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Ivrea sommersa dalle auto: il Comune predica bici, ma i cittadini arrancano tra bus fantasma e strade "sfondate"

Nel 2023 il tasso di motorizzazione eporediese ha toccato quota 72,5 auto ogni 100 abitanti, superando la media regionale e metropolitana. De Stefano: “Parliamo di mobilità sostenibile, ma i bus vengono tagliati e le strade restano un colabrodo”.

Ivrea sommersa dalle auto: il Comune predica bici, ma i cittadini arrancano tra bus fantasma e strade "sfondate"

Il consigliere comunale Massimiliano e Stefano

Il Comune di Ivrea ha diffuso, sui social, i dati sul parco veicolare cittadino e la fotografia è di quelle che non lasciano scampo: nel 2023 circolano 72,5 automobili ogni 100 abitanti. Una cifra che, tradotta, significa praticamente un’auto per ogni patentato. Numeri che superano la media regionale (70,1) e quella della Città Metropolitana di Torino (68,4), confermando che gli eporediesi sono più “auto-dipendenti” della media piemontese.

Secondo i dati ACI, dal 2006 a oggi il tasso di motorizzazione è cresciuto dell’8,1%, con un picco proprio fra il 2022 e il 2023. Una corsa inarrestabile che stride con i proclami istituzionali.

E infatti il Comune accompagna i numeri con una dichiarazione che suona come un ammonimento: «Questo trend sottolinea l’importanza di politiche mirate per promuovere una mobilità più sostenibile e ridurre la dipendenza all’uso dell’auto privata».

Parole che sanno di buone intenzioni, ma che, alla prova dei fatti, lasciano più di un dubbio.

A raccogliere il guanto di sfida è il consigliere comunale Massimiliano De Stefano, che replica senza mezzi termini.

«La promozione di una mobilità sostenibile nella nostra città deve avvenire attraverso un approccio sistemico e inclusivo, evitando conflitti inutili con gli automobilisti. È essenziale considerare tutte le variabili in gioco: le esigenze del commercio locale, il diritto alla mobilità dei residenti e di chi lavora o visita Ivrea».

Una risposta diretta, che mette in discussione l’approccio istituzionale e richiama alla realtà di tutti i giorni.

Per De Stefano non basta invocare la sostenibilità, serve realismo.

«La priorità deve essere garantire a tutti la libertà di spostamento - stigmatizza - senza penalizzare nessuna categoria. Solo attraverso un dialogo aperto e costruttivo possiamo costruire un futuro in cui la mobilità sostenibile si integri armoniosamente con le necessità di tutti gli attori coinvolti».

Il consigliere non si ferma però ai principi: punta il dito contro le condizioni concrete in cui i cittadini si muovono quotidianamente.

«Alcune scelte si fanno solo quando l’amministrazione è in grado, e non solo per ideologia, di proporre soluzioni concrete senza creare disagi o limitare la libertà altrui». E ancora: «I servizi di trasporto pubblico nella conurbazione stanno andando nella direzione opposta, con continui tagli di corse, ridimensionamento delle linee e l’inaffidabilità delle corse esistenti».

E come se non bastasse, aggiunge un dettaglio che fa capire quanto il dibattito sulla mobilità rischi di rimanere solo teoria: «Iniziamo da una mobilità sicura piuttosto. Visto che le strade sono piene di buche».

Insomma, mentre l’amministrazione comunale si prepara a celebrare la Settimana Europea della Mobilità (19-26 settembre 2025) con i soliti slogan su bici e bus elettrici, la realtà dice altro: Ivrea resta una città a quattro ruote, con trasporti pubblici in declino e strade dissestate.

E allora il paradosso è servito: si parla di ridurre la dipendenza dall’auto privata, ma chi abita o lavora a Ivrea sa che, senza l’auto, muoversi diventa una missione impossibile.

Una città senza barriere

A Ivrea si continua a parlare di automobilisti, di traffico, di code, di parcheggi. La politica discute se i cittadini usano troppo l’auto, se ci sono abbastanza ciclabili, se sia meglio promuovere la mobilità elettrica o il bus a idrogeno. Tutto importante, certo. Ma c’è un problema più urgente, che riguarda la vita quotidiana di migliaia di persone, e che invece resta sempre sullo sfondo: la condizione delle strade e, soprattutto, dei marciapiedi.

Perché la verità è che ci sarebbe molta più gente per strada se le strade fossero davvero praticabili. Non parliamo solo di automobilisti, ma di pedoni. Degli anziani...

Penso a quella signora che da anni ci chiama in redazione. Ha più di ottant’anni, viaggia con un girello. Ci racconta sempre la stessa storia: non riesce a fare cento metri. Non può attraversare perché l’asfalto è dissestato, non può salire sul marciapiede perché manca lo scivolo, non può nemmeno provare a camminare tranquilla perché ha paura di cadere. L’ultima volta ci ha detto, con una voce che ancora ci rimbomba nelle orecchie: «Morirò in solitudine».

E allora chiediamoci: che città è quella che abbandona i suoi anziani nelle case, prigionieri delle barriere architettoniche? Che comunità è quella che lascia i più fragili isolati, mentre spende soldi per festival, eventi, iniziative di immagine? 

Gli amministratori continuano a parlare, a volte a "straparlare" di visioni. L’ultimo, presentato dall’assessore Francesco Comotto, si chiama PEBA: Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche. Bello l’acronimo, elegante la sigla, ma alla fine che cos’è? Una mappa delle criticità. Un elenco di ostacoli, buche, scivoli mancanti, da aggiornare con il tempo che passa.  In pratica - e fa sorridere - la constatazione che Ivrea è piena di barriere. E la soluzione? Rimandata un po' alla volta. Forse nel 2026, forse mai. Perché di concreto non c’è una tempistica, non ci sono fondi certi, non c’è una vera urgenza.

Ma chi ha ottant’anni non può aspettare dieci anni. Chi vive in carrozzina non può aspettare che “prima o poi” si faccia uno scivolo. Chi si muove con il bastone non può rischiare ogni giorno di cadere su una buca perché “c’è un piano”.

La verità è che i "piani", in politica, spesso diventano soltanto un modo elegante per rimandare i problemi. Per guadagnare tempo. Per illudere i cittadini che si stia facendo qualcosa, quando in realtà non si sta facendo nulla (vero Comotto?).

Eppure la priorità dovrebbe essere chiara, lampante, incontestabile: una città senza barriere subito, non nell’arco di dieci anni. Prima della cultura, prima delle feste, prima dei convegni e delle inaugurazioni con tanto di fascia tricolore.

Ivrea ama ricordare di essere stata culla dell’innovazione, terra di Adriano Olivetti. Bene. Oggi l’innovazione vera, quella che farebbe la differenza, non è un nuovo festival, ma un marciapiede rifatto. Non è un dibattito sull’idrogeno, ma un attraversamento pedonale sicuro. Non è una conferenza sulla sostenibilità, ma un girello che può muoversi senza paura.

Perché senza accessibilità non c’è comunità. Senza marciapiedi praticabili non c’è socialità. Senza abbattere le barriere non c’è futuro, solo solitudine.  Perché la dignità di una città non si misura dalle locandine o dai comunicati stampa, ma da quanto permette ai suoi cittadini più fragili di vivere una vita piena e libera.

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