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Il Canavesano imbruttito

Italia in pezzi: tra mercati globali, politica servile e welfare al collasso

Parole vuote, riarmo e austerità: un Paese ridotto a “specchio rotto”, dove crescita e giustizia sociale sono ormai mondi separati e i cittadini spettatori impotenti della propria fine

Italia in pezzi: tra mercati globali, politica servile e welfare al collasso

Giorgia Meloni

Quante parole, per lo più inutili, quanto parlare di lotta alle diseguaglianze, di cooperazione internazionale, di aiuti al “terzo mondo” ed anche, seppur timidamente, perché la balla è troppo grande, di ripresa economica. Tutto come se niente fosse, nella certezza che ormai non freghi più niente a nessuno, parole buone solo per riempire i Tg, i giornali e permettere a sedicenti esperti in economia e finanza di disquisire dottamente sull’impiego dei fondi del P.N.R.R., sulla imprescindibile transizione ecologica e sulla grande opportunità di crescita e lavoro che può offrire il riarmo. Poi, nessuno dice, ma d’altronde non sono pagati per dire la verità, che oggi la “crescita” non costruisce progresso, non lo fa più per il semplice motivo che è stata artatamente separata dalla giustizia sociale. Non si parla più di promozione del benessere generale, ma solo di profitto e non certo di quello dei lavoratori. Gli equilibri sono saltati da tempo, sono sempre stati flebili, ma in passato l’attenzione a non stravolgerli aveva portato benessere, occasioni di lavoro e distribuito speranza nel futuro. La classe dirigente, imprenditoriale, intellettuale e politica, certo, era diversa, fatta di italiani e non di rinnegati, camerieri al servizio dell’Unione Europea, della N.A.T.O. e delle grandi multinazionali straniere. Era la classe dirigente che aveva reso possibile il “miracolo italiano”, quella che aveva fatto dell’Italia uno Stato sovrano e non solo una mera espressione geografica come l’aveva definita il Principe e politico austriaco Klemens Wenzel von Metternich. Era una classe dirigente  che aveva capito che senza attenzione agli equilibri e alla coesione sociale nulla sarebbe stato possibile. 

Oggi è tutta competizione, parlare di redistribuzione dei profitti è ritenuto volgare, quasi una bestemmia. Così si assiste, già nelle scuole, col plauso di insegnanti e genitori, a ragazzi che mostrano una voglia smodata di primeggiare e che a tutto pensano, ma non certamente ad aiutarsi. Eppure, già Platone sosteneva che “l’equilibrio economico è strettamente legato alla giustizia sociale” e Aristotele ammoniva: “Chi nella prima fase vince tutto, poi può solo perdere ciò che ha vinto”. Parole sagge, ma evidentemente perse in libri di letteratura dimenticati e impolverati.

Certamente parole non raccolte da politici, economisti e media, che hanno unicamente insistito, chiaramente non in buona fede, sulla competizione e sulla necessità di primeggiare, cose che non hanno nulla a che fare con il premiare il merito, anzi. Oggi il mercato del lavoro è una giungla senza regole, dove vince sempre il più forte, il più ricco e dove, a chi ha permesso al più forte di vincere, spesso, non viene riconosciuto alcun merito ed anzi viene scaricato perché non più necessario. 

Quello che è dato vedere è l’assoluta mancanza di integrazione fra produzione e servizi, fra lavoro e consumo, fra salute e assistenza, fra credito  e bisogni abitativi, cose che dovrebbero far riflettere, certamente tutte le persone, ma in particolare, visto che la cosa non interessa ai politici e alle multinazionali, ormai “padrone del lavoro” in Italia,  dovrebbe far riflettere lavoratori e studenti, oggi più attenti a vedere ciò che gli vogliono far vedere che non a sentire ciò che non gli vogliono far sentire.

