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10 Ottobre 2025 - 22:03
Tornano a Torino i tre attivisti della Flotilla: “Israele è crudele, ci hanno trattati come bestie”
Sono atterrati questa sera all’aeroporto di Caselle, con i volti provati ma lo sguardo fiero, i tre attivisti italiani della Freedom Flotilla diretti a Gaza: Claudio Giuseppe Torrero, Riccardo Corradini e Francesco Prinetti. Il loro rientro in Italia è stato accolto da un applauso spontaneo di parenti, amici e sostenitori. Ma le loro parole, appena sbarcati, non lasciano spazio all’ambiguità: “Gli israeliani ci hanno trattati peggio di come si possa immaginare. C’è una crudeltà sottile, una trasformazione mostruosa in corso, qualcosa che ricorda le pagine più buie del passato”, hanno detto con voce ferma ma visibilmente scossa.
I tre raccontano di essere stati “buttati sul cemento in ginocchio, ammanettati e bendati tanto stretti da fare male”, poi “portati in una specie di campo di concentramento e messi per terra dentro una gabbia”. Uno di loro, che soffre di problemi di salute, ha raccontato che “le medicine non mi sono mai state date, e neppure restituite, come il passaporto. Ci deridevano, ci insultavano, gridavano che l’Italia fa schifo e Israele è grande”. Di notte, hanno aggiunto, “venivano cinque o sei volte in assetto antisommossa, armati fino ai denti, accendendo le luci per svegliarci. L’umanità non sembra far parte delle carceri di massima sicurezza israeliane”.
Una testimonianza agghiacciante, che arriva pochi giorni dopo la notizia dell’arresto degli attivisti partiti con le imbarcazioni Conscience e 1000 Madleens, dirette a Gaza per portare aiuti umanitari e denunciare l’assedio. La missione era stata bloccata in acque internazionali e i partecipanti trattenuti dalle autorità israeliane con l’accusa di “tentativo di ingresso illegale”.
Ma, nonostante la durezza del trattamento subito, il loro messaggio, al ritorno in Italia, è di gratitudine verso chi non ha smesso di mobilitarsi: “Se siamo qui oggi è grazie a tutte le persone che si sono mobilitate, ai milioni che in questi giorni sono scesi in piazza facendo sentire la loro voce. Questa missione non sarà l’ultima. Continueremo finché il genocidio non sarà finito e la Palestina non sarà libera”, dichiarano con convinzione.
Gli attivisti hanno voluto sottolineare l’enorme ondata di solidarietà che li ha sostenuti: “Abbiamo sentito un supporto reale delle persone, che hanno riempito le piazze e le strade con forza, amore, pace e solidarietà. Senza di loro non saremmo qui oggi. Quello che hanno fatto non deve finire, ma essere l’inizio di un movimento più ampio per i diritti in Palestina”.
Poi, un affondo durissimo contro le istituzioni: “I nostri governi continuano a essere complici, continuano a non garantire il rispetto del diritto internazionale, delle Convenzioni di Ginevra, dei diritti umani che ogni giorno vengono calpestati”.
Le loro parole non sono solo la cronaca di un viaggio interrotto, ma la denuncia di un sistema che, secondo loro, non tollera nemmeno la solidarietà. Dalla paura di non tornare a casa alla commozione di chi li attendeva con bandiere palestinesi e cartelli con scritto “Ben tornati”, la serata di Caselle ha avuto il sapore di una liberazione.
Per molti, il loro ritorno è il simbolo di una coscienza che non si arrende. Una voce che, malgrado le manette e le gabbie, continua a ripetere la stessa parola: giustizia.
Ecco chi sono i tre italiani tornati da Israele dopo la missione Freedom Flotilla
Sono rientrati a Torino con i segni della prigionia ancora addosso, ma con la stessa determinazione con cui erano partiti. Si chiamano Claudio Giuseppe Torrero, Riccardo Corradini e Francesco Prinetti. Tre italiani, tre storie diverse unite da una sola idea: quella di rompere il silenzio sul dramma di Gaza. A bordo delle imbarcazioni Conscience e 1000 Madleens portavano farmaci, beni di prima necessità e un messaggio di solidarietà concreta verso una popolazione stremata da mesi di bombardamenti. Arrestati in acque internazionali dalle forze israeliane, sono stati detenuti per giorni, ammanettati, bendati e insultati, come loro stessi hanno raccontato. Ora sono tornati a casa, accolti all’aeroporto di Caselle da familiari, amici e attivisti, ma decisi a continuare la loro battaglia civile.
