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29 Agosto 2025 - 16:06
bocce, La Tola, Chivasso, tradizioni popolari, sport, storia locale, società sportive, dopolavoro, alluvioni, campionati italiani, Umberto Granaglia, cultura piemontese
A Chivasso si sostiene con un certo compiacimento che il piemontese facia ‘d tola (faccia di latta) affibbiato agli abitanti abbia un significato storico, e indichi il rivestimento di lamine metalliche dell’altissima guglia in legno che un tempo sormontava il campanile innalzato sul finire del XV secolo accanto al Duomo.
La guglia andò distrutta – prima mozzata da un fulmine a metà del Seicento, poi colpita dalle cannonate francesi nell’assedio del 1705 – ma il soprannome ai chivassesi è rimasto, anche se l’attuale torre campanaria, di parecchio ribassata rispetto allo scomparso campanile, nella parte superiore ha assunto uno stile improprio.
Da quasi un secolo, invece, La Tola è il nome della bocciofila di via degli Orti, una strada che dà la misura del tempo in cui Chivasso sta ancora tutto raccolto nel vecchio borgo e i campi coltivati a erbaggi e pianticelle appartengono alla periferia, fatta di case isolate e terreni umidi per i rigagnoli derivati dall’acqua maestosa del grande fiume che scorre non lontano.
Bocciofila La Tola. Quando si giocava nei campi di via Marconi.
Chivasso, primi anni ’40. Tempo di guerra, come dimostrano i moschetti che armano i vigili-soldato. In primo piano, la Fiat Topolino. A sinistra, il chiostro dove era venduta l'acqua San Genesio.
Le origini della Tola.
La Grande guerra ha dato sfogo alle masse, che l’hanno vissuta e combattuta. Tutto è cambiato nella società, nel lavoro come nel tempo libero. Si affermano vecchie e nuove discipline sportive, o semplici passatempo d’impegno fisico.
Il gioco delle bocce è considerato fra i più antichi che si conoscano, e forse il più antico in assoluto fra quelli oggi praticati: esemplari che possono essere catalogati fra gli antenati delle bocce moderne sono stati scoperti in Turchia circa novemila anni fa, in una tomba dell’antico Egitto sono stati rinvenuti manufatti simili, Greci e Romani ne conoscevano l’esistenza, ma saranno gli emigranti italiani tra Otto e Novecento a diffonderle nel mondo.
Benché in Piemonte il gioco si collochi in un tempo decisamente più lontano ed oggi sia la regione più prolifica per numero di giocatori e quantità di tornei, la Federazione Italiana Bocce è fondata nel 1919. La praticano soprattutto le classi popolari, operai, contadini, piccoli borghesi, e ogni terreno più o meno pianeggiante è buono per maneggiare e lanciare la sfera il più possibile vicino al pallino. Cortili, aie di cascine, sagrati di chiese, strade di campagna, sono il palcoscenico di accese dispute domenicali nella bella stagione.
Qualcosa di molto simile accade anche a Chivasso, dove nel dopoguerra nascono ben due sodalizi a pochi anni l’uno dall’altro. Sul finire degli anni Dieci si forma l’Unione Sportiva Chivasso, una associazione calcistica che annovera pure una sezione bocce.
Ed è per pura rivalità stracittadina che tra gli ultimi mesi del 1922 e i primi dell’anno successivo – difficile collocare un momento preciso in mancanza di documenti di fondazione − nasce un’altra società dedita alle bocce con un nome sicuramente locale: Bocciofila La Tola, una voce dal sapore autoironico. Una data che è affidata con plausibile certezza ad una serie di testimonianze tramandate di racconti sportivi.
Probabile che siano stati gli ortolani e i giardinieri di Borgo San Pietro, il primo nucleo popolato della città vecchia, ad incentivarla e farla crescere, quando contadini e operai, artigiani e commercianti, si sfidano in partite interminabili nelle sere d’estate sul battuto del mercato del bestiame di piazza d’Armi, luogo di ritrovo da sempre, dove anche il gioco del tamburello ha fatto la sua comparsa.
Diretta dal presidente Carlo Doglio, la prima sede della Bocciofila si trova in via degli Orti 8 ed è gestita da una donna, Rita Gastaldo. Si ha la data certa di un torneo, con ogni probabilità il primo: 4 novembre 1923, quando viene disputata la prima edizione della gara interprovinciale per assegnare la Coppa Città di Chivasso.
Poi altre gare e tornei, dispute e sfide estemporanee a due e a quattro, allenamenti estenuanti e pazienti per limare sempre più quel solco invisibile che soltanto l’occhio avvezzo sa tracciare, pur di inviare la boccia a baciare quel pallino laggiù, a fondocampo.
Un cantore delle bocce.
Nel primo ventennio del secolo la piccola città ha superato i diecimila abitanti, comincia ad espandersi sotto l’impulso di officine e laboratori, ma ancora tutti si conoscono per nome e di soprannome, tanto più se partecipano a qualche attività sociale, come lo è il giocare a bocce. Tunin, Netu, Giacu, sono alcuni fra i nomi entrati negli strati della memoria e tramandati, poi c’è anche tal Faina, quello dalla mira infallibile che centra il pallino come nessun altro.