Nei fatti, mentre si sperperano miliardi nel riarmo, che ci porterà molto più male che bene; mentre sputtaniamo denari presi a prestito dalla B.C.E. per distruggere quel che resta della nostra filiera agroalimentare e mentre nulla e nessuno mette un centesimo per aiutare chi ancora non si arrende e vuole continuare a imprendere, siamo di fronte al ritorno prepotente dell’inflazione, che, seppur i nostri “grandi economisti” non lo denunciano, erode il già basso potere d’acquisto di salari e pensioni. La precarietà del lavoro e le povertà crescenti fanno emergere come non mai diseguaglianze economiche e sociali e poi, inevitabilmente, il continuo declino demografico, accentuatosi notevolmente negli ultimi anni, si mettano il cuore in pace quelli che ancora riescono a credere alla Meloni, alla Schlein, a Conte, a Calenda, a Renzi o Salvini, renderà insostenibile il nostro sistema di welfare, cancellando sanità pubblica e pensioni. Cosa denunciata recentemente anche dall’ex Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti che nella sua relazione “L’autunno democratico”, ha scritto: "la prevista progressiva riduzione dell’assistenza sociale pubblica avrà infatti carattere regressivo, perché destinata a svilupparsi all’interno di una società in cui pochi potranno comunque garantirsi un proprio welfare privato, mentre la massa degli altri subirà senza alternative la progressiva drammatica riduzione del welfare pubblico”. Non credo ci sia bisogno di traduzione, parole estremamente chiare, che tengono conto della realtà e di dove stiamo andando ad imbucarci.

Intanto, i fatti parlano chiaro, il Governo Meloni, lanciato sulla strada dell’austerità per ciò che riguarda i bisogni degli italiani e dello sperpero a piene mani per ciò che riguarda i bisogni in armi e soldoni del sig. Zelensky, la cui moglie, notizie documentate dai rotocalchi di gossip, sembra impegnata in folli spese quotidiane in Costa Azzurra, pare inequivocabilmente intenzionato a riportare i valori della spesa sanitaria pubblica al di sotto dei valori pre “pandemia” con conseguenze, dopo decenni di tagli lineari iniziati col Governo Monti, che si annunciano disastrose per i cittadini.

Ma pare che vada bene così, anche la triplice sindacale sembra aver sbragato di fronte alla globalizzazione dei mercati finanziari e del mercato del lavoro, infatti, ci tiene a far sapere che le tradizionali tutele dei lavoratori non sono più coerenti con le dimensioni delle nuove realtà lavorative, con le crescenti innovazioni tecnologiche, con la globalizzazione, con i nuovi modelli organizzativi, con i cambiamenti demografici e con gli effetti della digitalizzazione. I sindacati chiedono più formazione, più “cultura” della sicurezza e, soprattutto, chiedono ai lavoratori la comprensione del cambiamento, insomma si barcamenano, ormai certi che la politica italiana in seno all’Europa non conti più nulla e loro contino ancor meno. L’Italia come uno “specchio rotto”, sembra quasi di assistere alla rappresentazione teatrale “Teatro decomposto o uomo pattumiera”, portata in scena lo scorso mese di luglio a Castelnuovo Magra dal regista Andrea Carli. Lo specchio rotto che l’autore citava nella presentazione della sua opera, infatti, appare come una potente metafora dell’Italia di oggi, così come l’indaffarato e disordinato lavoro degli attori per ricomporlo in qualche maniera pare la metafora dell’inconsistente esistenza degli italiani, chiamati al sacrificio per ridare al Paese almeno la sembianza di un qualcosa di vero, capace di stare insieme, senza cadere a pezzi.

