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La Voce degli animali
29 Agosto 2025 - 19:39
Un colpo di scena nei boschi di Finero, frazione di Malesco, scuote il Verbano Cusio Ossola e tutta la comunità piemontese. Una fototrappola ha immortalato un orso che non sarebbe il già noto M29, bensì un esemplare diverso, più giovane, dalle dimensioni nettamente ridotte. Le immagini, analizzate dagli esperti dell’Associazione nazionale per la tutela dell’ambiente e della vita rurali, parlano chiaro: l’animale misura circa 155–160 centimetri di lunghezza e 90 di altezza al garrese, molto meno rispetto al plantigrado trentino che da anni frequenta il territorio. È la prova che sulle montagne del VCO non c’è più un solo orso, ma almeno due. Una notizia destinata a far discutere, che segna un nuovo capitolo nella storia della convivenza tra uomo e grandi carnivori.
Il nome di M29 è ormai diventato familiare a chi vive tra la Val Vigezzo e il Parco nazionale della Val Grande. Arrivato dal Trentino, questo orso ha lasciato tracce inequivocabili del suo passaggio: apiari devastati, alveari rovesciati, danni documentati che hanno fatto infuriare gli apicoltori. Ma ogni volta le analisi genetiche hanno tolto ogni dubbio, attribuendo a lui la responsabilità. Allo stesso tempo, le immagini catturate dalle fototrappole hanno sempre mostrato un animale schivo, che non ha mai cercato il contatto con l’uomo. L’ultimo avvistamento risale al 20 maggio 2025: una fototrappola lo ha ripreso in perfetta salute nella parte settentrionale della Val Grande. Non un orso problematico, insomma, ma un animale che ha trovato il proprio spazio in un ambiente che gli offre boschi fitti, torrenti, rifugi naturali e abbondanza di cibo.
La sua presenza ha diviso la comunità. Da un lato c’erano gli agricoltori e gli apicoltori, che hanno visto mesi di lavoro distrutti da una sola notte di incursioni. Alcuni hanno chiesto ai Comuni e alla Regione un sistema rapido di indennizzi, altri hanno sollecitato recinzioni elettrificate e misure di prevenzione. Dall’altro, le associazioni ambientaliste hanno sempre difeso la sua permanenza, definendo la comparsa dell’orso un segno positivo della salute degli ecosistemi alpini. In mezzo ci sono i cittadini, che oscillano tra timore e curiosità: in molti raccontano di avere visto orme fresche, altri confessano di avere paura a camminare nei boschi al tramonto, mentre per altri ancora la presenza dell’orso è motivo di orgoglio, quasi un marchio di autenticità del territorio.
Per fare chiarezza e ridurre le tensioni, il Parco nazionale della Val Grande ha organizzato lo scorso maggio due incontri pubblici a Ornavasso. Gli esperti hanno parlato di convivenza con i grandi carnivori, non solo con l’orso ma anche con il lupo, ormai stabilmente insediato sulle montagne piemontesi. Durante le serate, partecipate da centinaia di persone, i biologi hanno ribadito che il rischio per l’uomo è pressoché nullo, purché si rispettino alcune regole semplici: non lasciare rifiuti e resti di cibo nei boschi, portare i cani al guinzaglio, fare rumore sui sentieri per non sorprendere l’animale. E soprattutto non farsi prendere dal panico in caso di incontro: l’orso tende a fuggire, non ad attaccare.
Ora però la comparsa di un secondo esemplare cambia radicalmente lo scenario. La fotografia scattata a Finero lascia pochi dubbi: l’orso ripreso non è M29, ma un animale più giovane, e ciò significa che il VCO potrebbe essere diventato un territorio di presenza stabile, e non più un semplice corridoio di passaggio. Una svolta che entusiasma gli ambientalisti, convinti che la natura stia recuperando spazi che l’uomo aveva eroso, ma che spaventa non poco allevatori e agricoltori, i quali temono un aumento degli attacchi alle loro attività.
Nel frattempo, nelle valli e nei paesi montani, la gente commenta con toni diversi. A Malesco c’è chi si dice preoccupato per i bambini che giocano nei prati e chi, con un sorriso, racconta di essere orgoglioso di vivere in una terra tanto selvaggia da ospitare gli orsi. A Santa Maria Maggiore qualcuno ricorda che non accadeva da secoli di avere due plantigradi contemporaneamente nelle valli ossolane. C’è chi teme per la sicurezza dei turisti, e chi intravede in questa vicenda una possibilità di rilancio turistico: il “Parco dell’orso” potrebbe diventare un brand capace di richiamare visitatori e appassionati di natura da tutta Italia.
Non è più soltanto cronaca di fauna selvatica, ma un fenomeno che costringe a riflettere sul rapporto tra uomo e natura. Se fino a ieri l’attenzione era concentrata su un singolo animale, M29, oggi la prospettiva si allarga e apre a scenari inediti. Il ritorno dell’orso in Piemonte non è più una parentesi, ma un processo in corso che potrebbe consolidarsi. Una sfida culturale e ambientale che riguarda tutti: istituzioni, comunità locali, associazioni e cittadini. L’avvistamento del nuovo esemplare segna dunque l’inizio di una nuova fase, in cui la Val Grande e la Val Vigezzo non saranno ricordate soltanto per i paesaggi spettacolari e i borghi storici, ma anche come la terra dove l’orso è tornato, e questa volta non da solo.
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