Giocatori conosciuti per la loro bravura oppure per qualche stramberia o per entrambe: chi non ha sentito nominare Beppe ‘l Mat (Giuseppe Carrera, classe 1910, detto il Funambolo) − quello che giocava veramente per il pubblico e portava in fronte il fazzoletto bianco − alzi la mano. Tensione e nervi d’acciaio, sguardo lungo, schiena arcuata, braccio bilanciato, mano che impugna e rilascia come una molla scattante sono qualità necessarie per tradurre il gesto in bocciata, il proverbiale truc.
Qualcosa del genere è poetato da un tuttora valente giocatore, Franco Gastaldo. In una delle sue poesie, intitolata Ricord, ci sono versi semplici che esprimono gli istanti e le emozioni del gioco:
Ai me temp / sento dì dai vèi / che le boce / l’an tel sang / partìe memurabil / truc da ste anbaià: / l’è fantasia o realtà? / Mi, che i sun davsin, / savrìa nen dì bin. / Ma quand an ti euj / vedu lusi an balìn / pos nen che dì / bravu Michelin!
Nel ventennio fascista anche La Tola è interessata nella scena nazionale che coinvolge i circoli sportivi, e dal 1929, con l’avvento dell’Opera Nazionale Dopolavoro, diventa la sede del dopolavoro provinciale per l’attività bocciofila del Chivassese. Trascorsa la bufera della guerra la Bocciofila riprende il cammino di sempre, e di anno in anno diventa sempre più un punto di riferimento per gli appassionati, mèta dei grandi nomi delle bocce italiane e di confronti internazionali.
Esercitazioni militari in piazza d'Armi a Chivasso tra fine Ottocento e primi anni del Novecento.
Il grande boccista Umberto Granaglia in azione. Nato a Venaria Reale nel 1931, è stato un «campionissimo»: oltre ai titoli italiani (ben 46) ed europei (12) tra le sue vittorie si contano 13 campionati del mondo, conquistati tra il 1957 e il 1980. Ritiratosi dall’attività agonistica nel 1991, è scomparso nel 2008. È stato un frequentatore della Tola, dando spettacolo con le sue proverbiali bocciate.
Il dopoguerra e le alluvioni.
Negli anni Cinquanta La Tola lascia per sempre il suolo dell’immensa piazza d’Armi per trasferirsi nella sede di via Marconi in campi di proprietà. Poi il salto di qualità con la nascita del bocciodromo di via degli Orti al civico 40, il grande complesso posto tra il centro storico, la circonvallazione e la bealera San Marco, immerso nella vegetazione con la pergola che sa di vita campagnola, in cui sono racchiusi 20 campi all’aperto e 8 coperti.
Qui si danno appuntamento per sfide ed esibizioni i più titolati giocatori: i campioni del mondo Umberto Granaglia, di Venaria Reale, nominato Giocatore del XX Secolo dalla Confédération mondiale des Boules, per i francesi Le Roi, da noi Il Maestro, il Campionissimo, o semplicemente Berto; Beppe Andreoli, Aldo Baroetto, Franco Benevene, Michelangelo Macocco, e ancora, Massimo Griva, Gigi Grattapaglia, Mauro Roggero. Dalla metà degli anni Ottanta il bocciodromo diventa teatro anche di un memorabile Italia-Francia, un duello di eccellenze, come un Italia-Brasile alle bocce.
Sede dei campionati europei nel 2004 e di svariati campionati italiani di categoria, come è scritto sui cartelli del bocciodromo al coperto, sui campi di casa i giocatori chivassesi si aggiudicano il campionato italiano, categoria C, nel 2001, dopo aver sfiorato il successo l’anno precedente ad Albenga.
Anche imprevisti calamitosi succedono nella lunga storia. Come le due alluvioni che a distanza di pochi anni l’una dall’altra infieriscono su Chivasso e gran parte del Canavese e Torinese. Accadono nel novembre 1994 e nell’ottobre 2000.
Specie la prima, nella serata del giorno 6: mentre il Po spezza il vecchio ponte che sosteneva tutto il traffico dal 1870 e dilagando paralizza la città, le ondate d’acqua invadono il bocciodromo non distante e cancellano in poche ore il lavoro di anni; fango, rami d’albero, detriti d’ogni sorta si ammassano là dove esistono campi da gioco, cantine, saloni interni, cucine, il bar ristorante.
Vent’anni fa, ma parlando oggi con soci e dirigenti, quei momenti di disastro, poi costati giorni e settimane di lavoro di risistemazione, sono le cose che per prime ricordano. Come non si dimenticano tutti i presidenti: Martino Fassio, Domenico Bonaudo, Antonio Gastaldo, Franco Bo, Antonio Scarpa, Gino Marmo, Roberto Raviola, Luigi Borghesio, e l’ultimo, quello adesso in carica, Franco Bertolino.
C’è un periodo d’oro, forse irripetibile, in cui La Tola raggiunge i 400 soci, per poi scendere e normalizzarsi attorno a quota 200 di oggi, ma è esclusivamente grazie alle loro quote, al lavoro volontario di manutenzione, che il Circolo dal nome che più chivassese non si potrebbe, sta per raggiungere il secolo di vita.
Nota
Ricordi. Ai miei tempi / sento dire dai vecchi / che le bocce / hanno nel sangue / partite memorabili, / truc da rimanere allibiti: / è fantasia o realtà? / Io, che ci sono vicino / non saprei ben dire. / Ma quando negli occhi / vedo luccicare il pallino / non posso che dire / bravo Michelino!
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