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20 Ottobre 2025 - 22:40
Lo Russo promette aiuti alla famiglia di Andy Mwachoko, ma il cantiere non si ferma
Era venuto in Italia per costruire un futuro. È morto costruendone uno per gli altri.
Andy Mwachoko, 42 anni, operaio della Cobar SpA di Altamura, nigeriano, marito e padre di tre figli, è rimasto schiacciato sabato mattina nel cantiere di Torino Esposizioni, dove sorgerà la nuova biblioteca civica. È successo tutto in pochi secondi, intorno alle otto: le reti metalliche che stava movimentando si sono staccate da un gancio della gru e gli sono piombate addosso. I colleghi hanno gridato, i soccorsi hanno corso, ma per Andy non c’è stato nulla da fare.
Era arrivato in Italia sette anni fa. Da allora aveva lavorato senza sosta, senza clamore, senza lamenti, inseguendo un solo obiettivo: portare qui la moglie e i bambini. Chi lo conosceva lo descrive come un uomo gentile e sorridente, uno di quelli che salutano tutti al mattino, anche quando piove e il turno inizia all’alba.
E invece, sabato, è finito tutto sotto il peso del ferro.
Nel Consiglio comunale di Torino, il sindaco Stefano Lo Russo ha annunciato il contatto con l’ambasciatore italiano in Nigeria, Roberto Mengoni: “Abbiamo espresso il nostro sconcerto e chiesto che l’ambasciata d’Italia garantisca ogni forma di assistenza alla famiglia di Andy. Tutti i canali possibili sono stati attivati, e la rappresentanza diplomatica si è resa disponibile a dare la massima assistenza rispetto a questo tragico fatto.”
Lo Russo, visibilmente scosso, ha raccontato di essersi recato di persona sul luogo dell’incidente: “C’è stato un momento di ricordo con i suoi compagni di lavoro. La zona dell’infortunio è sotto sequestro, ma il cantiere continua, come la vita — anche quando fa male.”
Poi, in Sala Rossa, il minuto di silenzio. Nessuno parlava. Solo quel vuoto, più pesante delle reti che hanno ucciso Andy.
La presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo ha detto parole che non dovrebbero restare sospese: “Un’altra vittima della strage silenziosa che ogni anno si consuma dentro i cantieri del nostro Paese. Sarà l’inchiesta dello Spresal e della procura a chiarire l’esatta dinamica, ma è evidente che questa ennesima tragedia ci interroga come istituzioni, come corpo sociale, sulla nostra effettiva capacità di proteggere chi lavora.”
Già, una “strage silenziosa”. Così la chiamano, e silenziosa lo è davvero: nessun clamore, nessuna breaking news, nessuna diretta TV. Solo numeri che crescono, una croce in più sulle statistiche dell’INAIL e una famiglia in meno che riesce a dormire.
E mentre le istituzioni si interrogano, in quel cantiere il rumore delle gru copre la memoria di chi non c’è più. I colleghi di Andy sono tornati al lavoro: la zona dell’incidente è isolata, ma tutto il resto procede. Il cemento deve colare, i tempi vanno rispettati, la biblioteca deve nascere.
Ma chi restituirà un padre ai suoi figli? Chi darà voce a un uomo che, come migliaia di altri, ha trovato nel lavoro l’unico linguaggio per farsi accettare?
Andy non aveva un ruolo pubblico, non faceva politica, non compariva sui giornali. Eppure il suo nome merita di restare. Perché Andy rappresenta tutti quelli che costruiscono l’Italia senza che nessuno li veda: quelli che tengono in piedi le impalcature dei nostri palazzi, i binari delle nostre ferrovie, le fondamenta dei nostri sogni.
E mentre la città prepara il taglio del nastro per la “nuova biblioteca del futuro”, bisognerebbe ricordare che quel futuro è già stato pagato. Pagato con la vita di un uomo buono, venuto da lontano per dare un senso al sacrificio.
Oggi Torino piange Andy Mwachoko, ma domani – c’è da scommetterci – un altro nome entrerà nelle cronache delle morti bianche. Finché non ci sarà più bisogno di minuti di silenzio, ma di ore, di giorni, di scelte concrete.
Finché la parola “sicurezza” non sarà solo un obbligo burocratico, ma una promessa mantenuta.
Perché Andy non doveva morire.
Perché nessuno dovrebbe morire lavorando.
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