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Prefettura, Asl e Regione firmano un protocollo per la sicurezza. Arrivano le guardie armate! Accordo o propaganda?

Un’intesa per proteggere medici e infermieri dalle aggressioni nei luoghi di cura. Potenziati videosorveglianza, vigilanza armata e collaborazione con le Forze dell’Ordine. Cafagna, Picco, Riboldi e Marrone: “La sicurezza del personale è una priorità assoluta”

Firmato il protocollo per la sicurezza nei presidi sanitari: alleanza tra Prefettura, Asl e Regione Piemont

Firmato il protocollo per la sicurezza nei presidi sanitari: alleanza tra Prefettura, Asl e Regione Piemont

È stato firmato ieri, 17 ottobre, nella sede della Prefettura di Torino, un Protocollo d’intesa per la sicurezza dei presidi sanitari. Un accordo che unisce Prefettura, Asl Città di Torino e Regione Piemonte in un’alleanza strategica per rafforzare la protezione di chi ogni giorno lavora in prima linea negli ospedali e nei servizi sanitari, sempre più spesso teatro di aggressioni e comportamenti violenti.

A sottoscrivere il documento sono stati il prefetto Donato Cafagna, il direttore generale dell’Asl Città di Torino Carlo Picco, e gli assessori regionali alla Sanità e alle Politiche Sociali e all’Integrazione Socio-Sanitaria, Federico Riboldi e Maurizio Marrone. Presenti alla cerimonia anche i vertici provinciali delle Forze dell’Ordine e i presidenti degli Ordini professionali di medici, infermieri, tecnici sanitari e odontoiatri, a testimonianza di una collaborazione che intende coinvolgere l’intero sistema sanitario e istituzionale del territorio.

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Il protocollo - sulla carta -non è un semplice atto formale, ma un impegno concreto per rendere più sicuri i luoghi di cura e prevenire episodi di violenza. L’intesa prevede percorsi condivisi e procedure coordinate tra operatori sanitari e Forze dell’Ordine, con modalità d’azione prestabilite per affrontare rapidamente eventuali situazioni critiche e per prevenirle attraverso una maggiore presenza, controllo e deterrenza.

Particolare attenzione sarà riservata alle strutture considerate “ad alto rischio”, come i Pronto Soccorso, i Punti di Primo Intervento, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, i Centri di Salute Mentale e i Servizi per le Dipendenze Patologiche. In questi reparti sarà potenziato l’uso di strumenti di videosorveglianza, teleallarme e vigilanza diurna e notturna, oltre a campagne di formazione per il personale, finalizzate a migliorare la gestione dei conflitti e a favorire una comunicazione più efficace con i pazienti.

Nel corso della firma, il prefetto Donato Cafagna ha sottolineato la necessità di un’azione coordinata e continua.

«L’iniziativa che sottoscriviamo realizza un programma di interventi volti a venire sempre più incontro alle esigenze di sicurezza e serenità di chi quotidianamente è impegnato in prima linea per la salute dei cittadini. C’è una richiesta di maggiore presenza delle Forze dell’Ordine da parte degli Ordini professionali, delle organizzazioni sindacali e delle Asl. L’obiettivo è rispondere a questa domanda in modo dinamico e coordinato, potenziando la presenza nei presidi sanitari e consolidando la collaborazione tra il mondo sanitario e quello della sicurezza».

Il direttore generale Carlo Picco ha ricordato le numerose misure già adottate dall’Asl Città di Torino, come la vigilanza armata, i pulsanti antipanico, i collegamenti video diretti con le Forze dell’Ordine e le convenzioni con associazioni di protezione civile, tra cui il Nucleo Carabinieri e i Volontari “Capitano Ultimo”, attivi nei Pronto Soccorso del Maria Vittoria e del San Giovanni Bosco. «Con la firma di questo protocollo – ha spiegato Picco – intendiamo rafforzare la collaborazione con le Forze dell’Ordine per tutelare gli operatori sanitari da aggressioni o atti di violenza, definendo modalità chiare di attivazione e intervento tempestivo in caso di emergenza».

Dal canto suo, l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi ha messo in evidenza che quello firmato a Torino è il secondo protocollo di questo tipo in Piemonte, dopo quello siglato ad Asti lo scorso aprile.

