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28 Agosto 2025 - 23:49
Era il Paese della FIAT, e non era solo un marchio, era un modo di vivere, un’ossessione, un potere. Negli anni ’90, mentre a Berlino si discuteva ancora della riunificazione e a Praga si imparava a fare i conti con il capitalismo, in Italia si producevano oltre 2 milioni di automobili l’anno. Nel 1997, per esempio, dalle fabbriche italiane uscirono circa 2,2 milioni di veicoli, e Torino poteva vantare ancora il titolo di capitale europea dell’auto. Mirafiori produceva mezzo milione di vetture in un solo anno, Pomigliano superava le 250.000 unità, Termini Imerese era in piena attività e Cassino era il fiore all’occhiello per la produzione di modelli più sofisticati. L’Italia era davanti a tutti, e la Germania, che pure cresceva con Volkswagen, non aveva ancora allargato le ali della produzione globale.
Poi, lentamente, è iniziato il declino. Negli anni 2000, la produzione italiana ha iniziato a scendere sotto quota 2 milioni, ma si trattava ancora di numeri importanti. Nel 2010 eravamo a circa 650.000 veicoli, un crollo verticale che faceva capire che la parabola non si sarebbe più invertita. Nel 2024 i dati OICA sono lì, spietati: 591.067 veicoli. È la conferma che l’Italia non è più un Paese automobilistico, è un Paese che ospita qualche fabbrica sopravvissuta per inerzia.
E il confronto con gli altri Paesi europei è una pugnalata al cuore. Germania 4.069.222 veicoli: è quasi ironico guardare i numeri, come se fossero di un altro continente. In Germania non si parla di declino ma di transizione: Volkswagen a Wolfsburg e a Zwickau, BMW a Monaco e Lipsia, Mercedes-Benz a Stoccarda, Audi a Ingolstadt e Neckarsulm, Porsche a Zuffenhausen. Ciascuno di questi impianti da solo produce più di Mirafiori. Persino i veicoli elettrici, che in Italia sono stati relegati a simbolo e non a realtà, in Germania hanno linee dedicate e incentivi che spingono la produzione.
Spagna 2.376.504 veicoli: un Paese che negli anni ’90 produceva poco più di un milione di auto oggi ha superato il doppio, grazie a una politica industriale aggressiva. Le fabbriche Seat a Martorell, Ford a Valencia, PSA a Zaragoza, Volkswagen a Navarra lavorano a pieno ritmo, e la penisola iberica si è trasformata nella seconda potenza automobilistica europea. In Francia, patria di Renault, Peugeot, Citroën e DS, il dato del 2024 è 1.357.701: numeri che raccontano una ripresa e un consolidamento, il doppio dell’Italia.
E poi il colpo più doloroso: Slovacchia 993.000 veicoli, più dell’Italia. Una nazione che trent’anni fa non esisteva, nata nel 1993 dalla scissione con la Repubblica Ceca, oggi è la prima al mondo per produzione pro capite. Con Volkswagen Bratislava, Kia Žilina, PSA Trnava, la Slovacchia è diventata il campione europeo, e i suoi numeri ci ridicolizzano. Repubblica Ceca 1.458.892 veicoli: con Škoda a Mladá Boleslav e lo stabilimento Hyundai a Nošovice, la produzione supera il milione e mezzo. L’Italia, invece, arranca a poco più di mezzo milione.
La Romania con 560.102 veicoli ha già raggiunto e superato l’Italia, grazie a Dacia-Renault a Mioveni e alla fabbrica Ford a Craiova. La Polonia, con 555.346 veicoli, ci sta addosso. Ed è quasi uno schiaffo morale: la fabbrica Fiat Tychy, in Polonia, produce più auto di quante ne facciano insieme tutti gli stabilimenti italiani. È la dimostrazione plastica di come il cuore della produzione sia stato spostato all’estero. Il Portogallo, con 332.546 veicoli, produce più della metà dell’Italia e corre verso i nostri numeri. Un Paese che negli anni ’90 era inesistente in questa classifica oggi rischia di sorpassarci. Il Regno Unito, nonostante Brexit e la crisi delle case storiche, resta con 905.233 veicoli, davanti a noi, grazie a Jaguar Land Rover, Nissan Sunderland, Toyota Burnaston, Mini Oxford.
E noi? Noi siamo rimasti a piangere sulle macerie. Stellantis, la multinazionale oggi guidata da Antonio Filosa, nata dalla fusione tra FCA e PSA, ha scelto di puntare su Francia e Spagna, relegando l’Italia a ruolo marginale. A Mirafiori si produce solo la 500 elettrica, che non vende abbastanza. A Pomigliano resiste la Panda, ma il modello è datato e prossimo alla fine della carriera. A Cassino e Melfi si parla di nuove piattaforme elettriche, ma sono sempre annunci, promesse rinviate. Termini Imerese è un rudere, simbolo di abbandono e di fallimento politico. Gli stabilimenti italiani sono ridotti a candele che si spengono, e la politica industriale nazionale è inesistente.
Eppure, negli anni ’90, quando producevamo oltre 2 milioni di auto, l’Italia era il Paese da battere. La Fiat Uno era la regina delle vendite europee, la Punto arrivava a milioni di unità, e i sindacati trattavano da pari a pari con la direzione. Oggi, invece, gli operai vivono di cassa integrazione e di paura. Torino non è più capitale dell’auto, ma museo di un passato che non tornerà. E non è questione di nostalgia: è questione di numeri, di lavoro, di dignità.
