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05 Settembre 2025 - 11:36
Salvatore Buglio
Festa del'Unità. Torino. In piazza d’Armi, si montano palchi e gazebo, si lucidano griglie per le costine, si preparano dibattiti su tutto lo scibile: dai dazi all’immigrazione, passando per i diritti. Manca giusto una cosa: l’unità. Ma per quella, si sa, non c’è più budget.
La scintilla l’ha accesa Salvatore Buglio, ex deputato con tre legislature alle spalle, torinese d’adozione, uno che ha visto più congressi che grigliate. Il suo post su Facebook è un atto d’accusa condito di malinconia: “L’amarezza di chi ama”. Un titolo che dice tutto: il partito che ti promette amore eterno, ma poi ti tradisce con la solita amante torinese.
Perché di questo si tratta: i sindaci della cintura sud, Paolo Montagna (Moncalieri) e Giampiero Tolardo (Nichelino), restano fuori dalla festa. Non un invito, non un dibattito, neppure una comparsata. Come se non esistessero. Anzi peggio: come se esistessero, ma desse fastidio ricordarlo.
Buglio non la prende alla larga: Moncalieri è candidata a Capitale italiana della Cultura 2028, unica città piemontese in gara. Una candidatura che coinvolge decine di comuni, un progetto che avrebbe dato lustro all’intera area metropolitana. Ma niente: palco negato. Nichelino governa bene e vince le elezioni al primo turno? Ancora niente: palco negato. Perché? La risposta, velenosa, è nella frase che tutti citano: “Non appartengono a nessuna corrente. Non sono soldatini ubbidienti”. E quindi, giù dalla giostra.
La cosa comica – o tragica, scegliete voi – è che la festa è presentata come il grande abbraccio del Pd ai territori, il luogo dove tutti i circoli partecipano. Tutti, tranne i due comuni più grossi della cintura sud. Perché il messaggio è questo: o sei allineato, oppure resti in sala d’attesa.
Nei commenti al post, i riflessi sono immediati. Diego Sarno scuote la testa: non è la prima volta, non sarà l’ultima. È il solito “Torino centrismo”, il partito che si auto-conserva con le correnti come un vino andato a male. Antonella Parigiaggiunge un dettaglio che dovrebbe far arrossire qualcuno: Montagna avrebbe potuto raccontare il dossier della Capitale della Cultura, e invece niente. Altri parlano senza mezzi termini di “mancanza di democrazia interna”. C’è persino chi si dice “disgustato”. E non si tratta di grillini inferociti, ma di gente con la tessera Pd in tasca.
La lista delle amarezza è lunga. Qualcuno ricorda che una volta, quando ancora il partito respirava, le Feste dell’Unità coinvolgevano davvero i comuni: a Nichelino, a Moncalieri, ovunque. Oggi invece la regia è torinocentrica, chiusa come un club esclusivo. Qualcun altro fa notare che “quando servono voti per eleggere a Roma candidati catapultati da chissà dove, allora la cintura sud diventa fondamentale”. Il resto dell’anno, invece, invisibili. È la matematica spietata del partito: più voti porti, meno conti.
Buglio, alla fine, decide di fare un gesto simbolico: non andrà alla Festa. Non per ripicca, dice, ma per dignità. E affonda: “Farete come le tre scimmiette: non parlate, non sentite, non vedete. Poi, un giorno, verrà qualcuno da fuori territorio a chiederci i voti. Un film già visto. Un film che non mi piace”. Conclude con la frase che resta scolpita: “Non siamo numeri, siamo persone”. Che, a pensarci bene, è la cosa più rivoluzionaria che si possa dire dentro un partito che da anni tratta i militanti come figurine da attaccare.
Nel frattempo, la festa sta per cominciare: i leader nazionali arriveranno, i ministri parleranno, le costine sfrigoleranno. Ma l’aria è pesante, e non solo per il fumo della brace. La parola “Unità” campeggia sul manifesto, ma sembra uno scherzo: la cintura sud fuori, i sindaci esclusi, i territori dimenticati. L’ennesima prova che il Pd predica inclusione ed esercita esclusione.
Eppure la festa, in superficie, scintilla di nomi. Elly Schlein salirà sul palco domenica 7 settembre, con l’attesa che si è trascinata fino all’ultimo, quasi fosse un cameo da annunciare a sorpresa. Una settimana dopo, domenica 14, arriverà Stefano Bonaccini, pronto a stringere la mano al sindaco Stefano Lo Russo, che a sua volta interverrà il 9. Nel frattempo si alterneranno ministri, parlamentari, accademici, scrittori, cantautori: una passerella che sembra più un casting che un confronto politico. Persino il ministro azzurro Paolo Zangrillo e la vicepresidente del Senato Anna Rossomando si confronteranno sullo ius scholae, mentre Ouidad Bakkali porterà la sua testimonianza di cittadinanza conquistata da giovane.
E i sindaci? Ci sarà Elena Piastra di Settimo Torinese – che va in giro a raccontare di voler diventare candidata alla presidenza della Regione – pronta a discutere delle sfide metropolitane e del rapporto tra potere e donne sotto tiro. Ci saranno Alessandro Sicchiero da Chieri, Pasquale Mazza da Castellamonte, Emanuele Gaito da Grugliasco e Maurizia Allisio da Torre Pellice. Tutti ammessi al banchetto, tutti chiamati a dire la loro. Tutti tranne i due che hanno osato non allinearsi.
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È curioso: la porta resta chiusa per Moncalieri e Nichelino, ma si spalanca invece ai grillini con Chiara Appendino, agli ecologisti di Marco Grimaldi, ai riformisti come Andrea Giorgis, e persino a chi fino a ieri stava dall’altra parte della barricata, come esponenti di Italia Viva e Azione. Il Pd predica inclusione universale, ma pratica esclusione chirurgica: dentro tutti, pure gli avversari, tranne chi rappresenta i territori che non si piegano alle correnti.
Insomma, dal 5 al 15 settembre, la Festa dell’Unità metterà in scena l’intero repertorio: ius scholae e diritti, università e transizione, il campo largo con i grillini e i renziani, la musica di Federico Sirianni e il Magazzino San Salvario, i libri di Fornaro e Perissinotto. Ci sarà di tutto, tranne l’unità. Perché alla fine la parola che campeggia sui manifesti è rimasta un marchio vintage, un adesivo scolorito di quando il partito parlava ai territori e non alle correnti.
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