AGGIORNAMENTI
Cerca
Politica
15 Ottobre 2025 - 22:18
Il generale, il Capitano e la disfatta nella Toscana rossa
C’è una scena, nella commedia tragica della politica italiana, che sembra scritta da un autore con molto senso dell’umorismo e pochissimo rispetto per la coerenza: la Lega, partito del Nord, che prova a conquistare la Toscana.
Già, la Toscana. Una delle regioni rosse per eccellenza, insieme all’Emilia-Romagna. Il cuore pulsante della sinistra storica, dove da decenni la destra entra in punta di piedi, sperando almeno in un pareggio d’onore. Ma la Lega no: lei voleva vincere. E non con uno qualunque, ma con un generale.
Così Matteo Salvini, il Capitano (autoproclamato), decide che per domare la terra di Calamandrei, Gramsci e Togliatti, la patria ideale della sinistra italiana, ci vuole la strategia militare.
E chi meglio di Roberto Vannacci, ex generale dell’esercito, ex eroe nazionale, oggi eurodeputato, autore di libri controversi e frasi ancor più incendiarie?
La missione era semplice: “Conquistare la Toscana”. Il risultato? Una Caporetto elettorale.
La Lega si ferma sotto il 5%, in una regione dove fino a pochi anni fa galleggiava sopra il 20%. Tradotto: da “prima il Nord” a “ultimo dappertutto”. E mentre i vertici cercano scuse, i militanti contano i superstiti.
Il punto non è solo il tracollo numerico. È che il disastro arriva proprio lì dove Salvini voleva dimostrare di poter parlare anche “oltre il Po”.
E invece ha parlato a se stesso.
Dietro la disfatta ci sono spaccature interne, accuse, faide, sospetti di “tradimento”. Tutto molto italiano, ma con una differenza: questa volta, il nemico non è fuori dal partito. È dentro.
E ha un nome e un cognome: Roberto Vannacci.
Vicesegretario federale, coordinatore della campagna toscana, scelto personalmente dal Capitano per conquistare la terra del Chianti.
Peccato che la sua gestione della campagna elettorale sia stata definita dai colleghi “una trincea senza via di fuga”.
Le liste, raccontano, sono state composte come in un plotone: solo fedelissimi, zero dissenso, tanto patriottismo e poco pragmatismo.
Risultato: le sezioni locali si sono sentite escluse, gli amministratori storici messi alla porta e la “vecchia guardia” — quella che nei gazebo ci ha lasciato la schiena — ha deciso che no, così non va.
Tra gli esclusi eccellenti c’è Susanna Ceccardi, ex candidata presidente, simbolo del leghismo toscano più radicato. Poi Giovanni Galli, ex portiere, consigliere regionale, oggi scivolato fuori squadra.
Insomma, la Toscana leghista si è trasformata in un campo minato dove ogni passo provoca un’esplosione.
Gli autonomisti parlano di tradimento. I militanti storici parlano di umiliazione. Tutti, più o meno apertamente, puntano il dito contro il “metodo Vannacci”: aggressivo, autocelebrativo, calato dall’alto.
E, come in ogni guerra intestina che si rispetti, la prima a saltare è la logica.
Perché mentre la Lega discute su chi abbia sbagliato, gli elettori discutono su chi sia rimasto.
Il partito che un tempo sventolava il vessillo del federalismo ora si scopre centralista, accentratore, quasi monarchico.
Altro che “Padania libera”, oggi si sente più “Padania obbediente”.
Così le dimissioni si accumulano, i comunicati diventano necrologi politici, i moderati si dileguano come reclute in fuga.
E tutto questo accade non in Calabria o in Puglia, ma in Toscana — quella Toscana che, per la Lega, doveva essere la vetrina del nuovo corso nazionale, la dimostrazione che il partito del Nord sapeva farsi forza anche a Sud dell’Arno.
Ma la ribellione non si ferma ai confini regionali.
Dal Nord arriva la voce di Massimiliano Romeo, segretario della Lega lombarda, che recita l’epitaffio con tono da autopsia: “Abbiamo perso il radicamento territoriale.”
Tradotto dal politichese: ci siamo dimenticati chi siamo.
Romeo non fa giri di parole: la Lega ha smesso di essere “partito del territorio” per diventare “partito del quartier generale”.
Si decide tutto a Roma, si comunica tutto su TikTok, si annunciano alleanze in diretta TV e si scelgono i candidati come se fossero influencer.
Il risultato? Gli elettori storici si sentono orfani, e il consenso evapora come la nebbia a Pontida dopo il comizio.
Secondo Romeo, la colpa è anche della gestione “a manetta” di Vannacci: una campagna elettorale condotta come un’esercitazione militare, con slogan urlati invece di idee, e un linguaggio così rigido da sembrare il bollettino di un quartier generale in trincea.
Peccato che la Toscana non sia un campo di battaglia, ma una regione che ragiona, discute, si divide, si entusiasma e poi vota. E Vannacci, forse, l’ha dimenticato.
E Salvini? Lui tace.
Un silenzio che vale più di mille dichiarazioni.
Niente mea culpa, nessuna autocritica: si volta pagina, anzi, si cambia regione.
Dal fiasco toscano alla speranza veneta.
E così il Capitano prepara il suo ritorno alle origini: Padova, roccaforte della Lega, dove il presidente Luca Zaia viene arruolato come simbolo del rilancio.
La nuova parola d’ordine è “ripartire dal Nord”. Come dire: dopo aver tentato la conquista del rosso, torniamo al verde.
Ma anche qui il rischio è evidente: un partito che si chiude nelle sue roccaforti è un partito che smette di crescere.
E la sensazione è che la Lega, oggi, non stia ripartendo: stia semplicemente rientrando in caserma.
Ora la Lega è davanti a un bivio grande come il suo passato.
Da un lato, continuare la deriva centralista, con un vertice che comanda e un partito che obbedisce.
Dall’altro, tornare a essere quel movimento territoriale, radicato, ruvido ma autentico che — nel bene e nel male — parlava alle persone.
La disfatta toscana non è solo un episodio: è uno specchio, un segnale d’allarme, la prova che il leghismo da talk show non buca più lo schermo.
E che il popolo del Nord — quello vero, quello che la Lega diceva di rappresentare — non si riconosce più nei selfie, nei generali e nei proclami.
Il rischio, oggi, è che la Lega finisca come tanti partiti italiani prima di lei: dimenticandosi da dove è partita, per inseguire ciò che non è mai stata.
E allora, nella Toscana che rimane rossa, come l’Emilia, non resta che un applauso amaro.
Il generale ha perso la battaglia, il Capitano la rotta.
E il popolo, quello sì, ha già trovato la via di fuga.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.