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La Regione vuole i fiumi morti e tra Chivasso e Crescentino l'acqua già non c'è più

La nuova legge sull'acqua in Piemonte è contro la sopravvivenza dei fiumi

La Regione vuole i fiumi morti: acqua alle lobby, secca per tutti

Il Po tra Chivasso e Crescentino è senz'acqua

La Regione Piemonte ha deciso che i fiumi possono anche morire di sete, purché l’acqua finisca nelle condotte agricole. Con la Legge di riordino 9/2025, approvata l’8 luglio scorso, all’articolo 34 è stato introdotto un criterio di Deflusso Ecologico (DE) che – secondo Pro Natura Piemonte – non solo è in contrasto con la normativa nazionale ed europea, ma rappresenta un vero e proprio attentato all’ambiente. In parole semplici, significa che durante i periodi di scarsità idrica, quando i corsi d’acqua sono già ridotti a rigagnoli, i prelievi potranno continuare fino a lasciare nei letti dei fiumi appena il 30% della portata. Un’autorizzazione, di fatto, a prosciugare ciò che resta.

Non è semplice allarmismo, ma realtà. Tra Chivasso e Crescentino, per esempio, il Po già non c’è più. L’acqua è tutta deviata nel Canale Cavour, costruito tra il 1863 e il 1866 su impulso di Camillo Benso di Cavour, che da solo è in grado di captare fino a 90 metri cubi al secondo e che ogni anno convoglia oltre 3 miliardi di metri cubi d’acqua verso le risaie del Vercellese e del Novarese. Un’opera imponente per l’Ottocento, oggi simbolo delle contraddizioni del presente: nata per sviluppare l’agricoltura, è diventata il principale “ladro d’acqua” del Po.

canale cavour

Da qui la reazione, e tra tutte quella di Pro Natura, che il 21 luglio ha inviato una diffida al Ministero dell’Ambiente, alla Regione e all’Unione Europea, chiedendo lo stralcio immediato dell’articolo 34.

Il 5 agosto, l’Ufficio Legislativo del Ministero ha risposto con una nota che ha demolito la norma: quella disposizione è illegittima. La Regione, scrive il Ministero, ha invaso una competenza esclusiva dello Stato, ha abbassato gli standard fissati dalla legge nazionale, ha introdotto regole che violano la Direttiva 2000/60/CE e il principio di non deterioramento dei corpi idrici.

Una bocciatura senza appello, che smaschera l’operazione politica della giunta regionale guidata da Fratelli d’Italia: presentare come necessità tecnica quella che in realtà è una resa alle potenti lobby agricole e idriche. L’obiettivo è chiaro: garantire più acqua ai grandi consorzi irrigui, anche a costo di prosciugare i fiumi. E non sfugge l’ironia: chi a Torino ama sventolare slogan “sovranisti”, oggi si ritrova con una legge che rischia di consegnare il Piemonte a una procedura d’infrazione europea.

Il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Alberto Deambrogio, non usa mezzi termini: “È davvero eclatante la risposta del Ministero, che conferma la diffida di Pro Natura. La Regione ha scelto di rinviare e stravolgere l’applicazione del deflusso ecologico in nome di una supposta base ideologica, mentre i fiumi rischiano di morire. Qui non si tratta di sigle, ma di vita: senza un minimo di acqua calcolato scientificamente, un fiume muore insieme a tutto l’ecosistema che lo abita”.

E ancora: “È un negazionismo selettivo. Si riconoscono gli effetti del clima solo quando fa comodo, ma se i fiumi muoiono muore anche l’agricoltura che di quell’acqua vive. Ci sono agricoltori che affrontano seriamente il problema, ma non hanno alle spalle sindacati abbastanza forti da imporsi nel dibattito pubblico”.

Il paradosso è evidente: mentre l’Europa spinge per rafforzare la tutela delle risorse idriche, il Piemonte va in direzione opposta e non solo con il Po. La Dora Baltea, a Ivrea, appare spesso come un canale frammentato da sbarramenti e captazioni; l’Orco nei mesi estivi scompare a tratti sotto i prelievi.

E mentre si discute di deroghe, si annunciano grandi progetti infrastrutturali per garantire acqua ai cittadini. SMAT ha in programma il nuovo acquedotto del Canavese, un’opera da 150 milioni di euro che servirà 120 mila utenti in oltre quaranta Comuni, da Rivarolo a Cuorgnè, da Castellamonte a Ivrea. L’acqua verrà prelevata a Rosone, dal torrente Piantonetto, utilizzando l’invaso del Teleccio a 1.900 metri di quota. L’infrastruttura comprenderà 120 chilometri di tubazioni, tra adduzione e distribuzione, ed è presentata come una delle grandi opere del Piano Industriale SMAT per i prossimi anni.

Un progetto che dimostra come il problema idrico non sia più rinviabile, ma che stride con la leggerezza con cui la Regione tratta i fiumi. Da una parte si spendono milioni per assicurare acqua potabile stabile a decine di Comuni; dall’altra si varano norme che consegnano i corsi naturali ai grandi utilizzatori agricoli, permettendo prelievi anche in condizioni di magra estrema. In sintesi: si costruiscono acquedotti da 150 milioni per portare l’acqua ai rubinetti, ma si lascia prosciugare la fonte che quell’acqua dovrebbe garantire.

Il quadro è quello di una politica schizofrenica: progetti milionari per garantire l’acqua potabile, deroghe per svuotare i fiumi. Un equilibrio impossibile, che rischia di lasciare tutti senza futuro.

Pro Natura annuncia di essere pronta a portare la vicenda a Bruxelles. Il Ministero dell’Ambiente chiede alla Regione di cancellare o riscrivere la norma. Ma da Torino, per ora, arrivano segnali di ostinazione.

La domanda, allora, resta sempre la stessa: in Piemonte vincerà l’interesse pubblico, quello che vuole fiumi vivi e un ambiente tutelato, o quello privato delle lobby che pretendono acqua anche quando non ce n’è più?

Perché se tra Chivasso e Crescentino il Po è già sparito, se la Dora e l’Orco arrancano d’estate, se occorre costruire acquedotti da 150 milioni per garantire l’acqua ai cittadini, allora la risposta non può essere una sola: non c’è più tempo per deroghe e compromessi.

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