Il più anziano del gruppo è Claudio Giuseppe Torrero, 69 anni, filosofo, scrittore e monaco buddhista conosciuto con il nome di Bhante Dharmapala Thero. È lui ad aver fondato a Lanzo Torinese l’associazione Interdependence, nata nel 2007 per promuovere il dialogo tra le religioni e la riflessione interculturale. Laureato in filosofia con una tesi su Nietzsche, ha insegnato per molti anni nelle scuole superiori e pubblicato saggi sul rapporto tra spiritualità e società contemporanea. Nel 2018 ha scelto la vita monastica, abbracciando il buddhismo Theravada e dedicandosi alla meditazione e alla nonviolenza. La sua figura è da anni punto di riferimento per chi, nelle Valli di Lanzo, cerca un luogo di ascolto e confronto tra culture e fedi. Torrero non ama definirsi “attivista”, ma “uomo di coscienza”: e proprio la coscienza lo ha spinto a imbarcarsi verso Gaza. “L’indifferenza è la vera complice della violenza”, ha detto prima di partire, sintetizzando il pensiero che da sempre guida la sua vita.
Accanto a lui c’era Riccardo Corradini, 32 anni, medico chirurgo di Rovereto, in Trentino. È noto per essere stato, nel 2019, il primo studente occidentale a partecipare a un programma Erasmus presso la Islamic University di Gaza, dove ha lavorato negli ospedali locali, curando i feriti e conoscendo da vicino la sofferenza del popolo palestinese. Da allora ha collaborato con Emergency e altre organizzazioni umanitarie nei teatri di guerra. Sulla Conscience aveva il compito di prestare assistenza sanitaria e portare medicinali alla popolazione civile. Prima di partire aveva detto di essere pienamente consapevole dei rischi, ma anche convinto che restare a guardare non fosse più possibile. “In un mondo che chiude gli occhi davanti alle ingiustizie, non fare nulla significa esserne complici”, aveva dichiarato. Durante la detenzione in Israele è stato privato delle medicine e dei documenti, ma al suo rientro ha ribadito che lo rifarebbe: “Non è eroismo, è dovere umano. Gaza è il simbolo di una disumanità che non possiamo accettare”.
Il terzo, Francesco Prinetti, 28 anni, è torinese ma ha lavorato a lungo a Settimo Torinese, dove ha prestato servizio presso il Presidio Ospedaliero Civico, distinguendosi per dedizione e impegno nei reparti di lungodegenza. È un giovane medico con una forte sensibilità sociale, impegnato da tempo in progetti di solidarietà internazionale e, secondo alcune fonti, vicino a movimenti ambientalisti e pacifisti come Ultima Generazione. A bordo della Conscience era tra i responsabili della logistica sanitaria: controllava le forniture di medicinali e i carichi destinati agli ospedali palestinesi. Per lui la partenza verso Gaza non era solo una missione umanitaria, ma un gesto di testimonianza morale. “Siamo partiti per portare aiuto, ma anche per dire che non possiamo più restare in silenzio”, aveva spiegato.
Tre generazioni, tre percorsi, un’unica coscienza. Tutti e tre, al loro ritorno, hanno raccontato con voce ferma l’esperienza dell’arresto: “Ci hanno gettati a terra, ammanettati, bendati. Ci deridevano, ci insultavano, ci chiamavano italiani di m…”. Eppure, nonostante l’umiliazione e la violenza, i tre non parlano con rabbia, ma con la consapevolezza di chi ha visto in faccia la brutalità e ha scelto di rispondere con la forza del pensiero e della compassione.
Il rientro a Torino è stato un abbraccio collettivo. Attivisti e cittadini hanno accolto i tre con bandiere palestinesi e cartelli di solidarietà. “Siamo tornati grazie alle piazze”, hanno detto. “Grazie a chi ha gridato, a chi ha protestato, a chi ha mostrato che l’Italia non è tutta complice. Finché il genocidio non sarà finito, finché la Palestina non sarà libera, continueremo”.
Nel nome stesso della loro nave, Conscience — coscienza — c’è tutto il senso del loro viaggio. Un viaggio che non si è interrotto con l’arresto, ma che prosegue, più forte di prima, nei loro racconti e nelle loro scelte. Perché, come ha scritto lo stesso Torrero, “non c’è libertà senza compassione, e non c’è pace senza il coraggio di disobbedire”.
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