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La cozza zebrata è arriva e minaccia il fiume: l’allarme lanciato dai canoisti accende i riflettori sulla specie aliena più temuta

Specie invasiva: rischio per biodiversità e infrastrutture; canoisti segnalano anche chiocciola ovovivipara

La cozza zebrata

l’allarme lanciato dai canoisti accende i riflettori sulla specie aliena più temuta

Si muove silenziosa, colonizza superfici dure con ostinazione e, una volta insediata, è quasi impossibile da fermare. È la cozza zebrata, Dreissena polymorpha, una delle cento specie più invasive d’Europa, che ora ha fatto la sua comparsa anche nella media Valle del Tevere, in Umbria. A individuarla non sono stati biologi o ricercatori, ma un gruppo di canoisti, impegnati in un progetto di scienza partecipata che ancora una volta dimostra quanto il contributo dei cittadini possa fare la differenza nella sorveglianza ambientale.

Il ritrovamento non è un dettaglio. A Roma la specie era già stata segnalata “qualche anno fa”, ma la presenza nel cuore dell’Appennino umbro apre un nuovo scenario: la possibilità che la diffusione lungo l’asta del Tevere stia accelerando, passando da sporadiche segnalazioni a colonie stabili. E quando questo accade, il passo indietro è quasi impossibile.

La cozza zebrata è originaria dell’area russo-ucraina. Arrivata in Europa occidentale attraverso le vie commerciali e il trasporto navale, si è affermata come una delle specie aliene più aggressive. Ha una forte capacità colonizzatrice: si attacca a qualsiasi superficie dura — rocce, barche, tubature — e forma colonie densissime che soffocano gli ecosistemi locali. Dal punto di vista ecologico, rappresenta una minaccia diretta per le specie autoctone con cui compete per cibo e spazio, alterando l’intera catena alimentare dei corsi d’acqua.

Ma non si tratta soltanto di natura. L’impatto economico è altrettanto pesante. Nei Paesi dove la diffusione è avanzata, come la Spagna, le colonie hanno colonizzato impianti idrici e tubazioni, causando miliardi di euro di costi per manutenzione e ripristino. È questa doppia natura della minaccia — ecologica ed economica — a rendere Dreissena polymorpha una vera e propria “specie problema”.

Il fatto che siano stati dei canoisti a lanciare l’allarme mostra un aspetto positivo: la scienza partecipata funziona. Chi frequenta i fiumi ogni giorno, siano sportivi, pescatori o cittadini, è in grado di notare dettagli che ai monitoraggi istituzionali possono sfuggire. Per rendere questo modello efficace, però, servono strumenti chiari di raccolta delle segnalazioni, verifiche tempestive e una risposta coordinata da parte delle autorità. Solo così l’allarme non si disperde, ma diventa il primo passo di una strategia di contenimento.

E non tutto è segno di invasione. Nel corso dello stesso monitoraggio è stata segnalata anche la presenza di una chiocciola ovovivipara, specie tipica degli ambienti d’acqua dolce italiani. Un promemoria che il Tevere, se ben custodito, può ancora essere un habitat ricco di biodiversità. Ma proprio per questo è cruciale evitare che gli invasori prendano il sopravvento.

Cosa serve ora? Anzitutto conferme attraverso campionamenti mirati che definiscano l’estensione reale della presenza in Umbria. Poi la prevenzione, che passa anche da piccoli gesti come la pulizia accurata di canoe, barche e attrezzature che si spostano da un lago a un fiume. Servono inoltre linee guida condivise tra enti di bacino, gestori idrici e comunità locali, e una comunicazione trasparente che permetta a chiunque di contribuire con segnalazioni puntuali.

La comparsa della cozza zebrata in Umbria non deve generare allarmismo, ma neppure indifferenza. È un segnale che i confini ecologici sono sempre più fragili e che la difesa dei nostri fiumi dipende anche dalla capacità di riconoscere e fermare in tempo queste specie. Dove la prevenzione ha fallito, i costi sono stati altissimi. In Italia, il Tevere non può permetterselo.

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