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Chivasso
24 Agosto 2025 - 09:33
Alla tradizionale Fiera Regionale del Beato Angelo Carletti, in programma mercoledì 27 agosto 2025 nel suggestivo Parco del Mauriziano di Chivasso, è stato inserito lo spettacolo di falconeria 'Il volo dei rapaci', proposto come esperienza didattica. Una scelta che, però, ha sollevato immediate polemiche. Tra le voci più critiche quella dell’attivista socialista Marco Riva Cambrino, che attacca senza mezzi termini: "È l’ennesima pratica che piega animali selvatici al ruolo di attrazioni da fiera. Un paradosso, soprattutto in un contesto che dovrebbe celebrare il territorio, la natura e la sostenibilità".
Secondo Riva Cambrino, parlare di educazione in un contesto simile è fuorviante.
"Mostrare un rapace legato a un guanto non significa educare. Non restituisce la complessità della sua vita in natura, né i delicati equilibri degli ecosistemi. Così si insegna solo la logica del dominio: l’animale come oggetto da mostrare, non come soggetto da rispettare. La vera educazione dovrebbe stimolare la curiosità verso l’ambiente naturale, non abituare a vedere la libertà trasformata in spettacolo", ha dichiarato.
L'attivista chivassese socialista Marco Riva Cambrino.
Anche sul piano della conservazione, l’attivista smonta le giustificazioni che spesso vengono associate alla falconeria.
"C’è chi sostiene che queste esibizioni contribuiscano alla tutela delle specie. Ma è una narrazione comoda, priva di sostanza. I rapaci in fiera non vengono liberati in natura, non contrastano pesticidi, bracconaggio o perdita di habitat. La conservazione si fa nei centri di recupero e con politiche ambientali coraggiose, non addomesticando animali per intrattenere un pubblico", ha spiegato.
Il tema etico rimane centrale nelle parole di Riva Cambrino: "Un rapace non è un cane da compagnia. È un animale solitario, abituato a cacciare e a percorrere decine di chilometri in volo. Addestrarlo significa ridurlo a routine artificiali, condizionarlo con richiami, tenerlo confinato quando la sua natura richiederebbe il cielo aperto. Eticamente, significa trasformare la sua libertà in schiavitù".
Dietro lo show, la prigionia? Un rapace addestrato per la falconeria.
C’è poi l’aspetto ambientale: "Si parla di ‘volo dei rapaci’ mentre i rapaci reali scompaiono dai nostri cieli per l’inquinamento, il consumo di suolo, il cambiamento climatico. Uno spettacolo distrae dal vero problema: la crisi ecologica che minaccia la fauna selvatica. Invece di sensibilizzare sui legami tra agricoltura, acqua, pesticidi e biodiversità, si offre un intrattenimento che banalizza e svilisce la questione", ha denunciato.
Le alternative, per Riva Cambrino, esistono e sono concrete: dal birdwatching alle visite guidate nei parchi e nelle aree naturalistiche, dai progetti con i centri di recupero della fauna ai laboratori didattici che uniscono scienza e rispetto, fino ai percorsi di citizen science che coinvolgono la comunità nella tutela degli animali e degli habitat. "Se una fiera vuole davvero parlare di agricoltura e ambiente, deve scegliere la via della cultura e della responsabilità. Perché un rapace si ammira quando vola libero, non quando è ridotto a comparsa di un circo mascherato da educazione", ha concluso Marco Riva Cambrino.
Marco Riva Cambrino accende la polemica, ma per capire davvero cosa significhi trasformare un rapace in spettacolo abbiamo chiesto il parere di chi ogni giorno studia il comportamento animale. Chiara Grasso, etologa e divulgatrice, è tra le voci più autorevoli in Italia sulla tutela del benessere animale. Da anni porta avanti un lavoro instancabile contro la spettacolarizzazione della fauna selvatica. Con lei abbiamo cercato di capire se la falconeria possa davvero definirsi educativa e quali rischi comporti sul piano etico e conservativo.
Dottoressa, quali sono i bisogni etologici fondamentali di un rapace e in che modo vengono compromessi negli spettacoli di falconeria?
"I rapaci hanno bisogni molto specifici, legati alla loro biologia e alla loro evoluzione. Hanno necessità di volare per lunghi tratti, di cacciare, di pattugliare un territorio che spesso copre decine di chilometri quadrati. La loro vita è scandita da comportamenti complessi: la ricerca della preda, l’uso di strategie di caccia, la nidificazione, l’interazione con i conspecifici. Quando un rapace viene utilizzato in falconeria, gran parte di questi comportamenti viene limitata o addirittura annullata. Un animale che in natura sceglierebbe liberamente quando e come cacciare, si trova a dover dipendere dal cibo somministrato dal falconiere, addestrato a volare da un guanto all’altro. In questo modo il volo non è più espressione di libertà, ma un esercizio condizionato e privo di valenza etologica".
