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"Cip e Ciop" alla conquista degli ospedali: in Piemonte la sanità si cura con il "vitello tonnato"

Gli assessori Bongioanni e Riboldi lanciano il progetto “Cibo sano, cura vicina”: prodotti a chilometro zero negli ospedali. Peccato che prima del vitello tonnato, i piemontesi preferirebbero trovare un medico disponibile

"Cip e Ciop" alla conquista delle corsie: in Piemonte la sanità si cura con il "vitello tonnato"

Bongiovanni e Riboldi,

Nel regno del paradosso chiamato Piemonte, due assessori — pardon, Cip e Ciop, al secolo Paolo Bongioanni e Federico Riboldi — hanno deciso di rivoluzionare la sanità partendo… dal menù. Non dagli ospedali che crollano, non dalle liste d’attesa da romanzo di Kafka, non dai pronto soccorso dove l’unica cosa che corre è il nervoso del personale. No, loro partono dai tajarin.

Il progetto si chiama “Cibo sano, cura vicina” e già nel titolo c’è tutto il sarcasmo che serve. Perché la cura vicina è un concetto filosofico più che sanitario: vicina sì, ma mai abbastanza da trovarla. L’idea geniale è portare il chilometro zero in corsia. Così, mentre aspetti sei mesi per una visita o un anno per una risonanza, potrai almeno assaporare una frittatina con le uova bio di galline felici di Pinerolo.

vitello tonnato

Gli assessori spiegano che non si tratta di “un’operazione di immagine”, bensì di “un cambio di paradigma”. E qui ci crediamo: passare dalla cura del malato alla cura del brodo è in effetti un bel salto di paradigma. Mentre i reparti arrancano, le mense diventeranno templi della gastronomia piemontese: formaggi d’alpeggio, carni locali, verdure a filiera corta. Insomma, se non si può guarire, almeno si può mangiare bene.

Il comunicato è una poesia agro-ospedaliera. Le parole d’ordine: tracciabilità, stagionalità, qualità. Tutte bellissime, peccato che non ci sia una riga su medici, infermieri e strutture. Perché quelli, evidentemente, non sono ingredienti fondamentali nella ricetta della sanità regionale. Al massimo un contorno.

Cip e Ciop, o se preferite Tommy e Jerry, assicurano che “la cura comincia dal cibo”. Certo. Solo che in Piemonte la cura non comincia mai, e il cibo — quando arriva — è servito dopo ore di attesa su una barella. Ma vuoi mettere? Sapere che la mela del dessert viene da Cuneo ti fa quasi dimenticare che sei lì da tredici ore perché il pronto soccorso è al collasso.

A completare il quadro bucolico, il progetto coinvolgerà Coldiretti, Confagricoltura e CIA. Gli agricoltori diventeranno “partner nella definizione delle forniture”, le ASL si occuperanno di “integrare i prodotti nei piani nutrizionali”, e la Regione coordinerà il tutto con una “Cabina di Regia”. Un nome che evoca potenza e controllo, anche se qui si rischia più il deragliamento del treno che la buona direzione.

E via con la fase pilota, nel 2025, ad Alessandria, Novara e Torino. Poi, entro il 2030, l’espansione a tutta la rete sanitaria regionale. Giusto in tempo, forse, per servire ai pazienti del futuro un ottimo risotto al Nebbiolo, in attesa che arrivi il cardiologo — sempre che nel frattempo non si sia trasferito in Svizzera.

Sia chiaro: nessuno è contrario al cibo sano. Ma prima della mela di montagna, ci piacerebbe la visita cardiologica. Prima del vitello tonnato, vorremmo un pronto soccorso che non imploda. Prima del km zero, vorremmo una sanità che non sia a luci spente.

Perché va bene la “filiera corta”, ma ormai la distanza più lunga, in Piemonte, è quella tra chi governa e chi si cura.

Insomma, Cip e Ciop sognano ospedali gourmet. I cittadini, invece, si accontenterebbero di trovarne uno che funzioni.

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