«La sicurezza nei Pronto Soccorso – ha dichiarato – è una priorità assoluta per la Regione. È in corso una gara d’appalto per l’attivazione di guardie armate in tutti i presidi ospedalieri, con aggiudicazione prevista entro la fine dell’anno. Fino a pochi anni fa il personale del Pronto Soccorso era rispettato e ringraziato. Oggi, purtroppo, alcuni schemi sociali sembrano saltati, e questo richiede un cambio di passo. La Regione ha avviato un monitoraggio in tutte le aziende sanitarie sulle misure di sicurezza e sulla prevenzione della violenza ai danni degli operatori».

L’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone ha invece evidenziato il valore della presenza fisica e della collaborazione istituzionale: «La vera sicurezza in luoghi sempre aperti e accessibili come gli ospedali la si garantisce solo rafforzando la presenza delle Forze dell’Ordine, e questo è ciò che le Istituzioni stanno facendo unendo le energie. Grazie anche alle associazioni d’Arma, come l’Associazione Nazionale Carabinieri, per la loro disponibilità a garantire una presenza rassicurante. Siamo orgogliosi di sostenerli con le risorse regionali per l’Invecchiamento Attivo».

Sicurezza nei presidi sanitari: accordo o propaganda?

Firmato, fotografato, diffuso. Il nuovo protocollo per la sicurezza dei presidi sanitari tra Prefettura, Regione Piemonte e Asl Città di Torino ha tutti gli ingredienti del classico annuncio politico ben confezionato: parole solenni, foto istituzionali, citazioni equilibrate e la promessa — immancabile — di “un nuovo corso”. Ma mentre gli assessori regionali e il prefetto si stringono la mano, resta una domanda che non si può eludere: davvero basteranno carte, firme e buone intenzioni per far sentire più sicuri medici e infermieri?

Da anni, il personale sanitario denuncia aggressioni, insulti e minacce. Nei pronto soccorso, negli ambulatori, nei reparti psichiatrici. I numeri parlano chiaro, e lo fanno da tempo: la violenza verso chi cura è una piaga strutturale, non un’emergenza passeggera. Eppure, ogni volta che scoppia un caso, la risposta è sempre la stessa: un tavolo, un protocollo, una promessa. Poi, lentamente, il rumore si spegne e tutto resta come prima.

Il prefetto Donato Cafagna parla di “programmi di interventi volti a venire incontro alle esigenze di sicurezza e serenità di chi è impegnato per la salute dei cittadini”. Parole condivisibili, certo, ma che suonano fin troppo note. Così come quelle del direttore dell’Asl, Carlo Picco, che elenca misure già attive da anni — vigilanza armata, pulsanti antipanico, telecamere — spacciandole per novità. In realtà, il vero nodo non è mai stato la mancanza di sistemi di sicurezza, ma la mancanza di personale, di formazione e di tempo per affrontare situazioni di stress crescente.

Poi ci sono gli assessori regionali, Federico Riboldi e Maurizio Marrone, che annunciano l’arrivo delle guardie armate in tutti i pronto soccorso entro fine anno. Tant'è!

È difficile non notare, in tutto questo, un certo gusto per la propaganda. 

Non che la sicurezza non sia importante — anzi, è sacrosanta. Ma la sicurezza vera nasce da condizioni di lavoro dignitose, da reparti non al collasso, da cittadini che non devono aspettare otto ore per un codice verde, mesi e anni per una visita o un intervento chirurgico.

C’è insomma il rischio che questo protocollo serva più a rassicurare l’opinione pubblica che il personale sanitario. Un modo elegante per dire: “vedete, stiamo facendo qualcosa”, mentre sul campo tutto continua a funzionare come prima, con la differenza che ora ci sono due telecamere in più e un vigilante alla porta.

La firma è fresca, le parole sono alte. Ma la fiducia — quella no — si conquista nei corridoi degli ospedali, non nelle sale della Prefettura. E forse, più che nuovi protocolli, servirebbe un impegno quotidiano per ricostruire pezzo dopo pezzo la sanità che il Piemonte aveva e oggi non c'è più, mortificata da "primari" che in "intramoenia" si fanno i "ca..propri" e direttori generali incapaci di amministrare e gestire le più grandi aziende del Piemonte.

Insomma, se questa è la risposta della politica alla violenza nei presidi sanitari, viene il sospetto che il vero obiettivo non sia tanto proteggere chi cura, quanto proteggere chi governa.

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