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22 Agosto 2025 - 18:41
Stefano Lo Russo
Stefano Lo Russo, sindaco di Torino, ha deciso che amministrare una città complicata non gli bastava più. Perché limitarsi a governare i bilanci, i trasporti che arrancano, i cantieri che spuntano come funghi e i quartieri che invocano sicurezza, quando si può anche scrivere un noir?
Già, un noir. Non un opuscoletto qualsiasi, ma un romanzo intero, che pare abbia addirittura finito durante le vacanze estive, tra un bagno di sole e un tuffo nel mare, mentre i torinesi restavano in città a combattere con i marciapiedi dissestati e il traffico degno di una capitale balcanica. C’è chi in ferie legge un libro, chi ne scrive uno. E se sei sindaco, tanto meglio: l’importante è avere qualcosa da raccontare al rientro, non fosse altro che per stupire i colleghi di partito che forse non hanno finito nemmeno la settimana enigmistica.
Lo Russo ha scelto un genere che calza a pennello: il noir. Un genere che vive di atmosfere cupe, ombre, piogge incessanti, locali fumosi, solitudini urbane e crimini irrisolti.
E quale città migliore di Torino per piazzarci dentro una storia del genere?
Lui la descrive come “composta e un po’ dark”, e qui bisogna riconoscergli un certo realismo: composta sì, perché i torinesi sanno essere disciplinati e taciturni come pochi, e dark pure, perché tra nebbia, serrande abbassate e quartieri che di sera diventano zone franche, l’ambientazione è già pronta, non serve nemmeno troppa fantasia.
E infatti l’epicentro del romanzo è il Municipio, Palazzo Civico, la sua seconda casa, che per l’occasione diventa non più teatro di delibere, commissioni e consigli comunali infiniti, ma scenario di omicidi e misteri. Come dire che la politica, da sola, non era abbastanza thriller. Forse perché i veri colpi di scena, in consiglio comunale, sono finiti da un pezzo.
E allora, inevitabilmente, la domanda sorge spontanea: quando ha deciso di piazzare sulla scena del crimine un assassino e una vittima, Lo Russo a chi avrà pensato?
Non chiediamoci dell’assassino – lì le fantasie sono troppe e il rischio è che somigli troppo a certi assessori in carne e ossa – ma concentriamoci sulla vittima.
Quale “cadavere illustre” gli sarà venuto in mente? Forse l’ombra ingombrante di Valentino Castellani, il professore che aveva portato a Torino le Olimpiadi invernali, troppo elegante per finire davvero sotto un lenzuolo bianco ma perfetto come fantasma letterario? O magari Sergio Chiamparino, il sindaco dei tempi d’oro, che tra un tram e una bicicletta potrebbe sempre rispuntare come il morto eccellente del romanzo, lasciando dietro di sé piste false e sospetti politici? E perché non immaginare Piero Fassino, con quella sua aria ieratica e la battuta leggendaria “abbiamo una banca” a farne il più noir dei cadaveri possibili, il morto che nessuno ha visto arrivare?
Sul fronte opposto, non mancano le suggestioni. Ci sarebbe il fantasma di Gianfranco Miglio e della stagione leghista delle origini, con la sua Torino “padana” che sembrava un incubo già di suo. O il sempreverde Maurizio Marrone, oggi volto della destra più aggressiva, che come personaggio di un noir ci finirebbe bene: troppo vivo e troppo rumoroso per essere l’assassino, ma perfetto come vittima da prima pagina, l’uomo che cade senza capire chi gli abbia tolto la sedia. E che dire di Alberto Cirio, il presidente della Regione, sempre sorridente nelle foto ufficiali: immaginarlo riverso in una Torino piovosa, col sorriso congelato, sarebbe stata tentazione forte anche per un sindaco con velleità letterarie.
E poi c’è un’altra ipotesi, forse ancora più intrigante. E se la vittima del noir del sindaco fosse una donna?
Qui la letteratura si fa davvero maliziosa. Perché tra le figure femminili di un certo peso a Torino, è impossibile non pensare a Chiara Appendino, la sindaca pentastellata che lo ha preceduto e che gliele ha fatte girare come un ventilatore in questi anni. Sarebbe un colpo di scena perfetto: la rivale politica trasformata in cadavere di romanzo, la “salma letteraria” che giace nei corridoi di Palazzo Civico dopo aver ceduto lo scettro al suo successore. Sarebbe troppo? Forse sì, ma il noir vive di eccessi e vendette simboliche, e quale più ghiotta di un’Appendino riversa nel suo stesso Municipio, vittima immaginaria del sindaco che ne ha raccolto l’eredità politica. Oppure, a sorpresa, la mente di Lo Russo potrebbe aver indugiato su Gianna Pentenero, oggi consigliera regionale, con cui si dice non andasse troppo d'accordo.
Eppure, forse il colpo di teatro più clamoroso sarebbe un altro. Immaginare che la vittima sia proprio Stefano Lo Russo. Già, il sindaco che si scrive da solo come cadavere del suo romanzo. Un’anticipazione cupa e ironica di come potrebbero andare le trattative in vista delle prossime elezioni comunali.
Il morto eccellente non sarà l’avversario di destra né il compagno di partito che trama alle spalle, ma il sindaco stesso, finito narrativamente prima ancora che politicamente.
Alla fine, il gioco è proprio questo: Lo Russo scrive noir, ma la politica torinese gli offre già un repertorio infinito di protagonisti, comprimari e, soprattutto, vittime. Non c’è bisogno di inventare troppo: basta guardarsi intorno e decidere chi sacrificare al plot narrativo. E non è detto che, nelle pieghe della storia, non abbia piazzato qualche riferimento malizioso, un cognome appena camuffato, un carattere appena accennato. Perché il noir, si sa, vive di allusioni, di rimandi, di strizzate d’occhio. E un cadavere, in letteratura come in politica, è sempre funzionale alla trama.
Ecco allora che, paradossalmente, il vero giallo non è chi uccida chi, ma quanto del libro sia invenzione e quanto, invece, sia un modo per regolare conti simbolici con la storia politica torinese. In fondo, un morto in un romanzo è innocuo. Un morto evocato, anche solo per scherzo, nella memoria collettiva della città, pesa molto di più perchè è un morto che cammina...
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