Osservare un rapace addestrato può davvero avere un valore educativo o rischia di trasmettere un messaggio distorto ai più giovani?
"Dal mio punto di vista, il rischio principale è proprio quello di trasmettere un messaggio sbagliato. Un bambino che osserva un rapace in un contesto di falconeria non vede l’animale nel suo comportamento naturale, ma assiste a una performance costruita dall’uomo. Questo può rinforzare l’idea che la fauna selvatica sia “a disposizione” per il nostro intrattenimento. L’educazione autentica dovrebbe invece insegnare il rispetto della distanza, il silenzio dell’osservazione, la bellezza di vedere un animale libero nel suo ambiente. Un rapace che vola tra gli spalti o che torna docile al guanto non è un “rapace vero”: è una versione addomesticata e ridotta di ciò che la natura ha plasmato".
La falconeria viene spesso presentata come utile alla conservazione: dal punto di vista scientifico, è un’affermazione corretta?
“No, non è corretta. La conservazione di una specie non passa attraverso il suo utilizzo in spettacoli o dimostrazioni. Conservare significa proteggere gli habitat, ridurre le minacce antropiche, limitare il bracconaggio, contrastare l’uso di pesticidi o il traffico illegale di animali. La falconeria, al contrario, in alcuni Paesi alimenta proprio il commercio illecito di rapaci, considerati oggetti di prestigio. Alcuni sostengono che l’allevamento in cattività riduca la pressione sulla fauna selvatica, ma la realtà è che la domanda di esemplari rari mantiene vivo il mercato nero. Ad oggi non esistono evidenze scientifiche che dimostrino un contributo concreto della falconeria alla conservazione dei rapaci in natura”.
Quali sono le principali minacce che oggi mettono a rischio i rapaci in natura?
"I rapaci, trovandosi in cima alla catena alimentare, sono particolarmente vulnerabili agli impatti umani. Le principali minacce includono: l’avvelenamento da piombo e pesticidi, che si accumulano nei loro tessuti; la perdita e frammentazione degli habitat, che riduce le aree di caccia e di nidificazione; le collisioni con infrastrutture come elettrodotti e pale eoliche mal posizionate; il bracconaggio e i traffici illegali; infine i cambiamenti climatici, che alterano la distribuzione delle prede e i cicli riproduttivi. Specie come il capovaccaio, l’aquila di Bonelli o il grifone sono oggi seriamente minacciate e hanno bisogno di interventi mirati di conservazione sul campo, non di spettacoli".
Dal punto di vista etico, cosa significa ridurre un rapace selvatico a strumento di spettacolo?
“Significa negare la sua natura e la sua dignità. Un rapace non è un animale domestico: è e resterà sempre un selvatico, con esigenze che non possono essere soddisfatte in cattività. Legarlo a un guanto o abituarlo a esibirsi per il pubblico vuol dire ridurlo a un oggetto di intrattenimento. Questo approccio antropocentrico rafforza l’idea che gli animali esistano per soddisfare i nostri bisogni, quando invece il compito dell’educazione ambientale dovrebbe essere insegnare il rispetto, la distanza e la coesistenza”.
Quali alternative davvero educative e rispettose della natura potrebbero sostituire gli spettacoli con i rapaci nelle fiere?
"Esistono molte alternative efficaci. Penso alle escursioni guidate nei parchi naturali, alle attività di birdwatching, alle iniziative di citizen science che coinvolgono grandi e piccoli nel monitoraggio delle specie. I centri di recupero della fauna selvatica sono luoghi preziosi per imparare a conoscere i rapaci, vedere come arrivino feriti a causa delle attività umane e come vengano curati per essere reintrodotti in natura. Inoltre, oggi la tecnologia ci permette di seguire nidi attraverso webcam, di osservare migrazioni con GPS, di vivere esperienze immersive attraverso documentari e realtà virtuale. Tutti strumenti che stimolano la curiosità senza ridurre gli animali a marionette. In sintesi, i rapaci sono simboli di libertà e potenza, non “attori” per spettacoli. Se vogliamo davvero educare le nuove generazioni, dobbiamo insegnare loro che la vera bellezza di questi animali sta nel vederli liberi, padroni del cielo, e non nel costringerli a piegarsi al guanto dell’uomo", ha conluso Chiara Grasso.
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