Ma la si metta come si vuole, questa Italia, irrimediabilmente in pezzi, è completamente in balia del mercato globale. E’ un’Italia che non ha saputo difendere le sue eccellenze, la sua cultura, la sua storia e la sua gente. Il deterioramento economico, sociale, le trasformazioni delle strutture produttive, la proliferazione di “contratti pirata”, del precariato, dellavoro nero e sottopagato non ci indicano, a mio parere, la necessità di nuove regole che poi, detto senza ricorrere al politicamente corretto, finirebbero per rimbalzare sempre nel culo dei lavoratori, bensì, ci indicano che a monte c’è l’assoluto bisogno di politici, governanti e anche sindacalisti non più disposti a cedere all’ingordigia dei mercati e ai diktat dell’Unione Europea. C’è bisogno di statisti, capaci di riequilibrare la società e il mondo del lavoro, capaci di trovare il giusto equilibrio tra competitività e cooperazione e non di politici e sindacalisti unicamente capaci di suggerire ai lavoratori come la posizione a 90 gradi sia quella più consona da tenere in fabbrica, in ufficio, in azienda, in cantiere o nei campi.

Non so quanto ancora possa andare avanti in questo modo, forse l’Europa spinge per entrare in guerra contro la Russia consapevole di essere prossima all’implosione, anche perché, ormai, soprattutto in Francia e Germania, dove sono all’ordine del giorno manifestazioni contro l’Unione Europea e contro i rispettivi governi, sono milioni le persone che hanno preso coscienza che i continui condizionamenti ai quali siamo sottoposti, nel breve, ci trasformeranno da frenetici consumatori in prodotti di consumo ed infine in rifiuti. E dire che il “mercato” l’ha creato l’uomo, non ha una storia propria, però, ha la terribile capacità di inghiottire la storia dei popoli così come la “cronaca umana”, per triturarla, renderla irriconoscibile, pronta per essere sparsa sulla faccia dei lavoratori, degli elettori, dei cittadini, che hanno rinunciato ad essere attori protagonisti e accettato, con il loro comportamento, di divenire spettatori della loro stessa fine.     

Forse, non so quanto consapevolmente, si è data troppa fiducia a questa classe politica ed a coloro che si spacciano per rappresentanti dei lavoratori; forse bisognerebbe curare meglio i nostri interessi attraverso il voto; forse sarebbe il caso di finirla con le divisioni tra “destra” e “sinistra”, in Italia, in politica, inesistenti da più di trent’anni; forse bisognerebbe finirla di farci abbindolare da politici e “tecnici”, che non perdono occasione di spiegarci come funziona il mondo, ma non perdono un minuto del loro tempo per cercare di capire e risolvere le problematiche degli italiani; forse sarebbe ora di smetterla con la delocalizzazione, le aziende, quelle poche rimaste di italiane, dovrebbero far sistema e non pensare solo al guadagno spostando le loro produzioni in Paesi dove il costo del lavoro è minore; forse di forse ce ne sarebbero tanti, troppi, ma qualche certezza c’è, di Unione Europea e di partitocrazia romanocentrica si muore.

Franco Battiato

Franco Battiato

L’alternativa, deve essere chiaro, non può essere ricercata all’interno dell’attuale classe politica, da “destra” a “sinistra” tutta filo atlantista e tutta europeista. L’alternativa deve uscire dalla strada, dal mondo del lavoro e tanto sarà più credibile quanto più sarà ostacolata dall’informazione ufficiale. Dovrà saper emergere dall’oceano di informazioni distorte nel quale siamo immersi; dovrà essere capace di spiegare alla gente che la ricerca del benessere effimero non rende liberi; dovrà far capire agli italiani che l’individualismo esasperato non aiuta a crescere, anzi, mina alle fondamenta la civile convivenza, i rapporti tra lavoratori e la democrazia stessa; dovrà credere negli italiani e non nei diktat di U.E. e N.A.T.O., se così non sarà, non resta che lasciarci con le profetiche parole del grande Franco Battiato, cantautore, compositore, regista e pittore siciliano, tratte dall’album “Come un cammello in una grondaia”, pubblicato nel 1991: “Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore. Si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni. Questo Paese devastato dal dolore, ma non vi danno dispiacere quei corpi in terra senza più calore?…..”

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