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Mensa scolastica a Chivasso, nessun panino per i figli dei morosi. Dopo gli annunci, Castello & co. concedono l'ennesima "proroga"

L’amministrazione concede un’ulteriore proroga “fino all’adozione delle modalità organizzative da parte delle Direzioni Scolastiche”. Traduzione: la palla passa alle scuole, che dovranno trovare una formula per gestire l’imbarazzo. In sostanza, di deroga in deroga, il pugno di ferro annunciato si sta rivelando poco più di una carezza

Mensa scolastica, nessun panino per i figli dei morosi. Dopo gli annunci, Castello & co. concedono l'ennesima "proroga"

Mensa scolastica, nessun panino per i figli dei morosi. Dopo gli annunci, Castello & co. concedono l'ennesima "proroga"

C’è un limite oltre il quale anche la coerenza amministrativa diventa "flessibile". E a Chivasso se ne è avuta l'ennesima riprova sul caso dei panini che i bambini - figli di genitori "morosi" della mensa - avrebbero dovuto portarsi da casa con l'inizio del nuovo anno scolastico.

Il sindaco Claudio Castello, che in Consiglio comunale aveva rivendicato la linea dura del “chi non paga non mangia”, ha infatti firmato l'ennesima marcia indietro.

Lo annuncia con una nota dal tono neutro, quasi sommesso, datata 16 ottobre 2025, che proroga — ancora — la deroga temporanea al regolamento comunale. Tradotto dal burocratese: anche i figli delle famiglie morose potranno continuare a usufruire della mensa scolastica.

È la terza deroga in poco più di un mese. La prima risale al 5 settembre, poi la proroga del 26 settembre, infine quella del 16 ottobre. In teoria, doveva essere un’eccezione; in pratica, è diventata la regola.

Il documento spiega che la proroga è stata concessa “per agevolare la gestione del servizio in un’ottica di inclusione e collaborazione istituzionale”. Parole che suonano dolci dopo mesi di annunci trancianti e toni moralistici.

Eppure la sostanza è semplice: l’amministrazione ha dovuto/voluto fare marcia indietro, ancora una volta.

Solo poche settimane fa, in Consiglio comunale, Castello aveva difeso il regolamento con un fervore quasi pedagogico: “La non ammissione al servizio mensa nei casi di morosità non sanata non contraddice il valore educativo, ma lo integra e lo rafforza”. Aveva parlato di equità, di rispetto per chi paga, di famiglie “furbe” che possono permettersi ma non vogliono. E poi? Poi, il nulla. O meglio: il mare. Quello, s'intende, che c'è di mezzo tra il dire e il fare.

Nel mentre, s'è scatenato un dibattito pubblico che ha diviso la città.

Claudia Buo, capogruppo di LiberaMente Democratici, aveva denunciato la scelta del panino come “discriminatoria”, ricordando che “la mensa non è un lusso, ma un diritto educativo”. Il suo intervento in aula, condiviso dal consigliere Bruno Prestìa, era stato un atto d’accusa contro la maggioranza: “Questa amministrazione, che si dice di centrosinistra, scarica sui bambini la propria incapacità di gestire i debiti delle famiglie”.

La scena, quel martedì sera di fine settembre, era stata quasi teatrale. Il sindaco aveva parlato per venti minuti, snocciolando cifre e procedure: ISEE, percentuali di recupero, notifiche ADER. Sembrava un revisore dei conti più che un primo cittadino. Alla fine, la sostanza era chiara: il regolamento resta, ma chi non paga — per ora — mangia lo stesso.

Poi, a distanza di pochi giorni, la seconda puntata: voilà la prima deroga. I bambini dei morosi, ribattezzati “figli dei furbetti” dall'attuale esecutivo che fa capo al sindaco Castello e, nella fattispecie, all'assessore all'Istruzione Gianluca Vitale, possono tornare in mensa.

E oggi, rullo di tamburi, il terzo atto. L’amministrazione concede un’ulteriore proroga “fino all’adozione delle modalità organizzative da parte delle Direzioni Scolastiche”. Traduzione: la palla passa alle scuole, che dovranno trovare una formula per gestire l’imbarazzo di Castello & company.

In sostanza, di deroga in deroga, il pugno di ferro annunciato si sta rivelando poco più di una carezza. 

È l'ennesima marcia indietro del sindaco, una delle tante a cui siamo abituati fin da quando venne eletto per la prima volta nel lontano 2017 e approvò una delibera per l'abbattimento degli alberi di fronte all'ingresso dell'ospedale monumentale, salvo poi fare dietro front dopo le proteste degli ambientalisti (per la cronaca oggi quegli alberi sono ancora lì, ndr).

Il problema di Castello, però, non è solo di comunicazione. È di credibilità. Quando un sindaco proclama rigore e poi lo svuota di sostanza, la fiducia si sgretola.

Con l'aggravante, in questo caso, che dopo l'ultima proroga concessa ai "furbetti", la responsabilità sull'adozione dei provvedimenti viene fatta ricadere interamente sulle scuole.

Auguri.

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