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15 Ottobre 2025 - 13:25
Pietro Centin alla chitarra e i “The Mingles”
Ha 19 anni, studia Ingegneria Meccanica ma, appena può, imbraccia la chitarra e si lascia travolgere dalla musica. Si chiama Pietro Centin, vive a Chivasso e fa parte dei The Mingles, una band giovane, piena di idee e talento.
E’ uno di quei ragazzi che non si accontentano di “mettere su un gruppo”: vuole capire, sperimentare, crescere. La musica, per lui, non è una parentesi tra una lezione e l’altra… è una necessità.
Da bambino, mentre in tv passavano le pubblicità, teneva il tempo con un cucchiaio. E guardava in loop le vecchie videocassette dei concerti di Bruce Springsteen comprate da sua madre. Lì, forse, è iniziato tutto.
In famiglia nessuno ha mai preso uno strumento in mano. “E’ una passione tutta mia – racconta –. Ho iniziato a studiare musica a 6 anni, basso e chitarra, ma poi la seconda mi ha ‘rapito’ del tutto”.
Ha preso le prime lezioni all’Istituto Musicale Leone Sinigaglia di Chivasso. “All’inizio erano individuali, poi dal 2016 ho cominciato a suonare nelle mini-band. Sono stato uno dei primi a farne parte e da allora il gruppo è cambiato tante volte, finché abbiamo trovato la nostra formazione definitiva”.
Da due anni Pietro e i suoi compagni hanno deciso di staccarsi dalla scuola e di suonare in autonomia, portando la loro musica fuori, nelle piazze e nei locali.
Oggi i The Mingles sono cinque: Pietro Centin alla chitarra, Lorenzo Vella al basso e alla batteria, Marco Imerito anche lui basso e batteria, Angelica Saporito alla seconda chitarra e Giorgia Bretto alla voce.
“Abbiamo scelto di chiamarci The Mingles perché volevamo qualcosa che ci rappresentasse davvero. Volevamo che fosse un sinonimo di ‘motley’, che vuol dire variopinto, variegato, eterogeneo. Il nostro nome significa mescolarsi, fondersi, intrecciarsi. Che poi è quello che facciamo noi con la musica: siamo diversi, ma insieme troviamo un suono comune” spiega Pietro.
Il risultato di questa unione è un repertorio che tiene insieme mondi lontani: il Punk, gli anni ‘80, il Blues, il Metal e non solo. “Non rientriamo in un genere preciso, il nostro è un equilibrio che nasce proprio dalle differenze, da ciò che piace a ciascuno di noi, e la nostra musica è l’anello di congiunzione fra tutto questo, un’entità a sé”.
Dopo mesi di prove e di ore passate ad esercitarsi, i The Mingles hanno cominciato a scrivere pezzi propri. Il primo, Dream 1.0, era solo strumentale, dato che non c’era ancora Giorgia, la voce del gruppo. Poi sono arrivati Bastarda Solitudine e Misfit’s Rage, due brani che suonano come manifesti di una generazione che vuole farsi sentire, senza chiedere permesso. “Componiamo insieme e poi, con i moderni software e i programmi di registrazione, arriviamo ad ottenere la demo finale, nostra al cento per cento” spiega.
Nei concerti dal vivo si percepisce l’energia che li tiene uniti. “Quando saliamo sul palco non vogliamo imitare nessuno, vogliamo solo essere noi stessi. Siamo cinque ragazzi nati fra chitarre distorte e sogni ad alto volume, cinque anime che fanno della musica un grido di libertà” questo è un po’ il loro motto.
Ai The Mingles non interessa la scorciatoia dei talent show. Non vogliono essere giudicati in due minuti di esibizione televisiva. Preferiscono la strada più lunga, più vera: quella dei locali, delle serate, dei pub pieni di gente che ascolta per davvero. “Ci piacerebbe inserirci nel panorama musicale torinese – afferma Pietro – e arrivare a suonare in posti blasonati come l’Hiroshima Mon Amour, il Magazzino di Gilgamesh o il Blue Note di Milano, ad esempio”.
Dietro questa semplicità c’è un’idea chiara di libertà: niente marketing, niente ansia da successo, solo il desiderio di condividere qualcosa di autentico. “Vogliamo far ascoltare la nostra musica a più persone possibile, ma soprattutto vogliamo che la vivano con noi e che ‘sentano’ quello che ‘sentiamo’ noi quando suoniamo”.
Pietro è consapevole che la musica non è il suo “piano A”. Studia ingegneria, e la testa è piena di formule, disegni tecnici, modelli meccanici. Ma il cuore, quello, va a tempo di chitarra. “Questo per noi è un hobby – ammette –, ma se capitasse l’occasione di farne un lavoro sarebbero una gioia ed una soddisfazione enormi”. Non lo dice con ingenuità, ma con quella pacata determinazione di chi sa che i sogni, per esistere, devono anche avere i “piedi per terra”.
Mentre parla il suo sguardo si illumina. “Siamo solo all’inizio del nostro percorso – spiega –. L’obiettivo è arrivare alla fine del prossimo anno con il nostro primo EP”. Ci crede, e lo si capisce. Perché, in fondo, non serve nascere in una famiglia di musicisti per sentire la musica “dentro”. A volte bastano un cucchiaio che batte il tempo su un tavolo, una videocassetta di Springsteen e un gruppo di amici disposti a sognare insieme… cinque personalità che si mescolano, cinque storie che trovano ritmo e voce attraverso un amplificatore acceso.
Pietro da piccolo, a lezione di chitarra
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