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23 Agosto 2025 - 15:16
Quando il bosco protegge: la storia di Patrizia e la lepre
Al Bar Italia di Favria, una mattina qualunque, tra il vapore che sale dal caffè e il tintinnio del cucchiaino, nasce una storia che sa di bosco e di mistero. A raccontarla è Sandro, con la calma di chi conosce il peso delle parole. Ed è una storia che sembra piccola, ma in realtà custodisce un insegnamento profondo.
È settembre, mese in cui i boschi del Canavese si accendono di odori umidi e promesse nascoste: funghi che spuntano tra le foglie, muschio che trattiene la rugiada, silenzi che sanno di infinito. Patrizia cammina da sola, il cestino in mano, lo sguardo attento a scorgere tra le radici il dono della terra. Tutto scorre con apparente tranquillità, quando all’improvviso un abbaiare squarcia l’armonia del bosco.
Due setter da caccia compaiono tra le felci. Avanzano rapidi, nervosi, il naso teso, le narici fremono. Girano intorno a Patrizia, la incalzano, eccitati da una traccia che solo loro percepiscono. Lei si immobilizza, sorpresa e impaurita: è stagione di caccia, e in questi giorni i boschi pullulano anche di uomini armati.
Poco più in là, ecco infatti comparire il cacciatore. Patrizia alza il braccio, compie un gesto istintivo e chiaro: “Io sono qui, non sono una preda.” L’uomo comprende, richiama i cani che, ubbidienti ma riluttanti, si allontanano. Eppure restano inquieti, trattenuti da un odore che li attrae con forza.
Il mistero si svela un attimo dopo. A pochi passi da lei, tra le felci, appare una piccola lepre. Minuscola, immobile, gli occhi spalancati colmi di vita. Tremante, eppure decisa a resistere. È stata lei a confondere i cani: la sua vicinanza all’essere umano ha generato un inganno, una protezione insperata.
Per un istante sospeso, lo sguardo di Patrizia e quello della lepre si incrociano. C’è un filo invisibile che li lega: un ringraziamento muto, un riconoscimento segreto. Poi, con un balzo fulmineo, l’animale scompare nel folto del bosco, salva.
Patrizia riprende il cammino. Nel cestino porterà a casa qualche fungo, ma soprattutto il ricordo vivido di quell’incontro. Anni dopo, davanti a un caffè fumante, quel ricordo diventa racconto, memoria condivisa.
E i boschi del Canavese, ancora una volta, insegnano. Mostrano che la vita non è fatta solo di volontà e calcolo, ma anche di imprevisti che si trasformano in miracoli. Lì, tra un uomo, due cani e una lepre, si è compiuto un piccolo intreccio di armonia e rispetto.
Un inno silenzioso alla natura, fragile e potente, che ricorda a tutti noi quanto sia sottile — e al tempo stesso indistruttibile — la rete che unisce ogni respiro, ogni passo, ogni vita.
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