gran parte del nord del Paese, mentre il governo riconosciuto a livello internazionale, appoggiato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, mantiene il controllo delle regioni meridionali. In mezzo, ci sono le agenzie delle Nazioni Unite e le ONG, che cercano di far arrivare acqua, cibo, medicine e vaccini a chi è rimasto intrappolato in questo inferno.

Negli ultimi mesi gli episodi di intimidazione sono aumentati. Tra agosto e ottobre, oltre venti operatori delle Nazioni Unite sono stati fermati o trattenuti per ore con accuse simili di “spionaggio” o “sabotaggio”. Alcuni di loro sono stati poi rilasciati, altri trasferiti con discrezione in zone più sicure. Di fatto, lavorare a Sana’a è diventato quasi impossibile. Tanto che l’ONU ha deciso di spostare il centro di coordinamento umanitario ad Aden, città portuale controllata dal governo, dove almeno esiste un minimo di garanzia per la sicurezza del personale.

La cattura di Peter Hawkins e dei suoi colleghi è un colpo durissimo per l’UNICEF e per tutte le agenzie che operano nello Yemen. Le loro attività – dalle campagne di vaccinazione contro il colera e la poliomielite ai programmi di alimentazione infantile e accesso all’acqua potabile – rischiano di essere paralizzate. E per un Paese in cui milioni di bambini vivono in condizioni di malnutrizione acuta, la sospensione anche di pochi giorni può trasformarsi in una tragedia.

La comunità internazionale ha reagito all’unisono. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e numerosi Paesi arabi hanno chiesto il rilascio immediato dei venti dipendenti ONU, condannando l’atto come una “violazione palese del diritto internazionale”. Dalla sede di New York, il Segretario generale António Guterres ha avviato contatti diplomatici con Oman e Iran, nel tentativo di aprire un canale di mediazione che eviti un’escalation ancora più pericolosa.

Ma il rischio è già altissimo. L’azione degli Houthi non è solo un atto di forza militare: è un messaggio politico. È il tentativo di riaffermare la propria autorità anche contro la comunità internazionale, di dire al mondo che le regole, nello Yemen, non valgono più.

Intanto, a Sana’a, i cancelli del compound dell’ONU restano chiusi, il personale è irraggiungibile e la paura cresce. Le organizzazioni umanitarie sospendono le missioni, le famiglie degli operatori vivono ore di angoscia, mentre sullo sfondo continua a consumarsi la tragedia di un Paese dimenticato. In un luogo dove la guerra ha cancellato ogni certezza, anche l’aiuto umanitario – ultimo filo di speranza – è ora ostaggio della follia.

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