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Qualcosa di sinistra

Agricoltura piemontese tra sfruttamento e caporalato: il lavoro schiavile all’ombra delle vigne

Dati e denunce raccontano un settore in crisi di manodopera ma segnato da ritardi, illegalità e condizioni inaccettabili: dai ghetti del Sud fino alle Langhe e all’Astigiano, anche il Piemonte non è immune dallo sfruttamento dei lavoratori stranieri

Agricoltura piemontese tra sfruttamento e caporalato: il lavoro schiavile all’ombra delle vigne

Agricoltura piemontese tra sfruttamento e caporalato: il lavoro schiavile all’ombra delle vigne

Nel nostro Paese gli occupati in agricoltura come dipendenti sono poco più di un milione, per il 90 per cento assunti a tempo determinato: un dato conseguenza della forte stagionalità che caratterizza il settore. Unioncamere e Ministero del lavoro ci informano che il settore primario riscontra difficoltà di reperimento del personale per oltre il 50 per cento delle esigenze nelle attività delle aziende miste di coltivazione e allevamento, oltre all’atavica mancanza di manodopera nel settore del vino.

Tra le figure professionali più richieste dal comparto spicca il personale non qualificato per l’agricoltura e la manutenzione del verde, seguono agricoltori e operai agricoli specializzati e i conduttori di macchine agricole. Le organizzazioni delle imprese del settore denunciano da tempo i ritardi nella concessione dei nulla osta per le assunzioni regolari di lavoratori extracomunitari. Eppure, informa la Cgil, nel periodo 2014-2023 la presenza di questi lavoratori nel settore primario è passata da circa il 15 per cento del 2014 al 25 per cento del 2023, sfiorando le 250 mila unità.

vigne

Ma, c’è un ma…

Mentre le associazioni delle imprese agricole si dichiarano insoddisfatte del decreto flussi, a motivo dell’eccessiva lentezza nelle autorizzazioni, nell’agricoltura piemontese alligna e si diffonde la piaga del lavoro schiavile. «La produzione agricola deve fare i conti con i tempi della natura, c’è una stagione per la semina e una per la raccolta – sottolinea Confagricoltura – mentre sono necessari circa nove mesi per avere materialmente le persone richieste».

Non solo. Buona parte dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per superare i ghetti nei quali vivono migliaia di lavoratori agricoli in condizioni inaccettabili, a cominciare dal Foggiano, sono stati utilizzati in minima parte. Ne potranno beneficiare solo alcune aree del Sud, ma anche un comune della provincia di Rovigo e, per il Piemonte, Saluzzo.

Anche noi però…

Negli allevamenti e nelle campagne piemontesi emergono, qui e là, sacche di inaccettabile sfruttamento della manodopera straniera. La cronaca ci riporta diversi casi, tra questi il comune denominatore è il mancato riconoscimento di un salario che rispetti i minimi contrattuali e l’assunzione «in regola», componenti essenziali del rapporto di lavoro.

I controlli scattati nelle Langhe hanno acceso i riflettori sulla situazione della manodopera di un segmento importantissimo anche per il nostro export, nel quale però sembra attecchire il caporalato e diffondersi il lavoro in nero.

Ma se l’attività ispettiva è maggiormente rivolta ai «fenomeni connessi alla notevole richiesta di manodopera nel settore vitivinicolo, in un’area territoriale caratterizzata dalla produzione e commercializzazione di pregiati e rinomati vini DOCG», emergono altre situazioni d’illegalità. Questa primavera, un’impresa dell’Astigiano è stata denunciata per «i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, oltre a quelli di lesioni personali e minaccia» ai danni di alcuni richiedenti asilo del Bangladesh. Veniva loro riconosciuto un «compenso di venti euro da dividere in quattro per ogni tir caricato di cassette di polli dirette al macello. Cinque euro a testa».

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