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Carcere di Ivrea, il pensionato trattato come un cane. Ma per i gatti galeotti la porta resta sempre aperta.

Gatti accolti, uomo dimenticato: a Ivrea il progetto "I gatti galeotti" celebra reinserimento e tenerezza mentre un ex assistente capo con quarant'anni di servizio viene escluso dall'ultimo saluto.

Carcere di Ivrea, il pensionato trattato come un cane. Ma per i gatti galeotti la porta resta sempre aperta.

Carcere di Ivrea, il pensionato trattato come un cane. Ma per i gatti galeotti la porta resta sempre aperta.

Nel carcere di Ivrea i gatti entrano e escono come a casa loro. Si arrampicano sui muri, si infilano tra i cancelli, si fanno coccolare dai detenuti. Hanno perfino un progetto tutto per loro: “I gatti galeotti”, simbolo di reinserimento, libertà e tenerezza dietro le sbarre.
Peccato che la stessa libertà, la stessa tenerezza, non sia stata concessa a un ex assistente capo coordinatore con quarant’anni di servizio.

Dal 1° ottobre è in pensione, ma il 7 è tornato in istituto, solo per firmare gli ultimi documenti, salutare chi con lui ha condiviso una vita di turni, chiavi, notti insonni e celle chiuse. Solo per un ultimo caffè con i colleghi.

Il Comandante e la direttrice del Carcere di Ivrea

Il Comandante e la direttrice del Carcere di Ivrea

E invece no. L’uomo è stato lasciato ad aspettare. Come un estraneo. Come uno che disturba.
Dicono che sia rimasto a lungo fermo al Block House, in attesa di qualcuno lo ricevesse. Il caffè allo spaccio? Vietato.
“Non è più un dipendente”, hanno spiegato. Come se la pensione cancellasse quarant’anni di servizio. Come se la riconoscenza avesse una data di scadenza. Come se, varcato il cancello, la memoria collettiva si resettasse da sola.

Intanto, nel cortile, i gatti continuano a gironzolare liberi. Loro sì che possono entrare, uscire, sonnecchiare dove vogliono.
Per gli animali c’è un progetto di affetto. Per gli uomini, un regolamento.

La direttrice Alessia Aguglia, dicono, non fosse presente. Il comandante Domenico Montauro in missione "forfettaria" dalla Calabria, in altre faccende occupato.
Forse entrambi impegnati a supervisionare l’armonia del clima interno, quel clima che più che “interno” sembra da cella frigorifera.
Oppure troppo occupati a garantire il “benessere animale” per accorgersi che un uomo, in quel momento, veniva trattato peggio di un cane.

Gli agenti, indignati, hanno deciso di spostare la piccola cerimonia fuori dal carcere.
La targa e la pergamena, pensate per festeggiare un traguardo di vita, sono state consegnate all’esterno, lontano da quel portone che per quarant’anni aveva rappresentato il dovere, la fatica, la dedizione.
Un addio clandestino. Un brindisi amaro.

La morale è presto detta.
Mentre i gatti galeotti continuano a zampettare tra le celle, l’ex assistente capo coordinatore ha scoperto che il carcere che aveva servito per una vita non aveva più un posto per lui.
Non un grazie, non un sorriso, non un caffè. Solo una porta chiusa.

C’è chi parla di un malinteso, di una svista. Forse.
Ma è proprio nei “malintesi” che si misura la sostanza di un’istituzione.
E qui la sostanza è amara.

Se questo è il modo di salutare chi ha servito lo Stato per quarant’anni, allora sì, al carcere di Ivrea la rieducazione funziona — ma solo al contrario.

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