La disfatta italiana non è casuale, è il risultato di scelte precise. Mentre la Germania ha protetto la sua industria con politiche di investimento e innovazione, l’Italia ha lasciato che la FIAT diventasse FCA e poi si trasformasse in Stellantis, una multinazionale senza bandiera. Mentre la Francia ha difeso i suoi stabilimenti, noi li abbiamo svenduti, cominciando con l'Alfa Romeo. Mentre la Spagna ha ottenuto fondi europei per la riconversione industriale, noi abbiamo perso tempo a discutere di incentivi al consumo che hanno favorito soprattutto auto straniere. Il risultato è davanti agli occhi: meno di 600 mila auto prodotte, un ottavo della Germania, un quarto della Spagna, metà della Francia, dietro la Slovacchia, quasi pari al Portogallo.
E così, l’Italia piange. Piange gli stabilimenti vuoti, le promesse mancate, i numeri ridicoli. Piange Mirafiori, un tempo simbolo di potenza, oggi ridotto a poche linee di assemblaggio. Piange Termini Imerese, che è solo un ricordo. Piange Pomigliano e Cassino, che resistono tra mille difficoltà. Piange una politica industriale che non c’è più. Piange un’industria che non è più italiana, perché la FIAT non è più la FIAT: è un marchio dentro un conglomerato internazionale che risponde agli azionisti e non a un Paese.
Insomma, siamo passati dal produrre oltre 2 milioni di auto negli anni ’90 a poco più di mezzo milione oggi. Dal guidare l’Europa al rincorrere il Portogallo. Dal dettare le regole del mercato a mendicare promesse da Stellantis. È la fotografia cruda di un Paese che ha perso la sua anima industriale e che oggi può solo ricordare con le lacrime agli occhi ciò che era e non sarà più.
In Europa Occidentale (Ue, Efta e Regno Unito) a luglio sono state vendute 1.085.356 auto, il 5,9% in più dello stesso mese del 2024, ma con un calo del 18,4% rispetto al 2019, sottolinea il Centro Studi Promotor. Nei primi sette mesi dell'anno le immatricolazioni – secondo i dati dell'Acea, l'associazione dei costruttori europei – sono state 7.900.877, praticamente invariate rispetto all'analogo periodo del 2024. L'Acea rileva che a luglio le auto elettriche hanno raggiunto nell'Unione europea il 15,6% del mercato, in crescita sul 12,5% del 2024, ma ancora lontano da quanto sarebbe necessario per la transizione. Continua il successo delle ibride che sono il 34,7% del mercato e restano le preferite dai consumatori.
Frena Stellantis che a luglio ha venduto in Europa 151.391 auto, l'1,1% in meno dello stesso mese del 2024. La quota di mercato è scesa dal 14,9% al 13,9%. Nei sette mesi le immatricolazioni del gruppo sono state 1.192.746, in calo dell'8,1%, con la quota che scende dal 16,4 al 15,1%. Balzo delle vendite per la cinese Byd che registra a luglio un incremento del 225,3% con 13.503 consegne e supera Jeep (10.422 vetture vendute). Non si arresta, invece, il crollo di Tesla (-40,2%).
Stellantis ha annunciato ai sindacati il nuovo ricorso agli ammortizzatori sociali nel polo produttivo di Mirafiori: dal primo settembre scattano fino alla fine dell'anno nuovi contratti di solidarietà alla Carrozzeria sulla linea della 500 Bev e sulla linea Maserati, alle Presse, alla Costruzione Stampi, al Mould Shop di Grugliasco e San Benigno Canavese. Sono interessati in tutto 2.297 lavoratori (2.043 operai e 254 impiegati e quadri). I sindacati parlano di nuovi sacrifici economici per i lavoratori e chiedono "l'assegnazione a Mirafiori di un nuovo modello da affiancare alla 500".
Per il Centro Studi Promotor il mercato auto europeo registra "un risultato disastroso in netto contrasto con quanto avviene nel resto del mondo che ha già raggiunto e superato i risultati antepandemia". Il Csp ricorda che "la ragione del pessimo andamento del mercato dell'auto dell'Europa Occidentale è la politica dell'Unione Europea per la transizione energetica e ciò anche perché la pretesa di non consentire a partire dal 2035 l'immatricolazione di auto diverse da quelle elettriche non è stata fatta propria da alcun altro paese del mondo se si esclude il Regno Unito che dell'Unione Europea non fa più parte, ma continua a seguirne gli orientamenti politici in materia di transizione energetica".
Anche per le auto elettriche "siamo decisamente lontani dagli obiettivi, ma comunque è stato ottenuto un risultato positivo di cui va dato atto anche se, a fronte di questo piccolo risultato, vi è il fatto che l'andamento della produzione di auto nei paesi dell'Unione Europea desta notevoli preoccupazioni".
Per l'Anfia "è tempo di avviare una revisione seria, concreta e pragmatica della strategia di decarbonizzazione, da attuare subito con misure coordinate a livello europeo di sostegno alla domanda per veicoli a bassa o nulla emissione". L'Unrae ricorda che in Italia, dove è attesa la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei nuovi Ecobonus per i veicoli a bassa emissione, oggi "la quota di Bev è quasi quattro volte inferiore alla media degli altri Paesi, e il ritardo nell'attivazione degli incentivi sta anche congelando il mercato".
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